La teologa Cristina Simonelli e il ponte da costruire tra le Chiese e le persone Lgbt: “Per amore civile e politico – evangelico” (Ls 231).
Intervento tenuto dalla teologa Cristina Simonelli* alla tavola rotonda tenuta al V Forum dei Cristiani LGBT (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018) il 6 ottobre 2018
Vi ringrazio dell’opportunità di essere oggi qui, insieme a voi. Porto me stessa, dunque con molti limiti e con un’esperienza parziale del tema, importante tuttavia per la mia stessa vita – e da qui inizierò. Porto anche inevitabilmente il mio ruolo, almeno uno dei miei ruoli attuali, quello di Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane.
Se servisse un titolo – in una Tavola rotonda non è del resto necessario – suggerirei “per amore civile e politico”: attraverso questa espressione che raccoglie una sezione di Laudato sì (nn.228-232) vorrei infatti anche richiamare un breve articolo pubblicato per Munera[1] con lo stesso titolo, a indicare che quanto posso dire non lo esprimo solo oggi perché mi trovo qui, ma, nel suo limite, l’ho comunque già altrove e pubblicamente sostenuto. Civile e politico, ma anche più largamente personale ed evangelico. Trovo giusto richiamare qui anche l’appello che Francesca Carboni ha recentemente condiviso via change.org, intitolato “per amore”. In esso, ricordando un duplice episodio di violenza a Verona, chiedeva maggior rigore contro l’omofobia. Svolgerò la mia riflessione attorno ad alcuni punti.
1 Inizio da me: al di là di care amicizie, ad esempio quella con una mia carissima amica fin dall’infanzia e tuttora vicinissima, che è lesbica e con la quale parliamo con grande libertà da decenni, sono stata tirata dentro alla questione lgbt in maniera brusca ma importante. A seguito della questione gender – al momento un po’ sopita, mi pare – mi sono trovata – ricordo una prima volta a Torino – spostata da quello che intende il Coordinamento delle Teologhe Italiane (anche nello statuto associativo) con prospettiva di genere, a un discorso che riguardava unicamente l’omosessualità (nel discorso pubblico antigender resa comunque caricaturale).
Al di là di questa vicenda ormai “compiuta” (difficile cambiare il percorso delle parole…), quello che secondo me era un difetto di comprensione, la resa parziale e distorta di un orizzonte più vasto (che non coincide con l’orientamento sessuale, anche se lo comprende), la violenza verbale che si è scatenata mi ha fatto capire moltissimo: se si scatena una reazione omofoba così forte, è qui che si deve lavorare, anzi questo è un orizzonte che deve essere assolutamente considerato e assunto. Quell’ira, quella violenza mi hanno fatto capire molto, mi hanno fatto incontrare persone nuove e persone che già conoscevo sotto altra luce.
Da allora e in particolare dopo l’accrescersi dei toni in modo che nell’intenzione voleva essere offensivo dopo la presentazione a Vicenza del libro di Beatrice Brogliato e Damiano Migliorini, L’amore omosessuale, ho deciso che nel mio, nel nostro “paniere” debba stare sempre anche il tema dell’orientamento sessuale e del rigetto dell’omofobia. E questo anche se ritengo ancora che lo schiacciamento dell’orizzonte di genere in questo senso e, qualora ce ne sia il caso, la dissoluzione di un soggetto/donna non è utile per nessuno/a. A questo proposito, osservo che oggi in questa assemblea c’è una schiacciante maggioranza maschile[2]: anche questo aspetto, al di là dell’orientamento, sarebbe degno di un approfondimento.
2. Purificazione della memoria
Il Giubileo del 2000 è stato contrassegnato anche da una cosa non frequente nella Chiesa cattolica, la Purificazione della memoria, ossia la richiesta di perdono collettivo, a nome di tutta la chiesa. E’ adesso il momento di riprenderla e ampliarla: certo comprendeva aspetti importantissimi, dalla imposizione della propria verità, alla discriminazione delle donne, alla discriminazione razziale, compresa quella dei Rom (questioni oggi più che mai urgenti). Oggi c’è la necessità non solo che la richiesta di perdono e il proposito di uscire da quel peccato diventino vie di concreta conversione, ma anche che le questioni siano allargate: serve una richiesta di perdono per l’omofobia, per come tante persone sono state disprezzate ed estromesse e anche costrette a mimetizzarsi.
