I nostri figli, etero o gay, sono tutti a immagine di Dio
Testo di Casey e Mary Ellen Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay), Trafford Publishing, 2003, capitolo 15, liberamente tradotto da Diana
Ho amato Dio per tutta la mia vita. Per quanto mi posso ricordare, ho sempre camminato con Gesù. Ho fatto la Prima Comunione a 7 anni, ma l’avevo incontrata già molto prima. Mia mamma, i miei nonni, le mie zie e zii e, più tardi, il mio patrigno mi hanno inculcato l’amore per l’Eucarestia, mentre sudavamo, ridevamo, piangevamo, pregavamo, ci stancavamo lavorando molte ore tutti insieme nel nostro vigneto di famiglia. Per aprirci, per raccontarci le nostre storie, per sostenerci a vicenda, per offrire l’acqua fresca dal pozzo che placava i nostri dolori e ritemprava i nostri corpi affaticati, per pregare “Dio che era in mezzo a noi” (il brano della Scrittura preferito dai miei nonni), erano esperienze comuni, che ci mantenevano sempre pieni di amore anche durante i periodi difficili e durante le perdite. Dio mi amava sempre, tramite la mia famiglia. Questa fede mi ha sostenuta.
Anche la Chiesa faceva parte della nostra vita di famiglia. Andavamo a Messa la domenica e nei giorni festivi. Insieme recitavamo il rosario il mercoledì sera e ascoltavamo la lettura della Bibbia di mio nonno tutte le sere. Fui portata a pensare che la Chiesa aveva bisogno di me e che io avevo bisogno della Chiesa, se volevo essere completa. Questo pensiero mi ha accompagnata da quando avevo 10 anni.
“Queer” era l’unica parola per descrivere ciò che provavo a 10 anni. Mia mamma l’aveva usata riferendosi a dei giovanotti che conosceva. Le chiesi che cosa significasse e mi rispose che descriveva uomini che erano attratti tra di loro e non dalle donne. Conservai questa parola per due settimane prima di chiedere a mia mamma se anche le donne potevano essere “queer”. Rispose semplicemente “suppongo di sì”. Mi sentii in cielo. Le sue parole mi calmarono. Per le successive due settimane riflettei e ricercai. Parlai con le mie amiche per vedere che cosa ne sapevano. Una delle madri delle mie amiche disse che era sbagliato per due ragazze baciarsi: “Dio non vuole che lo facciano”. Chiunque lo avesse fatto sarebbe finito all’inferno. Non dimenticherò mai il pomeriggio del mio successivo incontro con mamma e questa parola “queer”. Mentre la mamma stava leggendo il giornale, le chiesi se era male essere queer. Abbassando un po’ il giornale con voce esitante la mamma disse “Perché me lo chiedi?”. La mia risposta fu quella tipica di una bambina di 10 anni: “Perché potrei esserlo”. Nascondendosi dietro il giornale sentii la sua risposta: “Bene, se lo sei allora non può essere male, vero?”; “Giusto”, risposi, e quel pomeriggio me ne andai sentendomi libera. Fui confortata, in quel giorno del 1956. Per inciso, non ho mai più sentito tale conforto o speranza fino al 1997, quando lessi le parole “Siete sempre i nostri figli”. Quel giorno piansi, perché pochi abbracci mi erano stati concessi, specialmente da parte della Chiesa.
Mary
La madre di Mary rivelò l’amore di Dio confermando non soltanto la bontà di sua figlia, ma la bontà del fatto che fosse lesbica. Quando riconosciamo così inequivocabilmente i nostri figli omosessuali, riveliamo anche l’amore di Dio ed affermiamo che la nostra famiglia è fortunata. Io penso che dobbiamo dichiararlo al di là dei nostri figli gay e lesbiche e della nostra famiglia. Dobbiamo affermare di fronte a tutto il mondo la fortuna di avere un figlio o una figlia con “due spiriti”. Non è facile dirlo a tutto il mondo.
Quando Jim fece coming out, sapevo di non sentirmi bene e sapevo di dovermi rivolgere a Dio. Timore, rabbia e un penoso isolamento a volte mi sopraffacevano, ma sapevamo che avere un figlio gay non era la fine del mondo. Anche quando il dolore rimane, possiamo andare oltre “la croce da sopportare”, pensare e rallegrarici della nostra fortuna.
