Don Piero, una parrocchia di Genova e l’incontro con i credenti omosessuali
Intervista di Lidia Borghi*, gruppo Bethel di Genova, 1 settembre 2011
Don Piero Borelli è il sacerdote dell’ordine salesiano di Genova che, subito dopo il Genova Pride 2009, diede vita al gruppo Bethel di persone LGBT cristiane liguri.
Quando le persone volontarie del Progetto Gionata mi incaricarono di svolgere la prima indagine italiana riguardante i famigliari cristiani di persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, ho chiesto a don Piero di rilasciarmi un’intervista.
Caro don Piero, che ne diresti di ripercorrere, brevemente, le tappe che hanno portato al costituirsi del gruppo Bethel di omosessuali credenti di Genova? Si era nel lontano marzo 2009 e, tre mesi più tardi, Genova avrebbe ospitato il pride nazionale…
Il mondo omosessuale era per me sconosciuto, se si eccettuano rari incontri in confessionale, durante i quali mi muovevo a disagio e stavo male mentre ascoltavo i racconti di persone che mi confessavano la loro realtà. (…).
Riuscivo solo a dare una risposta che predisponesse alla serenità. Era, la mia, una risposta di assoluzione. (…)
D’altra parte sono contento che, magari tardi, a sessantotto anni, ci sia stata l’occasione di entrare nel merito del discorso dell’omosessualità. E l’occasione fu il Gay Pride del 2009, a Genova. (…).
Così ne ho parlato con alcuni esponenti del consiglio pastorale e, insieme, abbiamo deciso di incontrare alcune persone omosessuali (…).
Non ci interessava organizzare una conferenza scientifica, ma ascoltare delle testimonianze vere, il loro sentimento di vita, quell’insieme di moti dell’anima sotteso ad una situazione a noi del tutto sconosciuta. (…) Era importante sapere ciò, perché dalle descrizioni prese pari pari dallo stigma sociale sembrerebbe di aver a che fare con un mostro (…).
E così ho fatto una telefonata all’allora presidente dell’Arcigay di Genova, Francesco, gli chiesi se la cosa avrebbe potuto essere di suo interesse e lui, dopo aver interpellato l’allora referente donne dell’associazione, Laura, per chiederle se sarebbe stata disponibile a parlare di sé in quanto lesbica credente, lui accettò di venire a parlare della sua esperienza di gay credente.
Durante quell’incontro con i tuoi parrocchiani, Laura e Francesco parlarono di sé, offrendo una testimonianza molto profonda…
(…). La serata dell’incontro è stata quella del 3 marzo 2009 ed ha visto la partecipazione di circa 80 persone fra le più diverse: molte appartenenti alla parrocchia, anche se non tutte. Tutto è andato nel migliore dei modi.
Ho iniziato introducendo il motivo dell’incontro: conoscere ed è stata anche l’occasione, dopo aver ascoltato le testimonianze di Laura e Francesco, per ciascuna persona presente, per giudicare, non per un mero sentito dire, quanto piuttosto per farsi un’idea un po’ più precisa, a seguito dell’ascolto diretto delle storie di due persone omosessuali, di come possa essere la vita di una lesbica e di un gay credenti.
Ed è stato un incontro indovinato. Laura e Francesco ci hanno presentato la loro personale esperienza, che li ha visti giungere, dapprima in gioventù e poi nell’età matura, a riconoscere in se stessi un orientamento sessuale altro, per poi prenderne coscienza.
Un diverso orientamento di vita che non appartiene solo al corpo, ma anche allo spirito e quindi a tutto l’essere di una persona. Un tutt’uno che fa di tutto per emergere all’interno di un’identità personale di difficile riconoscimento ed accettazione da parte della società. E tutto diventa più difficile. (…).
E allora comprendi che quella persona sta soffrendo tanto, poiché vive nella diversità ed ha paura. Ti guardi attorno e ti accorgi che l’ambiente è ostile, non ti comprende e sei tu a dover avere una forza davvero grande, prima per accettarti e, poi, per progettare una vita che sia in linea con il tuo vero sé (…).
E poi? Come ti venne l’idea di continuare questo percorso di conoscenza reciproca?
Tutto ha avuto inizio da una sorta di maturazione che ha richiesto un certo tempo. Qualche mese dopo il Genova Pride c’è stata da parte di Laura e di altri la richiesta, cui ho risposto di sì, di continuare ad incontrarsi, perché si è ravvisata l’importanza di portare avanti una conoscenza reciproca, al fine di approfondire il discorso iniziato quel 3 marzo 2009. (…)
Si è compreso che da parte mia non c’era una motivazione fasulla, vacua, nel modo in cui affronto la realtà delle lesbiche e dei gay credenti. (…).
Per il resto, ho concordato con Laura ed alcune altre persone le linee guida da seguire durante gli incontri di gruppo (…); così ci chiediamo che significato potrebbe avere questa nuova fase di lavori da fare insieme e (…) comprendiamo fin da subito che il gruppo ha un solo scopo, quello di essere rassicurato da una figura di riferimento che sia disposta, semplicemente, a dare un supporto spirituale.
