Di cosa hanno bisogno le famiglie cattoliche con figli LGBT?
Testo di Casey e Mary Ellen Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay), Trafford Publishing, 2003, capitolo 12, liberamente tradotto da Diana
Ventotto uomini e donne erano seduti in circolo nella sala riunioni del convento. Erano tutti madri e padri di figli gay e figlie lesbiche. Per quasi tutti questa era la prima occasione di trovarsi insieme ad altri genitori che condividevano la loro stessa esperienza. Il primo esercizio era pensato per aiutarli a focalizzarsi sul loro figlio o figlia omosessuale e a condividere qualcosa di quel figlio o figlia con gli altri genitori. Una grande palla di filo dei colori dell’arcobaleno (i colori dell’arcobaleno simboleggiano speranza, ma in questo caso indicano anche la meravigliosa diversità della creazione di Dio) è stata data a un genitore per scriverci il suo nome, quello del figlio o figlia omosessuale e qualcosa che voleva il gruppo sapesse di lui o lei. Poi, tenendo in mano un capo del filo, ha lanciato la palla ad un altro genitore, il quale, a sua volta, ha fatto le stesse cose, poi tenendo un capo del filo ha lanciato la palla ad un altro genitore, e così via. Alla fine, erano tutti connessi da una rete fatta col filo e dalla condivisione delle loro storie.
Era prevista una seconda parte dell’esercizio, ma il gruppo non ci è mai arrivato. Avendo la possibilità di parlare del loro figlio o figlia omosessuale in un ambiente sicuro e protetto, non si sono limitati a condividere una sola cosa di lui o lei: ogni genitore ha enumerato un lungo elenco di qualità meravigliose di cui era dotato/a. Mentre parlavano, si creava un nuovo stereotipo sulle persone omosessuali: i loro figli (con tutti i loro difetti lasciati inespressi) erano le persone più brillanti, premurose e sensibili al mondo.
Lacrime di sollievo e di gioia scorrevano nel cerchio, sollievo e gioia di poter finalmente esprimere pubblicamente la bontà dei loro figli omosessuali e il loro amore. La maggior parte dei genitori sapevano da anni che loro figlio o figlia era omosessuale, eppure quella era la prima volta che si sentivano sicuri e accolti; era la prima volta che venivano compresi in un contesto di fede cattolica.
Questo esercizio ha avuto luogo in un giorno di riflessione per genitori cattolici di figli gay e lesbiche. Mostra quanto si sentano isolati i genitori e quanto abbiano bisogno di esprimere il loro amore per i loro figli e di condividere la loro storia con altri che li possano comprendere.
Come detto in precedenza (capitolo 9), i genitori fanno una chiara distinzione fra il ruolo che la fede ha nella loro vita e il bisogno (spesso inarticolato) di conoscenza e incoraggiamento da parte della loro Chiesa quando apprendono che loro figlio o figlia è omosessuale. In ogni caso, il ruolo cruciale della fede e il bisogno critico di sostegno da parte della comunità di fedeli non diminuisce, anzi spesso aumenta, col tempo. Molti genitori attingono forza dalla loro fede e dai Sacramenti, anche se gran parte della Chiesa e delle parrocchie mancano di consapevolezza e ignorano o rifiutano i loro bisogni.
I genitori trovano confusi se non dannosi alcuni documenti del Vaticano. Hanno grande difficoltà nel mettere a fuoco il significato filosofico e psicologico di termini come “disordinato”. Desiderano che da Roma vengano pronunciamenti più compassionevoli e sensibili da un punto di vista pastorale, ma quanto vogliono e desiderano maggiormente è il supporto della Chiesa locale: la loro diocesi, la loro parrocchia, la comunità di fedeli, che dovrebbero essere la mano amorevole e il cuore di Cristo nelle loro vite di tutti i giorni.