Henry Nouwen, nel suo saggio intitolato Bere il nostro Calice, scrive: “Fare del proprio meglio non significa bere il Calice. Bere il Calice non è semplicemente adattarsi ad una brutta situazione e cercare di utilizzarla come meglio possiamo. Bere il Calice è un modo di vivere pieno di speranza, coraggioso e fiducioso. Significa stare nel mondo con la testa alta, solidamente ancorati alla conoscenza di se stessi, sfidando la realtà che ci circonda e rispondendo con il nostro cuore”.
Avere un figlio gay o una figlia lesbica non è un’esperienza in cui dobbiamo cercare di fare del nostro meglio: è un incontro con una realtà che richiede speranza e coraggio, una realtà che ci chiede di rispondere con il nostro cuore. Le storie di questo libro testimoniano questa realtà.
Quando viene chiesto ai genitori se la loro relazione con i figli omosessuali è cambiata quando hanno saputo del loro orientamento sessuale, tutti hanno riconosciuto che il cambiamento era in meglio. Erano più legati ai loro figli, la loro relazione era più aperta, onesta e premurosa. Queste famiglie riconoscono di essere fortunate.
I genitori di bambini “speciali”, che vengano interpellati in qualche modo specifico o che siano particolarmente talentuosi, spesso si uniscono per trovare forza e saggezza e per aiutarsi a creare un mondo migliore per i loro figli e per tutti i figli. I genitori di figli gay e figlie lesbiche non possono essere da meno. Se noi crediamo di essere “famiglie fortunate”, come possiamo non informare il mondo della nostra fortuna? Ogni genitore deve trovare il proprio modo di fare la differenza, perché ogni genitore, ogni figlio e ogni famiglia è unica. Ma ogni genitore deve fare qualcosa.
Parlate a vostro figlio. Chiedetele/gli se si sente a proprio agio facendo “coming out”
Rivolgetevi ad un’altra persona per conforto, saggezza, per condividere la vostra fortuna
Combattete le parole offensive e le battute
Formate un gruppo di sostegno
Educate voi stessi
Educate gli altri
Andate in ritiro spirituale
Pianificate e offrite agli altri un ritiro spirituale
Andate a conoscere le persone gay e lesbiche; andate a conoscere i loro genitori
Parlate con il vostro sacerdote, i responsabili del catechismo, il vostro vescovo
Scrivete una lettera
Scrivete un libro
Fate qualcosa per fare sapere al mondo che siete famiglie fortunate!
Always Our Children dice ai nostri figli gay e figlie lesbiche: “In voi è rivelato l’amore di Dio”. Quando i genitori intraprendono delle azioni, l’amore di Dio si rivela tramite noi.
Ho iniziato questo capitolo con la storia di una donna lesbica e le sue parole, perché raramente udiamo le voci delle nostre figlie lesbiche e dei nostri figli gay; ancora di meno udiamo esprimere pubblicamente l’amore dei genitori per loro.
Concludo con le parole di un uomo gay, nostro figlio Jim. Nel 1998 l’Associazione Nazionale dei Ministeri Cattolici Diocesani per Lesbiche e Gay ha tenuto la sua conferenza annuale nella nostra città. Mio figlio Jim ha scritto un canto di meditazione per la Messa a conclusione della conferenza. La poesia parla, con speranza e commozione, del percorso di una crescita spirituale che noi tutti compiamo. Come membri di Famiglie Fortunate, siamo tutti fatti ad immagine di Dio.
IMMAGINE DI DIO
Quando ero bambino pensavo come un bambino.
Osservavo il cielo e danzavo nel fango.
Ero quello che ero una creazione di Dio,
non distinguevo le cose folli da quelle sagge,
vedevo con gli occhi di Dio:
Ritornello
Immagine di speranza, immagine d’amore,
immagine di gioia e pace e giustizia,
immagine di fede, immagine di grazia,
immagine di gloria, immagine di Dio.
Crescendo, mi fu insegnato chi dovevo essere,
cosa fare, quando parlare, chi amare, come vedere.
Vedevo le cose con occhi nuovi, ma qualcosa era sbagliato.
Nel bel mezzo di tutto questo dimenticai questo canto vero:
immagine di speranza, immagine d’amore,
immagine di gioia e pace e giustizia,
immagine di fede, immagine di grazia,
immagine di gloria, immagine di Dio.
Ora sono adulto, non sono più un bambino.
Cerco le grandi visioni che conoscevo da adolescente.
Lascia che l’amore di Dio sia il mio maestro e la coscienza mia guida.
Quando il mondo mi guarda,
spero che mi veda:
immagine di speranza, immagine d’amore,
immagine di gioia e pace e giustizia,
immagine di fede, immagine di grazia,
immagine di gloria, immagine di Dio.
James Lopata