Quando un figlio è omosessuale. Don Sciortino risponde
Riflessioni di Don Sciortino pubblicate sul settimanale Famiglia cristiana, 31 agosto 2011
Un figlio rivela ai genitori di essere omosessuale e di convivere con un compagno. Non l’ha detto prima per non recare dolore. La reazione è di profondo sconcerto.
I genitori si dividono. Anzi si oppongono tra loro. Al punto da far prefigurare una possibile separazione.
Nel frattempo, si pongono tante domande. Soprattutto il padre. Interrogativi comprensibili ma inconcludenti. Perché non me ne sono accorto? Cosa avrei dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato?
In base alle acquisizioni scientifiche finora disponibili, non sappiamo ancora se l’orientamento omosessuale è attribuibile a fattori biologici o psicologici. Vale a dire, se è innato o acquisito.
Una cosa è certa, ed è il presupposto da cui partire: l’orientamento o la tendenza omosessuale non è una libera scelta dell’individuo che, invece, si scopre tale con profonda difficoltà a farsene una ragione.
Quel che conta è aiutare la persona a riconciliarsi con sé stessa e ad accertarne il limite, che nulla toglie alla sua dignità. E alla realizzazione umana e cristiana, se credente.
L’insegnamento del Magistero è esplicito: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna» (Congregazione per la dottrina della fede, Cura pastorale delle persone omosessuali, 16).
La dignità della persona, omosessuale o eterosessuale che sia, è il punto fondamentale di partenza per affrontare gli altri problemi. Il primo riguarda il comportamento, cioè il modo di vivere la tendenza omosessuale.
Se, infatti, non si è responsabili della condizione omosessuale, lo stesso non si può dire dei comportamenti Sia pure con tutti i condizionamenti interni ed esterni che esistono.
La biologia e la psicologia potranno, forse, spiegare l’orientamento omosessuale, ma non possono indicare come viverla.
La morale cattolica indica queste direzioni: accettare e rispettare la persona; proporre la realizzazione umana e cristiana attraverso l’accettazione della propria condizione omosessuale; vivere la relazione in termini di amicizia.
Per questo, la Chiesa disapprova la convivenza omosessuale in base al significato del rapporto sessuale che è unitivo e procreativo. E, come tale, ha senso solo nel matrimonio.
I conviventi omosessuali (ma anche quelli eterosessuali) non possono accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Ma, in quanto battezzati, sono nella Chiesa e possono partecipare alla vita liturgica e caritativa della comunità ecclesiale.
I genitori che non ne condividono la decisione di convivere, sono forse obbligati a interrompere la relazione con il figlio? La rottura dei coniugi tra di loro e con il figlio aggiunge solo male al male.
D’altra parte, mantenere il rapporto con il figlio non significa approvare e condividere la scelta della convivenza omosessuale. Occorre mantenere sempre aperto il dialogo e il confronto. La Chiesa, da parte sua, difende sempre la dignità della persona.
Di ogni persona umana. E denuncia ogni forma di discriminazione, emarginazione e offesa. Nella società, nella legislazione, nel lavoro.
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