Le parole del Papa sull’omosessualitá: “Ascoltare, pregare e non giudicare”
Articolo di Salvatore Izzo pubblicato su agi.it il 3 Settembre 2018.
I colleghi più anziani conoscono il dramma vissuto negli anni ’50 da un giovane giornalista, poi diventato molto famoso. La sua famiglia infatti lo costrinse con pressioni psicologiche incredibili a sottoporsi alla cosiddetta “terapia di conversione”, cioè a elettroshock, medicine per “placare” gli impulsi e docce fredde. Tutto per curare la sua omosessualità. Ovviamente il risultato fu solo aprirgli le porte di un abisso, la depressione, quella sì una malattia dolorosissima che poi negli anni successivi periodicamente tornava a fargli visita, a dispetto dello straordinario successo ottenuto nella professione e della irresistibile popolarità che la sua bravura gli aveva guadagnato.
Domenica 25 agosto, sull’aereo che ci riportava a Roma da Dublino, Papa Francesco ha involontariamente evocato anche le ferite di quel grande giornalista ormai scomparso, quando probabilmente a causa di un lapsus ha pronunciato la parola “psichiatria” parlando delle confuse tendenze che si manifestano talvolta nell’adolescenza. Parola poi rimossa da un funzionario troppo zelante della Segreteria di Stato in modo che la risposta nel testo ufficiale risulta così: “Una cosa è quando si manifesta da bambino, quando ci sono tante cose che si possono fare, per vedere come sono le cose; un’altra cosa è quando si manifesta dopo i 20 anni o cose del genere”.
Leggendo la frase appare evidente che il Papa non si riferiva certo alla famigerata “terapia di conversione” ma all’aiuto che può dare uno psicologo perché la fase dell’età evolutiva possa essere vissuta con serenità.
Cosa ha veramente detto il Papa
L’equivoco ingenerato dal lapsus ha in parte vanificato lo straordinario e liberatorio messaggio che Papa Francesco ci ha affidato durante il volo dall’Irlanda rispondendo a un vaticanista spagnolo: “La tua domanda è chiara: cosa direi io a un papà che vede che suo figlio o sua figlia ha quella tendenza”. “Io gli direi anzitutto di pregare: prega. Non condannare, dialogare, capire, fare spazio al figlio o alla figlia. Fare spazio perché si esprima”, ha detto Francesco, “Poi, in quale età si manifesta questa inquietudine del figlio? È importante… Se l’omosessualità si manifesta da bambini forse ci sono cose da vedere con la psichiatria. Ma io mai dirò che il silenzio è il rimedio: ignorare il figlio o la figlia con tendenza omosessuale è una mancanza di paternità e maternità. Tu sei mio figlio, tu sei mia figlia, così come sei; io sono tuo padre e tua madre, parliamo. E se voi, padre e madre, non ve la cavate, chiedete aiuto, ma sempre nel dialogo, sempre nel dialogo. Perché quel figlio e quella figlia hanno diritto a una famiglia e la famiglia è questa che c’è: non cacciarlo via dalla famiglia. Questa è una sfida seria alla paternità e alla maternità”.
L’errore di chi si sente “padre-padrone”
Il ragionamento del Papa è molto chiaro ed è precisamente l’opposto di quella concezione da “padre padrone” che fa ricorrere ancora oggi alcune famiglie alla psichiatria per “curare” i figli con tendenze omosessuali. Questo avviene ancora oggi in diversi paesi, ad esempio in Cina dove alcuni attivisti sotto copertura si sono intrufolati in diverse cliniche del Paese per documentare i trattamenti a cui ancora oggi i gay vengono sottoposti per “guarire” da quella che, evidentemente, viene considerata ancora una malattia. In effetti la Cina ha rimosso l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali nel 2001 e solo dal 1997 non è stata considerata più un reato.
Nel 2015 però ha fatto il giro del mondo la notizia di Yu Quanhu, 34 anni, omosessuale cinese costretto a subire cure psichiatriche e a ricevere un trattamento per un supposto disordine sul proprio orientamento sessuale nella provincia di Henan. Secondo il quotidiano Global Times l’uomo era stato costretto dai suoi familiari ad andare all’ospedale Zhumadian lo scorso 8 ottobre, data in cui ha deciso di divorziare dalla moglie e uscire allo scoperto. Da mesi frequentava un uomo con cui aveva deciso di condividere il resto della vita: ma per parenti e medici si trattava solo di una persona malata.
Ma non è solo la Cina a tollerare simili aberrazioni: anche in Georgia alcuni medici hanno deciso di sottoporre un ragazzo gay a una “terapia di conversione” praticando su di lui alcune “applicazioni di elettroshock” e poi controllando le sue reazioni sessuali di fronte a un uomo nudo. I segni della “tortura” sono impressi per sempre sulle sue braccia.
In Italia qualche anno fa suscitò accesi dibattiti la canzone di Povia “Luca era gay”. In quel caso le proteste bruciarono il tentativo del cantante che assicurò di avere propositi del tutto tolleranti.
Ma è chiaro che le cicatrici causate dalle torture cui sono state sottoposte intere generazioni di omosessuali rendono molto sensibili ed è comprensibile che abbiamo provocato reazioni forti tanto la canzone di Povia quanto il lapsus di Francesco.
“Chi sono io per giudicare?”
In effetti Papa Francesco fin dalla prima conferenza stampa in aereo, tornando dal Brasile ha pronunciato su questo tema alcune frasi di grande apertura: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli”.
A queste espressioni manca tuttavia un seguito concreto: come risposta all’emergenza pedofilia, Benedetto XVI ha pubblicato una istruzione che proibisce di ordinare sacerdoti e di ammettere in seminario chi ha tendenze omosessuali anche se si impegna a vivere in castità. “In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Si tratta di una disposizione che discrimina in quanto condanna di fatto una tendenza e non un comportamento. Di fatto contrasta con lo spirito del Vangelo che lo stesso Papa Francesco testimonia ricevendo e telefonando a persone che soffrono l’emarginazione e spesso la violenza perché sono Lgbt e che ha espresso con grande tenerezza in un recente incontro con una vittima di abusi: “Dio ti ha fatto così e ti ama così e non mi interessa. Il Papa ti ama così e devi essere felice di ciò che sei”, ha detto a Juan Carlos Cruz, una delle vittime cilene di padre Fernando Karadima. Questo è un messaggio cristiano.