La maggior parte dei genitori ha trovato aiuto nella fede durante il difficile periodo del coming out, hanno cercato e trovato conforto da suore, consiglieri pastorali, preti. Tuttavia, i genitori hanno bisogno di qualcosa in più di un pastore comprensivo, per quanto questo sia un aspetto importante. È importante anche ricordare le necessità di quei genitori che hanno evitato le parrocchie, sapendo o sospettando che la risposta non sarebbe stata quella di cui avevano bisogno. La domanda del questionario: “Come pensate che la Chiesa (preti, suore, diaconi e altri operatori pastorali, la vostra comunità di fedeli e la maggior parte della Chiesa) potrebbe essere di maggior aiuto verso i genitori che affrontano questa notizia?” ha suscitato un’ondata di commenti da parte di più di 170 genitori. La passione e il candore delle loro osservazioni sono travolgenti. Continuano a scrivere sulla necessità di apertura, supporto, empatia, educazione (specialmente da parte degli operatori pastorali, in particolare i sacerdoti), compassione, fine del nascondimento, riconoscimento delle figlie lesbiche e dei figli gay e affermazione della loro bontà. Riportiamo alcuni commenti.
-È necessaria l’educazione nello spirito di Alwas Our Children. Dovrebbe essere generalizzata e richiesta a tutti gli insegnanti e operatori pastorali, specialmente i preti. La mia conoscenza, pur limitata, è maggiore di quella del mio parroco, e lui è un ex preside di liceo, che sa che ci sono parecchie persone omosessuali nella nostra parrocchia.
-Si deve rompere il silenzio e le persone, compreso tutto il personale della parrocchia, va educato. I genitori di persone gay/lesbiche devono sentirsi citati nelle preghiere.
-I preti dovrebbero dare meno giudizi ed essere più disponibili al dialogo e all’ascolto delle nostre esperienze di vita.
-Dovrebbero essere più accoglienti verso le persone gay/lesbiche della comunità. La Chiesa dovrebbe riconoscere i doni delle persone gay/lesbiche che servono la Chiesa. Credo che queste persone siano piene di rabbia.
-Basta col segreto.
-Sviluppate gruppi di sostegno e pubblicizzateli, non manteneteli segreti.
Tutte le idee e i suggerimenti dei genitori possono essere utilizzati per un’azione pastorale significativa. Quattro aree generali di interessi emergono da questi commenti: 1) educazione 2) affermazione e rassicurazione 3) sostegno e 4) accoglienza.
Educazione
I genitori pensano ci sia un bisogno critico di educazione per tutti, dal parroco, al personale della parrocchia, fino ai fedeli della comunità. Alwas Our Children raccomanda che i genitori “usufruiscano dell’educazione e del sostegno” e incoraggino gli operatori pastorali “a saperne di più sull’omosessualità e sulla dottrina cattolica, in modo che le loro preghiere, insegnamento e consigli siano informati ed efficaci”. I genitori aggiungono che i sacerdoti dovrebbero essere disponibili a imparare e non a giudicare, a rispondere alle domande, a mettersi in ascolto e ad essere aperti, non a mantenere tutto segreto. L’educazione è necessaria ad ogni livello della comunità di fedeli.
Affermazione e rassicurazione
Sue, una donna lesbica, e la sua compagna Nadine sono insieme da più di 15 anni. Sue è architetto e Nadine infermiera. Pochi anni fa hanno adottato una bambina cinese. Hanno letteralmente salvato la bambina da un orfanotrofio che non riusciva a prendersi cura dei bambini. La bambina ha delle cicatrici che testimoniano la scarsa cura ricevuta. Un po’ di tempo fa Sue, Nadine e Kelly, che aveva 4 anni, hanno passato un weekend in Florida per festeggiare il compleanno della madre di Sue. In quell’occasione hanno partecipato alla Messa domenicale nella parrocchia della madre di Sue. Mentre raccontava la sua storia, Sue non riusciva a trattenere le lacrime: il prete nella sua omelia disse che le persone gay e lesbiche erano un pericolo per la società e in particolare per le famiglie, questo alla presenza di sua madre e di sua figlia. Sue si chiedeva: “Quando avrà fine tutto ciò?”. Le parole del prete hanno ferito Sue e Nadine, ma il danno si estende alla figlia Kelly, alla madre di Sue e a ogni altra persona gay o lesbica e alle loro famiglie presenti alla funzione. In verità, chiunque ascolti questi stereotipi, segno di disinformazione e di giudizi affrettati, viene ferito.
Peter è stato gravemente picchiato fuori da un bar gay. Mentre si stava riprendendo dalle ferite in ospedale, richiese la visita di un prete. Il cappellano si rifiutò, perché l’incidente era avvenuto fuori da un bar gay.
