Humanae Vitae. Ma l’amore può essere peccato?
Articolo di Magnus Striet* pubblicato sul sito del giornale Zeit (Germania) il 20 luglio 2018, libera traduzione di finesettimana.org.
Mezzo secolo fa, con l’enciclica Humanae Vitae, Roma metteva al bando pillola e preservativo. Il magistero si allontanava così dai fedeli – e sottovalutava il fatto che Dio ha dato agli esseri umani il libero arbitrio.
Quando nel 1968 fu pubblicata, l’enciclica Humanae Vitae scatenò violente reazioni. Molte donne cattoliche e molti uomini cattolici avevano sperato che papa Paolo VI avrebbe ammesso la pillola come mezzo contraccettivo. Anche la commissione consultiva in Vaticano glielo aveva più volte consigliato. Dopo lunghe discussioni però il papa seguì un desiderio inizialmente segreto della facoltà teologica di Cracovia: la pillola rimase proibita. Interessante dal punto di vista storico è il fatto che fu l’influenza dell’allora cardinale Karol Wojtyla determinante per la stesura dell’enciclica. Che quel documento sia poi stato molto positivamente da lui considerato, una volta diventato papa Giovanni Paolo II, non suscita meraviglia. Tuttavia nel cattolicesimo reale, l’enciclica nel corso dei decenni è stata dimenticata.
Infatti, anche in ambienti cattolici la sessualità aveva acquistato un significato positivo e del tutto diverso rispetto a ciò che nelle generazioni precedenti si sarebbe potuto pensare. La sessualità umana, secondo ampio consenso, non doveva essere limitata alla sola funzione di procreazione. Inoltre, è vero che tutto è possibile a Dio, ma anche agli esseri umani molte cose sono possibili: la pillola permetteva di rendere la sessualità godibile in maniera diversa. Le relazioni sociali e i ruoli di genere cambiavano ad una velocità vertiginosa dopo il 1968. E questa svolta storica non poteva non avere conseguenze nella teologia e negli ambienti cattolici.
L’enciclica Humanae Vitae ebbe come conseguenza l’allontamento perplesso dei cattolici dal magistero. Heinrich Böll scrisse nel 1968 che l’enciclica chiedeva “sottomissione secondo la cosiddetta obbedienza per fede”. Che chiedeva “cieca dedizione” e che questa pretesa trascinava i cattolici in una fossa col magistero. Tuttavia non è più necessario evadere da una condizione di minorità che ci si era autoinflitti, se si è già evasi. Secondo il magistero la pillola sarebbe contro natura, non voluta dal Dio creatore. Il fatto è che a molti mancava la fede in questa tesi perché avevano usato la propria ragione ed erano arrivati ad un’altra conclusione. Una volta che i fedeli hanno attivato la propria capacità razionale, il magistero può ammonire quanto vuole. Quello che non convince, non convince.
Le discussioni su Humanae Vitae dimostrano in maniera esemplare quanto fortemente si distanzino la teologia del magistero e la prassi cattolica. Perfino gli ambienti cattolici conservatori non si lasciano prescrivere la propria pratica sessuale. E neppure temono di manifestare ad alta voce la propria critica a dichiarazioni di papi o di vescovi. A livello globale, il cattolicesimo può certo essere descritto in varie maniere. Nelle società occidentali è però sicuramente arrivato alla modernità, che è come è, cioè plurale. Le persone che si definiscono cattoliche sono prima di tutto persone del proprio tempo.
La discussione sulla Humanae Vitae, diventata intanto ormai quasi storica, segnala un problema di fondo. Perciò non dovrebbe essere portata avanti solo dalla teologia scientifica, ma affrontata nelle strutture ecclesiali dalla gerarchia. E, innanzitutto, dovrebbe essere identificata come sintomatica di una crisi di fondo che accompagna la teologia fin dal XIX secolo e che continua a scuoterla.
