Ma tu che cosa hai fatto per chi era straniero?
Articolo di Andrea Carlà* pubblicato sul giornale “Trentino” del 3 Luglio 2018
Sembra impossibile, ma fino a non troppo tempo fa la schiavitù era una condizione giuridica accettata come la normalità in varie società, come gli Stati Uniti e il Brasile fino alla seconda metà dell’800 (e in alcuni paesi è ancora praticata sotto diverse forme). Le leggi regolavano i diritti e i doveri degli schiavi, distinguendoli da quelli delle persone libere, stabilivano come comprarli, come trattarli…
Ancora più incredibile che fino a neanche cent’anni fa era normale dividere la società umana in razze, ognuna con la sue caratteristiche specifiche e gerarchia. Fanno parte di questo quadro intellettuale la disciplina accademica del razzismo scientifico (diffusa fino alla fine della seconda guerra mondiale), che spiega la distinzione e gerarchia delle razze, e le teorie eugenetiche finalizzate a migliorare la qualità di una razza, in voga in molti paesi nella prima metà del XX secolo.
Da questa divisione derivano politiche eugenetiche, come il divieto di matrimoni interraziali, le leggi Jim Crow che istituirono la segregazione razziale negli stati del Sud degli USA fino a metà degli anni 60, il regime di apartheid in Sudafrica in vigore fino agli anni 90, le leggi razziali naziste e fasciste contro le razze e gruppi ‘inferiori’, e, non ultimo, il genocidio compiuto dalla Germania nazista ed i suoi alleati contro gli ebrei e altri gruppi considerati pericolosi e indesiderabili.
L’olocausto è stato infatti la punta dell’iceberg di un paradigma culturale di stampo razzista fortemente radicato nella società occidentale (ma non solo). Mica tutti i tedeschi erano nazisti duri e puri che volevano sterminare ebrei e affini, ma molti hanno assistito passivamente, coscienti o incoscienti, perché gli eventi rientravano in una logica generalmente accettata. Oggi questo paradigma culturale razzista non è più accettato (anche se non manca chi lo ripropone) e molti paesi hanno dovuto fare i conti con gli errori ed orrori del loro passato. Si pensi alle azioni intraprese in Germania per superare il suo passato e i suoi complessi di colpa (per cui c’è pure un termine Vergangenheitsbewältigung) e alle terribili domande fatte da molti tedeschi nati dopo la guerra ai loro genitori e nonni: ma tu cosa hai fatto? Perché non ti sei ribellato? Come hai potuto essere complice … Stesse domande che hanno dovuto subire vari nonni e genitori in Sudafrica e negli Stati Uniti.
Una riflessione che, come sostiene lo storico Angelo Del Boca, forse in Italia non è stata adeguatamente affrontata dietro il mito di “Italiani, brava gente”, così come anche in Alto Adige (quanti altoatesini/sudtirolesi nascondono il loro passato nazista – o fascista?!) – Altoatesini/sudtirolesi, brava gente?
Sta tornando l’estate e ricomincia (ma forse quest’anno non si è mai fermata), la polemica sugli sbarchi di migranti e rifugiati e di come fare per bloccarli (o gestirli?), di paesi che esportano “galeotti” e del “finita la pacchia, preparatevi a fare le valigie” (copyright Salvini) – similmente negli USA si discute dell’invasione di gente che viene da “posti di merda” e del bisogno di “tolleranza zero” (copyright Donald Trump) – delle foto di bambini morti annegati (mentre dall’altra parte dell’Oceano muoiono nel deserto), di disperati che dormono all’addiaccio nei parchi delle città o negli androni delle case (come accade nel centro di Bolzano), a cui segue la discussione di come fare per integrare ed includere persone con passato migratorio, del confronto fra “buonisti”/multiculturalisti e sostenitori del “priorità agli italiani” (diversi copyright) e del “se non accetti tutte le nostre regole qui non puoi restare” (copyright Calderoli), della paura di islamizzazione…
È realtà che anche oggi la società ha le sue distinzioni. Le persone sono distinte fra cittadini, migranti regolari, migranti senza documenti, richiedenti asilo, categorie a cui si ricollega una specifica condizione giuridica e determinati diritti e doveri, dal diritto di entrare in un paese al dovere di imparare la lingua. Da questo paradigma intellettuale derivano politiche per costruire muri e negare l’accesso ai porti, proposte per esternalizzare la gestione della migrazione e trattenere i migranti in centri di detenzione nei paesi di transito, come la Libia, foto di persone e anche bambini chiusi in gabbie, come in Texas, l’opposizione alla costruzione di moschee, misure per limitare l’accesso alle prestazioni sociali da parte di persone con passato migratorio.
Nel suo piccolo, anche in Alto Adige sono presenti queste divisioni e le loro conseguenze. Si pensi ad alcune misure della legge provinciale sull’integrazione, che limitavano l’acceso ad alcuni benefici economici da parte di persone con background migratorio (misure dichiarate poi incostituzionali), la circolare provinciale che esclude dalle misure di accoglienze quei migranti vulnerabili, come bambini, che sono stati precedentemente in altri Stati europei o regioni italiane – criticata anche dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) -, e l’approvazione l’anno scorso del provvedimento legislativo per legare prestazioni di welfare da parte dei cittadini stranieri alla partecipazione ad attività di promozione dell’integrazione.
I processi migratori attuali rimangono un fenomeno complesso ed una sfida impellente a cui non si è ancora trovata una soluzione adeguata. Speriamo solo di non dover mai rispondere alla domanda: “ma tu, papà/mamma/nonno/a cosa hai fatto?”
*Andrea Carlà è ricercatore senior all’Istituto sui Diritti delle Minoranze, Eurac research