Così, dopo un confronto durato diverse settimane, guardandoci in faccia e scoprendo le carte, si è andato formando il cammino che ci si era proposti di svolgere. (…) Si è quindi pensato di continuare per questa strada.
Il gruppo è formato da donne e uomini, che amano persone dello stesso sesso, assai differenti per età ed esperienze, molte delle quali non sono dichiarate in società…
(…) Il gruppo si ritrova con alcune persone che vanno e vengono ed altre che restano (…). Donne, uomini, età ed esperienze di vita fra le più disparate…
I più, mi sembra di capire, non dichiarati nell’ambiente in cui vivono o con gli altri in generale e, proprio per questo, si ritrovano volentieri perché sono alla ricerca di un sostegno reciproco l’uno verso l’altro, ognuno a partire dalla sua personale esperienza, che esige una comprensione diversa.
Il tutto senza alcun giudizio che sia sociale, civile o morale, dal momento che si va soprattutto a raschiare quella che è la base (…) di una battaglia che queste persone conducono per tentare di restare vive a livello spirituale ed umano, nonostante tutte le controindicazioni che, a livello sociale, vengono rimarcate nei confronti di queste persone. Controindicazioni che, in primis, sono di tipo religioso.
Si tratta infatti di giudizi decisamente feroci, in quanto non affrontano la persona, ma partono dal principio secondo cui c’è un’immoralità di base, cosa che ancora viene ribadita a livello ufficiale dalla chiesa cattolica (…).
Sarebbe veramente triste se Dio ci avesse generati per poi condannarci in un qualche modo. Ciò è assolutamente fuori dal mio pensiero!
Io credo che l’amore di Dio sia veramente qualcosa di grande, totale, che ingloba tutte e tutti, ciascuno all’interno della sua propria esperienza umana ben precisa.
Per cui valgono tantissimo, per le lesbiche e per i gay – come per gli etero – l’incontro, il rapporto interpersonale, la fedeltà e la costruzione di un progetto di vita. In ciò ravviso solo bellezza…
Queste persone sono belle e dovrebbero vivere la loro caratteristica umana senza paura, pur con tutti gli accorgimenti del caso, dato che si vive in un mondo che, ancora, non accetta l’omosessualità. Il punto cruciale sta tutto qui, nel diritto di ogni persona alla felicità.
Come si svolgono e con che cadenza gli incontri con il gruppo? So che, subito dopo aver lasciato parlare le persone delle rispettive esperienze, a te spetta il compito di leggere passi dei Vangeli…
Gli incontri, di un paio d’ore circa, sono mensili e si svolgono in una zona un po’ lontana dal centro (…). In genere avviene che ci si ascolta e ci si aiuta a guardare al positivo di una realtà che viene spesso presentata, da chi si affaccia per la prima volta al gruppo, come colpevolizzata, mentre invece il messaggio che si vuole far passare è: «Coraggio!
Mentre ricerchi il senso della tua vita, le persone con le quali ti ritrovi stanno facendo il tuo stesso percorso». Per questo credo che uno degli obiettivi delle persone che partecipano sia quello di ricevere una sorta di rasserenamento.
C’è la lettura di un pensiero biblico (inizialmente era tratta dal vangelo di Marco) c’è quindi un momento di preghiera e ci sono, soprattutto, molti interventi personali da parte degli esponenti del gruppo.
Essi rappresentano altrettante invocazioni che ci rivolgiamo fra di noi ma che, in realtà, sono dirette a Dio.
Ti chiedo, da ultimo, di fare un personale bilancio di questi due anni di incontri con le donne e gli uomini in cammino del gruppo Bethel.
Bilancio più che positivo! Io sono stupito da quanto è avvenuto! Ringrazio Iddio… Perché penso di esser stato solo uno strumento esteriore di coagulo dell’incontro, di fiducia e di ricerca. Soprattutto credo che quella del gruppo sia un’occasione non certo per fare delle rivoluzioni. Ce ne rendiamo conto da noi.
Queste vanno fatte in altre sedi. Io personalmente non credo molto nelle rivoluzioni… Il nostro intento è solo quello di ritrovarci e di chiarire, di ripulire tutte le motivazioni, liberandole il più possibile dalla faziosità e da un’animosità arrabbiata che ha motivo di esserci, ma non lì. (…)
Io prego che ci sia il giorno in cui ogni persona che vive onestamente la sua vita personale e di coppia, possa essere accolta e non guardata con ignoranza, come avviene, ma accolta e basta.
È questo che deve far contente le persone, perché ogni persona è chiamata a realizzarsi e non c’è chi lo può fare e chi no. Questa è la vocazione di tutti.
* Questa intervista è un estratto, mentre la versione integrale verrà inclusa nel libro inchiesta, di prossima pubblicazione, che è scaturito da quell’indagine su “I familiari cristiani di persone LGBT’.