Come credenti sappiamo accettare il rischio della libertà?
Articolo di Roberto Colombo pubblicato in “Avvenire” del 15 Settembre 2018
Nel canto quinto del Paradiso, Dante ricorda che «lo maggior don che Dio fesse creando» l’uomo «e quel ch’è più apprezza» di ciò «che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate» è la libertà (vv. 19-24). Tre secoli dopo, dalla Spagna gli farà eco Miguel de Cervantes con le parole rivolte dal cavaliere al suo scudiero: «La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita» (L’ingegnoso signor Don Chisciotte della Mancia).
Oggi come allora questo tributo alla libertà corrisponde alla nostra esperienza elementare del rapporto con Dio, tra noi e con il mondo, ed è quello che più unisce il nostro anelito, la nostra passione per la vita e il destino buono che ci attende secondo la promessa indefettibile del Creatore, a quelli di ogni donna e uomo su questa terra, qualunque sia quella in cui è nato, la sua pelle e la sua fede.
Su di essa – la libertà – l’uomo non ha mai cessato di riflettere, nella semplicità del proprio cuore non meno che nell’organica riflessione della mente da cui è scaturita la filosofia e la teologia, e non vi è gesto della vita umana che non evochi il fascino e il mistero della decisione per l’esistenza cui ciascuno di noi è chiamato ogni giorno, fin dal primo mattino. Accettare noi stessi per quello che siamo e non per come vorremmo essere, capaci del bene e anche del male perché «capaci di Dio» (sant’Agostino), e accogliere gli altri per come sono e non secondo la nostra immaginazione, significa accettare il rischio della libertà.
Un rischio (nell’accezione anzitutto positiva del termine) che è ineludibile in ogni rapporto in cui l’uomo gioca tutto sé stesso con gli altri e con l’Altro, nel tempo e per l’eternità: come nell’amore sponsale, la generazione dei figli, la consacrazione a Dio, l’educazione, il lavoro, la solidarietà, l’elemosina, l’accoglienza, la relazione di cura con un malato, l’impegno sociale e politico e il servizio alla Chiesa. Dio stesso, nel ‘fare i conti’ con l’uomo, ha rischiato tutto sulla sua libertà, e suo Figlio ha sofferto il rifiuto, l’ingratitudine e la morte in Croce per salvare la libertà e il destino dell’uomo.
A distanza di giorni, vale la pena di tornarci su: ha sorpreso e anche amareggiato la decisione di quasi tutti i migranti giunti nel nostro Paese sulla nave ‘Diciotti’, e accolti chi al centro ‘Mondo Migliore’ di Rocca di Papa e chi in alcune diocesi grazie all’intervento della Chiesa italiana, di abbandonare improvvisamente e senza fornire spiegazioni le ospitali strutture per avventurarsi in altri luoghi italiani o europei, privi della premurosa assistenza materiale, sanitaria, comunitaria e legale che era stata offerta loro.
Le parole del cardinale Bassetti a questo giornale non lo hanno nascosto: «Sono profondamente dispiaciuto per l’allontanamento dei profughi da Rocca di Papa. So con quanto amore e premura erano stati accolti dalla Caritas, ci siamo veramente sentiti di fare per loro tutto ciò che facciamo per i nostri poveri. E ora temo per la loro sorte».
Una decisione che il presidente della Cei considera un «un’imprudenza», ma che ha accolto come fa un autentico padre quando il proprio figlio abbandona prima del tempo dovuto la sua casa: «Rispetto la loro scelta anche se la ritengo in parte assurda. ‘Liberi di partire, liberi di restare’».
L’immagine di una famiglia e dei rapporti veri – e per ciò stesso liberi – tra una madre, un padre e i loro figli è quella che meglio rappresenta la Chiesa e il compito che essa sta svolgendo, tra non poche difficoltà sociali e politiche, nel dramma dei migranti che approdano nel nostro Paese.
«Abbiamo fatto sentire loro che la Chiesa è una famiglia. Questo non ha impedito le loro libere scelte, anzi. Si sono sentiti trattati come esseri umani dopo chissà quanto tempo, hanno ripreso coscienza della propria dignità» e, dunque, della propria libertà. La Chiesa si muove per gratuità, non per necessità o per decreto, donando quello che essa stessa ha ricevuto da Dio e dagli uomini: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 8).
Non c’è gratuità senza libertà in chi dona e in chi riceve. L’accoglienza gratuita porta con sé il rischio del rifiuto o delle scelte non condivise. Nell’avventura della vita, dobbiamo solo amare la libertà dell’altro come amiamo la nostra e pregare perché tutte e due abbraccino il bene e respingano il male.