Di che cosa si tratta? Da queste discussioni si può vedere la scarsa consapevolezza storica nella prassi di insegnamento della Chiesa. Invece di accettare che non solo cambiano le condizioni politiche e sociali, ma che cambia anche ciò che determina il pensiero delle persone a livello normativo, l’unica preoccupazione che si ha è quella della propria identità. Il discorso attuale della pari dignità che spetta a tutti gli esseri umani non è caduto dal cielo ma è stato conquistato faticosamente. Le risorse della religione cristiana hanno giocato un ruolo in questo, ma non sono bastate. Anche lì, ad esse è stato necessario affiancare la ragione. Che anche i concetti della sessualità vissuta siano sottoposti alla trasformazione storica lo si può ricavare da qualsiasi studio storico-culturale.
Coloro che ritengono la teologia uno studio troppo impegnativo, possono anche limitarsi alla Bibbia, ma per favore, con un po’ di cervello, il che significa: leggere comprendendo bene e tenendo presente il contesto storico. Il libro di Ruth costituisce ad esempio una pietra miliare nella riflessione su come possa essere introdotta maggiore equità nei rapporti tra i sessi. Essere conservatori in senso teologico significa perciò anche non mantenere sempre le stesse idee sui rapporti sociali. Ma significa tornare sempre di nuovo a riflettere su ciò che deve valere.
Nei testi biblici non si trova la diretta Parola di Dio. In essi è invece documentato il processo di una riflessione su quale Dio deve essere sperato – e a quale Dio ci si vuole rivolgere. Anche l’ebreo Gesù di Nazareth, che il cristianesimo ritiene essere l’incarnazione di Dio, ha partecipato decisamente a questo processo. E lo ha fatto nelle condizioni sociali, cultural-religiose di allora. Non sapeva nulla di condizioni di vita completamente diverse e di una modernità fondata sul riconoscimento reciproco. Ma ha impersonato un Dio che vuole sensibilità per l’ambivalenza della vita umana.
Ciò che segna la differenza rispetto ai tempi passati nella “modernità riflessiva” (Herbert Schnädelbach) è sapere che ciò che viene considerato volontà di Dio deriva da prassi di negoziazini umane e che le persone possono solo sperare che Dio corrisponda a ciò. Ma questo Dio non deve essere in contrasto con il diritto di una autodeterminazione individuale socialmente equilibrata, se la libertà è il valore più alto. Ma non si dovrebbe neppure pensare Dio meno ben disposto verso la libertà umana (ndr, testo originale: Aber man sollte Gott auch nicht kleiner denken als der menschlichen Freiheit wohlgesinnt zugetan). E perciò è anche difficile immaginare che Dio abbia un forte interesse nella regolamentazione in riferimento all’esercizio della sessualità nei rapporti tra partner.
Chi vuole avere influenza sulla definizione delle relazioni non potrà puntare semplicemente su una autorità che si è autoattribuita. In futuro il cattolicesimo potrà essere efficace e culturalmente determinante se non rifiuterà le nuove visioni del mondo. Questo non ha nulla a che fare con l’adeguamento allo spirito del tempo, bensì con la scelta, anche in questioni di fede, di non spegnere la ragione.
Perciò quando qualcuno sostiene che nessun papa può cambiare l’insegnamento di Humanae Vitae perché l’enciclica è espressione del magistero universale della Chiesa, questo stupisce. Tale dichiarazione non provoca allarmate reazioni dei media, se non sugli organi di stampa dell’ambiente ristretto, anche solo perché la logica dell’enciclica non ha mai convinto e perciò al di fuori degli ambienti della teologia è stata più o meno dimenticata. Se però nel complesso nell’opinione pubblica prende piede l’impressione che gli argomenti addotti sono sorpassati, la Chiesa perderà ulteriormente in credibilità. E questo sarebbe un peccato, perché il Vangelo del Dio fatto uomo, anche in un mondo trasformato e diventato molto diverso, può ancora parlare agli esseri umani.
*Magnus Striet è professore di teologia fondamentale e antropologia filosofica all’Università di Friburgo in Brisgovia.
Testo originale: Sexualität: Kann denn Liebe Sünde sein?