Voci di uomini e donne perseguitati perché omosessuali
Articolo tratto dal Guardian (Inghilterra), 13 Settembre 2011, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Voci dal mondo di persone* che si sono trovate perseguitate (in Nigeria, Iraq, Zimbabwe, Sudan, Tunisia e Pakistan) perche sono omosessuali.
Bisi Alimi, Nigeria
Nel 2002 frequentavo l’università in Nigeria ed ero candidato alle elezioni. Un periodico scrisse su di me presentandomi come gay. Questo indusse l’università a convocare un comitato disciplinare. Sono stato a un pelo dall’essere espulso.
Quando mi sono laureato, volevano rifiutarmi il diploma dicendo che non avevo uno standard morale sufficiente per comparire tra i laureati dell’università. Mentre la faccenda si trascinava, l’allora presidente, Olusegun Obasanjo, dichiarò che non c’erano omosessuali in Nigeria, e che una cosa simile non sarebbe stata permessa nel paese.
Parlai con una mia amica, una famosa conduttrice di talk show nigeriana, per fare qualcosa contro questa opinione. Nessuno aveva mai fatto un coming out pubblico. Così, nell’ottobre 2004, fui ospite nel suo show mattutino, “New Dawn with Funmi Iyanda” (Nuova Alba con Funmi Iyanda). Parlai della mia sessualità e del dramma dell’epidemia di HIV nella comunità gay.
La reazione fu immediata e violenta. Subii brutalità dalla polizia e dalla comunità. Venni diseredato dalla mia famiglia e persi molti amici, anche nella comunità gay. Avevano paura perché mi conoscevano. Ero isolato, senza supporto e senza lavoro.
Il programma TV venne sospeso dal governo. L’episodio portò alla presentazione della proposta di legge per criminalizzare l’omosessualità del 2006. Io non avevo fatto altro che dire chi ero.
Tre anni dopo fui ospite al BBC World Service. Ripetei ciò che avevo detto alla televisione nigeriana e suggerii che il mio governo stesse usando gli attacchi all’omosessualità per stornare l’attenzione dalla sua corruzione.
Quando tornai in Nigeria venni arrestato, detenuto e picchiato dalla polizia. Per un mese, prima della mia nuova fuga nel Regno Unito nell’aprile 2007, la mia vita fu in costante pericolo.
Nasser, Iraq
Lavoravo per gli Americani come traduttore. Quando tornai in Iraq trovai la mia casa confiscata dalla milizia del Mahdi [figura messianica, nella tradizione islamica n.d.t.]. Loro sono Sciiti, io sono Cristiano.
Quando bussai alla porta, dissi: “Questa è la mia casa.” Loro dissero: “Questa non è la tua casa. Vattene o ti ammazziamo.” Mi picchiarono. Mi colpirono in testa con le loro armi. Scappai via, così andarono a cercare i miei figli.
Venni a sapere che avevano chiesto ai miei vicini informazioni su di me, e che i vicini avevano detto che ero gay. Ora ero in serio pericolo. La milizia catturò il mio figlio maggiore. Lo uccisero per arrivare a me. Dopo trovarono l’altro mio figlio e lo torturarono per avere informazioni su di me. In seguito uccisero anche lui. Scappai in Siria, e ora sono solo, senza famiglia.
Skye Chirape, Zimbabwe
Io, lesbica cresciuta in Zimbabwe, semplicemente non esistevo. Rendermi visibile mi sarebbe costato il carcere, poi stupro “correttivo”, matrimonio forzato, un bando, botte, persino la morte. Non c’era nemmeno una raffigurazione che mettesse insieme sessualità gay o lesbismo con l’Africanità, da nessuna parte. A causa della mia severa educazione borghese e cristiana, la vita era dura e ogni giorno era una sfida.
Non si discute mai di omosessualità, nella comunità, nei media, o in famiglia, se non negativamente. Chiunque venga percepito come fuori dalla norma è visto come una disgrazia o una vergogna. Così decisi di lasciare lo Zimbabwe per il Regno Unito.
Comunque, mentre le relazioni sessuali tra uomini sono illegali in Zimbabwe, non c’è nessuna legislazione specifica contro le lesbiche. Questo ha permesso al Ministero dell’Interno (Inglese) di concludere che molte lesbiche che vengono dallo Zimbabwe non hanno una paura giustificata della persecuzione e non possono chiedere l’asilo politico.
Dopo un’odissea lunga sette anni, un tappeto rosso burocratico, incluso un imprigionamento fittizio per immigrazione illegale, finalmente mi concessero l’asilo politico nel Regno Unito. Ora studio psicologia forense e lavoro nel sistema giudiziario britannico.
Penso che la visibilità sia un passo avanti per combattere la criminalizzazione e la persecuzione degli LGBT. Sento anche che sia importante rivendicare la nostra storia, dato che molti Africani credono che l’omosessualità sia importata dall’estero, nonostante il fatto che furono gli Europei a imporre il divieto dell’omosessualità nelle loro colonie Africane.
Come rifugiata, io denuncio i due grandi mali che minacciano la società Africana: l’odio e l’ignoranza, influenzati dalla religione.
Ali, Sudan
Con altri 11 suoi amici, Ali venne imprigionato dai servizi segreti sudanesi dopo un blitz a una festa privata. Vennero messi in isolamento in celle da 1.5 metri quadrati. Ali venne lasciato senza a acqua e cibo per due giorni. Degli 11 amici cui Ali fa riferimento, otto vennero poi frustati, cento colpi ciascuno, mentre il destino di altri tre membri, incluso il suo ragazzo, è sconosciuto.
Mi spogliarono e cominciarono a interrogarmi. Mi chiesero di tutto: se ero gay, sui miei amici, la mia famiglia, la politica e le mie attività nell’associazione LGBT.
