God save the drag queen. Viaggio nella Gerusalemme liberata, tra sacro e profano
Articolo di Ariela Piattelli tratto dal settimanale Anna, 7 luglio 2011, pp.62-45
Tutti la vogliono santa. Ma un’anima alternativa le pulsa dentro, giorno e notte. Fuori dalla Città Vecchia c’è una Gerusalemme moderna che aspira alla normalità, e le cui notti sono popolate di drag queen. Si esibiscono al locale Hakatzè (“Giardino”).
Fino a qualche anno fa, era un semplice locale gay, poi il nuovo proprietario, Eyal, ha deciso di trasformarlo nel tempio dei travestiti, e pazienza se tutt’intorno è pieno di sinagoghe. «La coesistenza è pacifica», dice Eyal. «Abbiamo più problemi con i vicini, quando facciamo troppo chiasso, che con i religiosi».
E se prima erano i giovani di Gerusalemme a imbarcarsi in viaggi notturni per raggiungere la vicina Tel Aviv, oggi gli abitanti di Tel Aviv prendono sempre più spesso la via della Città Santa per divertirsi, magari proprio all’hakatzè. La regina della notte è Lior, 25 anni, in arte Kiara Duplè.
Di giorno insegna alle donne di Tel Aviv come ci si trucca “da vera signora”, di notte diventa una drag queen. Lui viene da una famiglia religiosa di Gerusalemme, che ha faticato ad accettare non solo la sua omosessualità, ma anche la passione per le esibizioni drag.
«Da sei anni faccio spettacoli qui», racconta Lior. «Prima era difficile, ma ora sta cambiando tutto. Si ricomincia a vivere, dopo il terrore e i conflitti. Sta accadendo qualcosa di straordinario». Lior ha un centinaio di fan che lo seguono ovunque, ma la sua preferita è Eti, la mamma, presente a tutte le sue esibizioni. Quando il figlio entra in scena, Eti grida orgogliosa “questo è il mio Lior!”, come se si trattasse del saggio di danza di fine anno di una scolaretta.
Per chi non è in cerca di trasgressioni, c’è la movida di Gerusalemme, che non si ferma mai. Puoi saltare da un bar pieno di giornalisti stranieri a Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, a un localino del German Colony per ragazzi religiosi che indossano la kippà. O scappare da una bettola in centro dove si incontrano ultra ortodossi, arabi, attivisti politici e artisti, per raggiungere un salotto in stile europeo, pieno di turisti facoltosi.
Il Bolinat è aperto 24 ore su 24, in un vicolo vicino alla Ben Yehuda street. Chiude quattro giorni l’anno, e il venerdì si trasforma in una discoteca a cielo aperto. Panini, alcol, musica.
Proprio come in uno street party «Voglio vivere qui e non mi sposterà mai», sorride Amanda, mentre fuma una sigaretta e beve un cappuccino davanti al suo computer, il pomeriggio, ancora stanca dalla nottata di bagordi del weekend. Amanda ha 22 anni ed è arrivata dal Minnesota per studiare l’oud, strumento a corde che ha un festival tutto suo a Gerusalemme. «Ho viaggiato tanto prima di trovare la mia dimensione, adesso mi sento a casa». Ventenni cosmopoliti di Gerusalemme. Alle prese con i nuovi amori. E anche con gli appuntamenti al buio, o combinati, che qui sono tutt’altro che trasgressivi.
All’hotel King David, dove dormono i capi di Stato, alle sette è l’ora dell’aperitivo. L’elegante salotto si popola di giovani ebrei religiosi, per un appuntamento che potrebbe sfociare in un matrimonio. Le coppie siedono vis-à-vis sulle eleganti poltrone. Bevono un tè o un cocktail. Lui indossa la kippà, lei è elegante e ben coperta. Non si sfiorano, padano degli studi o di lavoro. Si sorridono con imbarazzo. Se la conversazione funziona è probabile che al terzo appuntamento la data del matrimonio sia fissata.
Ma i ventenni non religiosi, e sono tanti visto che c’è la Hebrew University (dalla quale sono usciti parecchi premi Nobel) e le scuole d’arte, fanno i conti con i problemi delle metropoli del mondo. La criminalità. La droga. «Certo, anche qui abbiamo i problemi delle grandi città», dice Amanda. Proprio a pochi passi dal Bolinat, c’è la “Crack Square”, la piazza al centro della città, presidiata, oltre che dall’esercito, dagli spacciatori.
La Gerusalemme della perdizione, della droga e della gioventù bruciata l’ha raccontata David Grossman in Qualcuno con cui correre, romanzo che poi è diventato un film. Gli studenti fanno le maratone notturne nei locali, concentrati nei quartieri di Nahlaot, Emek Refaim e Nahalat Shiva. Magari si inizia con una birra al “Cassetta”, il più piccolo locale del mondo.
Poi una tappa all’ “Uganda” o al “Sira”, locale storico ricavato in una grotta, dove si alternano dj ebrei e musulmani. Shaanan Streets, leader del gruppo Dag Nahash (Pesce serpente) ci ha suonato per anni prima di diventare una star hip hop (nel ‘95, con il singolo Shalom, Salam, Peace ha conquistato le classifiche). Il futuro di Gerusalemme è nel meltin’ pot e nel multiculturalismo. Anche a tavola. Uno dei ristoranti più trendy d’Israele è il nuovo Mahane Yehuda, vicino al mercato. Prodotti freschissimi per piatti israelfusion, che riassumono tutte le tradizioni della città. La buona cucina è alternata da momenti musicali e bisogna prenotare un tavolo con dieci giorni d’anticipo.
E se la movida di Gerusalemme è una novità, l’offerta culturale è sempre stata la vera “eccellenza”. Ma non lo sa nessuno. «La cultura a Gerusalemme è una grande risorsa sin dai tempi del Re David», spiega Karen Brunwasser, vicedirettore della Jerusalem Season of Culture, rassegna estiva di eventi. » Gerusalemme ha ispirato poeti, musicisti e scrittori.
Oggi la “Musa” si esprime attraverso la cultura contemporanea della città, che vanta l’offerta museale più importante d’Israele, scuole d’arte prestigiose come l’Accademia Bezalel e la Sam Spiegel School. Poi ci sono i festival internazionali: quello del cinema nella splendida Cinémathèque, e il Festival Internazionale di Letteratura a Mishkenot Sha’ananim».
Ma allora, perché questa cultura contemporanea di Gerusalemme è così poco nota? «C’è poca cooperazione tra le diverse realtà culturali», spiega la Brunwasser. «Sono perle disperse, bisogna raccoglierle e metterle insieme. Per questo è nata la Jerusalem Season of Culture…».