“Un ponte da costruire”. Le risposte di padre Martin alle domande più comuni sul suo libro, sulle persone LGBT e la Chiesa
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 14 luglio 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il mio libro Un ponte da costruire (Marcianum Press, 2018 – 114 pagine), che parla delle persone LGBT cattoliche e della loro Chiesa, ha provocato discussioni, commenti e critiche in gran numero, sulla stampa, nel Web e nelle parrocchie. Nell’interesse della discussione, vorrei rispondere alle domande e alle critiche più frequenti.
1. Perché non ha citato il Magistero della Chiesa sulle relazioni omosessuali e sul matrimonio tra persone dello stesso sesso?
Potrei rispondere che l’ho fatto eccome, ma penso che la vera domanda sia: perché non l’ho citato maggiormente?
L’ho fatto volutamente. La posizione della Chiesa su questo tema è chiara: le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso non sono accettabili, come non lo è il matrimonio. Ma questi sono punti dottrinali che tutte le persone LGBT cattoliche conoscono e che hanno sentito ripetere innumerevoli volte; anzi, queste due proibizioni sono le uniche cose che alcuni cattolici conoscono delle tematiche LGBT.
Anche la posizione della comunità LGBT su questo tema è chiara: le relazioni sentimentali e sessuali sono parte integrante della vita dei suoi membri (lasciando da parte la piccola percentuale della comunità LGBT che la pensa in modo diverso). In termini teologici, si potrebbe dire che questi insegnamenti non sono stati “ricevuti” dalla comunità LGBT, a cui sono diretti. Perciò, volutamente vi ho fatto poco cenno, sia perché sono insegnamenti ben noti, sia perché su questo tema le posizioni delle due parti sono troppo distanti. Ho preferito di conseguenza parlare dei possibili punti di convergenza.
2. Perché ci tiene tanto a utilizzare parole come “gay” e “LGBT”?
È stato molto criticato il mio invito ad abbandonare termini come “attrazione omosessuale” a favore di parole utilizzate dalla stessa comunità LGBT. I critici affermano che termini come “gay” e “LGBT” riducono le persone al loro orientamento sessuale, e i cattolici, come ha scritto un commentatore, “sono più delle loro inclinazioni”.
Questo lo penso anch’io, e lo pensano molte persone LGBT, che sono più del loro orientamento e della loro identità. Dobbiamo però stabilire una terminologia per un gruppo di persone che si sono a lungo sentite escluse a causa del loro orientamento o della loro identità: perché non utilizzare le parole che il gruppo adopera per descrivere se stesso? Fare altrimenti significa arrogarsi il diritto di dare un nome agli altri, e i gruppi hanno tutto il diritto di darsi un nome.
La cosa buffa è che la più comune alternativa [ai nomi che la comunità LGBT assegna a se stessa] è “attrazione omosessuale”, ma questo termine antiquato non fa una cosa diversa dai termini “gay” e “LGBT”: identifica le persone solo in base alle proprie pulsioni sessuali. Come se ciò non bastasse, l’espressione “attrazione omosessuale” contiene la parola “sesso”, e non mi sembra un grande progresso. Mi sono sempre chiesto se la resistenza a usare “gay” e “LGBT” non dipenda dal fatto che sono i termini preferiti dalla comunità LGBT, a cui non si vuole dare nessuna soddisfazione. Ma è molto difficile dialogare se si insiste a usare parole che gli interlocutori trovano superate e offensive. Se poi papa Francesco dice “gay”, lo possiamo fare benissimo anche noi.
3. Quando nel suo libro parla di “conversione”, cosa intende?
In molti racconti evangelici vediamo Gesù che accoglie persone che, grazie a lui, si convertono. Un esempio è il racconto di Zaccheo, il capo dei pubblicani di Gerico, che era sicuramente considerato il capo dei peccatori. Mentre Gesù attraversa Gerico, Zaccheo si arrampica su un albero per vederlo meglio e Gesù, invece di condannarlo, si offre di venire in casa sua: un segno di accoglienza. In cambio, Zaccheo promette di ripagare le persone da lui defraudate. Per Gesù, prima viene la comunità, poi la conversione.
Questo è un racconto bellissimo per quelle persone LGBT cattoliche che si sentono emarginate, come Zaccheo, ed è un racconto bellissimo per i responsabili ecclesiali, perché ci ricorda che prima viene l’accoglienza. Ma a quale tipo di conversione sono chiamate le persone LGBT cattoliche? Quel tipo di conversione a cui siamo tutti chiamati. Non voglio nemmeno sottolineare il fatto che sono peccatrici, perché tutti lo siamo. Voglio invece far capire che spesso si sentono emarginate, proprio come Zaccheo, e che l’incontro con Gesù ci può condurre alla conversione della mente e del cuore. (Vorrei anche precisare che non sto parlando di “terapie di conversione” o “terapie riparative”.) In sintesi, dobbiamo guidare accogliendo, come faceva Gesù.
4. Come può chiedere alle persone LGBT cattoliche di trattare la Chiesa con “rispetto, compassione e delicatezza”?
Avrei dovuto essere più chiaro su questo tema. L’onere della costruzione del ponte ricade sulla Chiesa come istituzione: vescovi, sacerdoti, responsabili ecclesiali, anche laici. È la Chiesa istituzionale ad aver emarginato la comunità LGBT, non il contrario, ma siamo tutti chiamati al rispetto reciproco, anche le persone LGBT cattoliche nei confronti della Gerarchia. Perché? Perché siamo tutti cristiani.
Lo so, questo forse è un boccone amaro per quelle persone LGBT che sono state ignorate, insultate ed escluse dalla Chiesa. Ma è Gesù a dirlo, non io. Anche se continuate a pensare a certi vescovi o sacerdoti come a nemici, vi si chiede comunque di amarli e pregare per loro, e questo amore certamente include il rispetto. È difficile, ma è cristiano.
5. Cosa si aspetta ora?
Una volta chiesero a Pedro Arrupe, ex superiore generale dei gesuiti: “Dove sta andando la Società di Gesù?”: lui rispose “Non ne ho idea!”. Questo è compito dello Spirito Santo. Non so prevedere che cosa produrrà questo invito alla costruzione del ponte, ma qualche idea ce l’ho: si ascolteranno le persone LGBT cattoliche; i vescovi non le licenzieranno più; i sacerdoti citeranno nelle omelie le loro storie e le loro lotte. Questo vorrebbe dire che i responsabili della Chiesa, a tutti i livelli, le aiuteranno a sentirsi accolte.
Qualcuno ha scritto che sarei “eccessivamente ottimista”: be’, ammetto volentieri la mia colpa. Sono eccessivamente ottimista perché credo nello Spirito Santo. Continuiamo la discussione.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e porterà una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).
Testo originale: Father James Martin answers 5 common questions about ‘Building a Bridge’