È festa LGBT in India, l’amore omosessuale non è più un crimine
Articolo di Michael Safi pubblicato sul sito del quotidiano The Guardian (Gran Bretagna) il 6 settembre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
È scoppiata la festa in India dopo che la Corte Suprema ha deciso all’unanimità di decriminalizzare il sesso omosessuale: una pietra miliare per i diritti LGBT. I cinque giudici dell’istanza più alta del Paese hanno sentenziato che la legge che punisce il sesso “che va contro l’ordine naturale”, vecchia di 160 anni, costituisce una discriminazione ed è incostituzionale.
La sentenza, arrivata dopo 24 anni di battaglie legali, ha reso folli di gioia le persone LGBT indiane e i loro alleati: nelle maggiori città del Paese è prevista un’intera notte di festeggiamenti. A Mumbai c’è stata una marcia con un’enorme bandiera arcobaleno; a Bangalore hanno sfilato drappeggiati della medesima bandiera e hanno liberato migliaia di palloncini. Nell’hotel di lusso Lalit, a Delhi, gestito da un noto attivista LGBT e che ospita un nightclub gay-friendly semiclandestino, gli impiegati hanno ballato nella hall.
“La criminalizzazione del rapporto carnale [omosessuale] secondo il comma 377 del codice penale indiano è irrazionale, indifendibile e manifestamente arbitraria” ha dichiarato il giudice Dipak Misra nella sentenza. Quello di Misra è uno dei quattro giudizi scritti per rimuovere la proibizione. La sentenza cita lord Alfred Douglas (“L’amore che non osa pronunicare il suo nome”), Leonard Cohen (“Dalle ceneri della gaiezza/verrà la democrazia”), William Shakespeare (“Ma cos’è un nome? Ciò che chiamiamo una rosa, sotto un altro nome avrebbe un profumo altrettanto dolce”) e il filosofo tedesco Johann Wolfgang von Goethe (“Sono quello che sono, quindi prendetemi per ciò che sono”).
Ha scritto Misra: “L’esclusione sociale, il ritiro identitario e l’isolamento dalla società maggioritaria sono realtà opprimenti, che ancora oggi gli individui devono affrontare; solo quando ogni singolo individuo verrà liberato da tali ceppi […] potremo definirci una società autenticamente libera”. Un altro dei giudici della Corte Suprema, Indu Malhotra, ha scritto: “La Storia deve presentare le proprie scuse ai membri di [questa] comunità per il ritardo nell’assicurare i loro diritti”. I giudici fanno propria la stima secondo cui l’8% della popolazione indiana (104 milioni di persone) potrebbe essere LGBT, una delle più grandi popolazioni LGBT del mondo.
L’annuncio della decisione ha causato uno scoppio di gioia nella folla radunata fuori dalla Corte Suprema. “Un punto a nostro favore. Resta ancora molto da fare, ma è un importante primo passo. Non siamo [più] criminali nel nostro Paese” grida Smrti, 19 anni, che non vuole dire il suo cognome, mentre abbraccia altre tre persone prima di essere seguita dalle telecamere.
Ritu Dalmia, una delle cinque attiviste LGBT che hanno firmato la petizione legale che ha portato alla storica sentenza, afferma che quest’ultima la fa ben sperare: “Mi stavo trasformando in un essere cinico, con una scarsissima fiducia nel sistema, ma devo essere sincera: oggi abbiamo dimostrato di essere una democrazia che funziona, dove i diritti, la libertà di scelta e di parola esistono ancora”.
“Oggi è una giornata storica. In futuro tutti verranno inclusi, tutti potranno realizzare i loro diritti fondamentali di uguaglianza, privacy, dignità etc. Questo ha deciso la Corte e ha fatto sì che tali diritti siano agibili e conosciuti da tutti” dice Anand Grover, uno degli avvocati che hanno seguito il caso.
Probabilmente questa decisione segna la fine dell’arduo cammino per legalizzare l’omosessualità nell’India moderna. Tra il 1994 e il 2001 alcuni casi sono rimbalzati da una corte all’altra per anni, complici giudici riluttanti a emanare una sentenza. L’Alta Corte di Delhi abolì la legge [che proibiva i rapporti omosessuali] nel 2009, ma quattro anni dopo la Corte Suprema rovesciò il verdetto.
Sebbene fosse raro che qualcuno venisse perseguito in base al comma 377, esso è stato spesso utilizzato per ricattare gay e lesbiche, ha contribuito alla loro emarginazione e ha indebolito gli sforzi per combattere malattie come l’HIV/AIDS.
Il gruppo LGBT Humsafar Trust, con il suo team che aiuta le persone in difficoltà a Mumbai, negli ultimi due anni ha seguito diciotto casi di gay ricattati dalla polizia o da altre persone, che minacciavano di denunciarli alle autorità. Il gruppo segnala almeno 52 casi di persone LGBT vessate o discriminate sul luogo di lavoro e impossibilitate a denunciare per via della legge sull’omosessualità.
Gli avvocati che hanno lavorato per ribaltare la decisione del 2013 hanno ricevuto un regalo l’anno scorso: “Tutto è cambiato con la sentenza sulla privacy dello scorso anno. Nell’agosto 2017, la Corte Suprema ha stabilito il diritto fondamentale alla privacy, e, come corollario, cinque giudici hanno stabilito che la sentenza del 2013 [che ribadiva la proibizione dei rapporti omosessuali] era sbagliata. È un fatto senza precedenti. I giudici hanno sentenziato su un caso del tutto slegato, che riguardava la privacy, e, una volta emanata quella sentenza, con l’imprimatur dell’intero collegio, il comma 377 era morto, implicitamente se non formalmente” dice Gautam Bhatia, avvocato e giureconsulto di Delhi.
La petizione è stata ascoltata dalla Corte Suprema lo scorso luglio, e i suoi sostenitori sono stati rinfrancati dal fatto che il Governo, sostenuto dai nazionalisti hindu, il quale aveva in precedenza espresso il suo sostegno per il comma 377, abbia deciso di non presentare ricorso.
Swami Agnivesh, un sacerdote hindu che ha sostenuto l’abolizione del comma 377, afferma che i Veda, le Scritture alla base di molte delle credenze hindu, non contengono nulla che vieti le relazioni omosessuali: “Secondo i Veda tutti gli esseri umani costituiscono una sola famiglia, a prescindere dalla terra cui appartengono o dal colore della pelle. Se due adulti decidono di comportarsi secondo il loro orientamento sessuale, di avere una relazione in privato, perché qualcuno dovrebbe obiettare?” ci dice fuori dalla Corte Suprema.
Il verdetto legalizza i comportamenti omosessuali, che secondo molti Indiani la loro cultura accettava prima dell’imposizione dei costumi conservatori vittoriani durante l’era coloniale. La legge antisodomia fu imposta all’India come parte di un gruppo di leggi miranti a combattere il vizio e l’immoralità e imposto alle colonie britanniche.
“Sono felicissimo, abbiamo cacciato i Britannici ancora una volta” dice Harish Iyer, scrittore e veterano dell’attivismo gay, che prevede già future battaglie per la comunità LGBT indiana: il matrimonio, la maternità surrogata e la elementare accettazione nelle regioni più conservatrici del Paese: “Questa è la fine della fase iniziale”.
Testo originale: Campaigners celebrate as India decriminalises homosexuality