Forse incidenti come questi sono rari (o forse no), ma rappresentano una realtà per alcune persone gay/lesbiche cattoliche e le loro famiglie. Le persone omosessuali cattoliche e chi le ama si aspettano di essere trattate con la dignità e il rispetto dovuto a ogni creatura di Dio. Meritano di essere salvaguardate da dichiarazioni e azioni basate sulla paura. I genitori meritano che venga riaffermato il loro amore per i loro figli omosessuali e che i ministri della Chiesa dichiarino che Dio ama i loro figli. Alwas Our Children incoraggia i genitori “ad amare e accettare se stessi come genitori per poter accettare e amare i loro figli”, e raccomanda che i rappresentanti della Chiesa “evitino stereotipi e condanne […] e usino le parole ‘omosessuale’, ‘gay’ e ‘lesbica’ in modo onesto e preciso”.
I genitori hanno soprattutto necessità di sapere che non hanno fatto nulla di sbagliato. Occorre che la Chiesa riaffermi la bontà dei loro figli contro il pregiudizio e la discriminazione presenti in larga parte della società. Vogliono essere rassicurati sul fatto che i loro figli saranno accolti nella comunità di fedeli e vogliono sentir apprezzare i doni che i loro figli portano alla casa di Dio.
Gruppi di sostegno
Più della metà dei genitori che hanno detto di aver trovato aiuto al di fuori dei rappresentanti della Chiesa si sono rivolti a PFLAG (Genitori, famiglie e amici di persone lesbiche e gay). Lo scopo primario di PFLAG è quello di dare aiuto ai genitori quando vengono a sapere che loro figlio o figlia è omosessuale. Alle riunioni di PFLAG i genitori si sentono protetti e condividono paure, confusione, speranze e gioie. Vengono accolti con l’ascolto, gli abbracci, la comprensione. I loro figli vengono accettati e riconosciuti nella loro totalità di esseri umani responsabili. Gradualmente, in questa atmosfera, i genitori cominciano a liberarsi dei loro timori e a iniziare il loro percorso di comprensione.
L’isolamento è uno dei maggiori impedimenti alla comprensione e alla pace che i genitori devono affrontare. Condividere la propria storia con un altro che prova reale empatia è spesso il primo passo verso la guarigione. Può essere molto importante, per i genitori che hanno la fede come centro della loro vita, trovare un luogo sicuro all’interno della comunità di fedeli. Always Our Children dice ai genitori “di stendere la mano con amore e spirito di servizio ad altri genitori che stanno lottando con l’omosessualità dei propri figli”. Si raccomanda che i sacerdoti “aiutino a formare e promuovere gruppi di sostegno per genitori e famigliari”. I genitori richiedono apertamente gruppi di sostegno e reti di genitori che desiderano condividere le proprie esperienze, ascoltando ed incoraggiandosi a vicenda. Vogliono gruppi di sostegno e luoghi, date e orari degli incontri pubblicati sui bollettini parrocchiali. Vogliono che non ci siano più segreti e che venga eliminato lo stigma della vergogna. Infine, desiderano qualcuno con cui parlare a cui narrare la propria esperienza.
Accoglienza
La maggior parte delle parrocchie afferma di essere accogliente, ma se viene negata l’esistenza delle persone omosessuali e delle loro famiglie, non può esserci vera accoglienza. Si sentono spesso dichiarazioni di questo tipo: “L’omosessualità non è un problema nella nostra parrocchia”; “Qui non ci sono gay”. Se questa affermazione è vera in ogni parrocchia del nostro Paese (ed è improbabile), è perché una persona cattolica omosessuale si sente non accolta, insicura, non accettata nel suo essere in quella parrocchia, e perciò rimarrà in silenzio e invisibile o la abbandonerà. Non ci vuole molto a capire che un genitore che ama suo figlio o sua figlia omosessuale si sentirà anche lui non accolto in quella parrocchia. L’accoglienza comprende un’intera serie di atteggiamenti e azioni. Ci sono persone cattoliche omosessuali che sono soddisfatte di poter partecipare all’Eucarestia durante la Messa senza essere apertamente evitate o ingiuriate pubblicamente dal pulpito. Sentono che l’invito alla tavola del Signore proviene direttamente dal Signore; per loro è semplice, per altre può essere più complicato.