Uno di essi mi puntò una pistola alla testa e disse: “Vorrei poterti uccidere in questo momento.” Mi trascinarono per le gambe e mi legarono capovolto, e cominciarono a battermi con una sbarra di metallo su tutto il corpo; mi colpirono anche sul pene.
Usarono la sbarra di metallo per stuprarmi, e ridevano a gran voce, chiedendo: “Ti piace, ne vuoi ancora?” Urlavo di dolore e sanguinavo dappertutto. Continuarono fino a che non persi conoscenza.
Rimasi lì per quasi quattro settimane e passai altri tre mesi e mezzo in prigione. Aspettavo il processo, dando per scontato che sarei stato condannato a morte. Poi alcuni membri della famiglia riuscirono a farmi evadere e fuggii dal paese con un passaporto falso.
Tarik, Tunisia
Cinque anni fa, prima di lasciare la Tunisia, non solo sentivo giudizi omofobici, li esprimevo anch’io. Appartenevo a un gruppo religioso estremista e mi insegnavano che gli omosessuali dovrebbero essere uccisi buttandoli da un quinto piano. Mi insegnavano che essere gay è dovuto al diavolo che abbiamo dentro. A me piacevano gli uomini e odiavo me stesso.
La ragione principale per cui non voglio tornare in Tunisia è che non voglio perdermi – ho paura del “vecchio” me; mi piace il “nuovo” me. Essere gay in Tunisia può portarti in prigione.
Le autorità diffondono regolarmente propaganda per manipolare o soddisfare l’opinione pubblica, così la gente è sollevata quando un gruppo gay viene arrestato e sente che la polizia sta lavorando bene.
Tra la gente ricca, i gay possono sopravvivere, ma nel resto del paese hanno due opzioni: possono sposarsi, dire le preghiere, essere buoni Musulmani; o possono prostituirsi, farsi abusare da bisessuali frustrati e vedersi trattati con disprezzo e odio. Sono minacciati dalle malattie sessualmente trasmissibili e fanno molta fatica a tirare avanti.
Le leggi anti-gay in Tunisia vengono anche usate per vendicarsi. Uno può, in ogni momento, accusare il suo nemico di praticare la sodomia, anche se non è vero.
Il blog di Tarik è gay-ana.blogspot.com
Un uomo gay di Karachi, Pakistan
Quando si parla di omosessualità, ci sono due Pakistan. Il primo comprende la maggior parte del paese, gente relativamente poco istruita, non benestante e senza accesso ad Internet. Per loro è molto difficile; non hanno coscienza di cosa significhi essere gay. Detto questo, non succede che la gente venga presa e appesa ad un lampione (ndr perché gay).
Io vengo dall’altro Pakistan – una comunità urbana più privilegiata che è collegata a quello che succede nel resto del mondo, attraverso la moda e i film e la cultura. Ho una vita sociale normale come quella di chiunque altro, semplicemente non è un problema. Ma tutto è molto discreto, controllato con il radar.
Abbiamo leggi draconiane che proibiscono l’attività omosessuale, e una fetta di partiti politici che hanno fatto recentemente delle dichiarazioni in cui mostrano di non essere disposti ad accettare i gay.
Lottare per i diritti dei gay sarebbe controproducente qui – è una battaglia persa in partenza. In India hanno usato l’HIV come piattaforma per tenere unita la comunità. In Pakistan questo sarebbe la ricetta per il disastro, che porterebbe a recriminazioni terribili.
In realtà le nostre leggi contro l’omosessualità, che risalgono ai colonizzatori britannici, vengono raramente applicate. Per la maggior parte della gente è un problema di spazio. Le nostre sono di solito delle famiglie allargate e ci si può permettere pochissima privacy. Si vive gomito a gomito con i parenti stretti per molti anni.
Internet ha creato un enorme spazio dove la gente può incontrarsi, attraverso i siti di incontri e altro. Alcuni non si fanno problemi a mostrare la faccia o rivelare la propria identità, il che mostra che c’è una classe giovane, colta, urbana a cui non importa un tubo.
Rowland Jide Macaulay, Nigeria
Mio padre scoprì che ero gay nel 2003 e per tre anni ci siamo scambiati poche parole, tranne alcune lettere velenose che mi ha scritto. Molti anni dopo mio padre è diventato un attivista per famiglie che hanno figli gay e figlie lesbiche.
Mio padre è un leader della comunità e a livello nazionale in Nigeria, un rappresentante dell’etica, della morale e della teologia Cristiane. Ciò fa di lui un grosso bersaglio di odio.
La Nigeria, per come la vedo io, è una società di gente comprensiva, e a volte i media escono con titoli sensazionalistici sull’omosessualità, rendendo difficile gestire la situazione per le persone e le famiglie normali.
Drammatizzano lo stigma e l’odio atavico. Non sono sorpreso dei molti LGBT nigeriani che cercano rifugio nel Regno Unito e in altri paesi stranieri.
Io dico “lasciate in pace mio padre” perché non ha fatto nulla di male. È un grande papà e un meraviglioso nonno. Gioisce del successo dei suoi figli e nipoti. Ha molti altri figli adottivi, di tutti si prende veramente cura.
Alcuni sono gay e alcuni sono persone di successo. Ho caro e amo mio padre, non solo per la sua presa di posizione sugli argomenti che mi riguardano ma per gli innumerevoli problemi che affronta e risolve ogni giorno, la sua forza e i suoi traguardi, e non potrei desiderare amico migliore.
* Alcuni nomi sono stati cambiati. Storie raccolte grazie al gruppo di attivisti del Gay Middle East http://gaymiddleeast.com
Testo originale: Persecuted for being gay