Alcune persone si sentono a disagio per il silenzio e la negazione; altre, per la percezione di un sottile pregiudizio o discriminazione. Per esempio, una coppia lesbica consolidata ha adottato tre bambini, tutti fratellastri: stessa madre con padri differenti. Il maggiore ha cinque anni. Nina ha lasciato il lavoro per dedicarsi a tempo pieno ai bambini, mentre Judy mantiene la famiglia. Entrambe sono cattoliche dalla nascita, amano la loro fede e sentono il bisogno e meritano di ricevere i Sacramenti e di essere circondate da una comunità di fedeli. La famiglia va a Messa tutte le domeniche e Judy e Nina sono attive nella vita parrocchiale, per quanto lo permette la loro vita famigliare molto impegnativa. Nina fa parte del consiglio parrocchiale e ha servito come ministra dell’Eucarestia fino a poco tempo fa, quando è stata stralciata dal suo ruolo, senza clamore, in seguito alle lamentele di un parrocchiano che sosteneva che una lesbica non poteva avere incarichi [in parrocchia]. Né il parroco, né nessun altro nell’ufficio pastorale ha colto l’occasione per educare la comunità. Judy e Nina non si sentono più a loro agio nella parrocchia.
George, un uomo gay, afferma che non solo è possibile essere gay e cattolico, ma sarebbe impossibile per lui non esserlo. Il suo cattolicesimo e la sua omosessualità sono parti integranti dellla sua identità. George sfida la propria comunità di fedeli e, per estensione, tutti noi, dicendo che le persone gay e lesbiche non vogliono sacerdoti che li considerino semplicemente ragazzi emarginati; egli propone un “ministero non basato sulla forza”, che consideri la persona nella sua interezza, che tenda la mano per sanare e aiutare, se necessario, ma anche, cosa più importante, per conoscere, apprezzare ed educare coi doni che possono offrire le persone gay e lesbiche.
Il gay che desidera solo non essere violentemente insultato, la lesbica che vuole “un ruolo attivo nella comunità cristiana” e George vogliono in realtà tutti la stessa cosa: essere amati dal prossimo, amati e giudicati da Dio. Lo vogliamo tutti. Certamente desideriamo aiuto nei momenti di bisogno, ma anche conferma e riconoscimento dei talenti che Dio ci ha dato e dell’energia che portiamo nella nostra comunità.
Per essere amati, bisogna essere riconosciuti, ed ecco dove inizia un ambiente accogliente. Si deve spezzare il silenzio… I genitori di figli gay e figlie lesbiche vogliono essere menzionati nelle preghiere. La comunità di fedeli deve condannare i comportamenti omofobi e le ideologie che li sostengono. La comunità deve essere accogliente, aperta e di aiuto. La Chiesa deve riconoscere i doni delle persone gay e lesbiche che hanno servito la Chiesa nel passato, così come di quelle che la stanno servendo oggi, ma in silenzio.
Conclusione
Quando una comunità di fedeli viene educata, offre incoraggiamento e sostegno ai genitori, rassicura i figli gay e le figlie lesbiche e, nel momento in cui dà aiuto a chi si sente confuso e isolato, quella parrocchia ha spezzato il silenzio ed è sulla via di accogliere tutti.
Questa conoscenza, incoraggiamento, sostegno verranno accolti con gratitudine dalle famiglie. La famiglia è l’arena in cui la maggior parte dei figli trova amore, comprensione, accoglienza, sostegno e incoraggiamento, e dove per la prima volta imparano l’amore incondizionato di Dio. La comunità di fedeli riconferma tutti questi valori per i figli. Ma quando un figlio scopre di essere diverso, può ritenere che la famiglia non sia più un luogo sicuro e educativo, e può cogliere da alcuni segnali che anche la Chiesa non sia un luogo sicuro e accogliente. Tutta la comunità parrocchiale deve comprendere, incoraggiare, sostenere e accogliere, perché questi sono figli di ogni parrocchia, come Mike di cinque anni, che è gay, ma ancora non lo sa, e Mary di sette anni, che è lesbica, ma non lo sa ancora. Se i genitori di Mike e quelli di Mary hanno sperimentato una comunità cristiana che li aiuta e hanno accesso alle informazioni corrette, quando sospetterano che il figlio possa essere omosessuale, o quando sentiranno queste parole: “Mamma, papà sono gay” o “Mamma, papà sono lesbica” saranno in grado di stendere la mano con amore ai loro figli, sapendo che non sono soli, che l’amore incondizionato di Dio è presente e si manifesta nel sostegno della comunità di fedeli. Sapranno che la loro è una famiglia fortunata e che nel figlio “si rivela l’amore di Dio”.