3. Il ruolo svolto dalla teologia (come riflessione critica sulla fede, dunque nell’angolo visuale che mi compete, in relazione alla pastorale, ma con essa non coincidente) dovrebbe essere discusso in analogia con quello svolto/non svolto rispetto alla violenza domestica e contro le donne: anche il disinteresse, anche l’omissione e la tiepidezza rispetto al tema sono già colpevoli, quasi quanto la esplicita avversione, nel caso dell’orizzonte lgbt, o l’affermazione della necessaria sottomissione delle donne, nell’altro caso. Non mi riferisco solo all’ambito della teologia morale, che certamente ha mostrato e mostra un arco grande di posizioni, e in cui il dibattito è aperto.
Mi riferisco trasversalmente a tutte le prospettive teologiche. Sembrano discorsi molto distanti dalla pastorale, a qualcuno danno addirittura l’impressione di essere astratti, avulsi dalla realtà, ma al di là dei metodi e dei linguaggi, interagiscono sempre con le pratiche, in quello che suggeriscono e in quello che recepiscono. E’ importante dunque che ne accolgano le istanze, che si lascino attraversare dalle domande, perché l’assenza corrisponde alla rimozione, alla cancellazione.
Con la domanda aperta, si dovrebbe riattraversare costantemente l’insieme delle scienze teologiche. Per fare un esempio legato alle scienze bibliche, ci troviamo spesso davanti a un’esegesi che passa dal letteralismo più rigido alla allegoria più spinta, secondo… i casi. Così ad esempio si può dire dei codici familiari, nei quali si parla di sottomissione della donna e in cui compaiono anche prese di distanza dall’omoaffettività da una parte e, dall’altra, delle indicazioni evangeliche sul porgere l’altra guancia, su non poter servire due padroni: come ha più volte segnalato un’esegesi attenta ai procedimenti di genere, i codici vengono presi alla lettera, senza attenzione al contesto che li ha generati e indirizzati, mentre le indicazioni su non violenza e sobrietà passano velocemente a un registro simbolico e metaforico.
Nello stesso modo, in Genesi 2,18 l’ezer kenegdo, la creazione dell’uomo e della donna che si guardano in volto reciprocamente (=aiuto che corrisponda), viene assunto in maniera letterale, ad escludere la sua interpretazione più larga come alterità che si guardano in volto comunque sia, quindi anche fra persone dello stesso sesso, ma non viene assunto nella stessa forma stretta “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna” (v. 24), per vietare il celibato.
In termini più generali devo dire che fino a tempi molto recenti non avevo misurato l’uso restrittivo dei molti passi evangelici che invitano all’accoglienza, al riconoscimento reciproco, alla pienezza della Legge riconoscibile nell’agape, alla benedizione, e infine alla potenza, anche in questo senso, dell’affresco escatologico del capitolo 25 di Matteo: «L’avete fatto a Me». Devo alla riflessione e alla pastorale lgbt il suggerimento di una lettura inclusiva di questi e di molti altri passi.
Cose abbastanza simili si possono dire rispetto alla tradizione, che oltre ad essere concetto largo che contiene al suo interno diversi livelli, viene a volte esibita come macigno – perpetue servanda! – altre volte approda nell’idea del suo progresso, con disinvoltura degna di miglior causa.
4. Qualche parola a partire da P. Martin, nel libro (Un Ponte da costruire. Una relazione nuova tra la Chiesa e le persone LGBT, Marcianum Press, 2018) e nel video che abbiamo visto e ascoltato. Con grande apprezzamento per la sua chiarezza e determinazione, che non nascono oggi ma hanno il fondamento di una pratica pluriennale, mi permetto di fare una osservazione, per lo meno alla traduzione italiana. Martin legge le tre parole del catechismo della chiesa cattolica: rispetto, compassione, sensibilità. Ha come orizzonte di lettura un testo, autorevole certo, ma la cui autorevolezza non andrebbe esagerata.
A parte il fatto che sia stato molto criticato a suo tempo anche come “operazione” negli ambienti della catechesi (in effetti è un’altra cosa!), è comunque una sintesi datata, non certo eterna o intangibile: a dimostrazione, è stata tolta la liceità della pena di morte, può essere tolto anche il “disordine oggettivo”!. Si tratta dunque di un documento che merita rispetto, sì, ma anche comprensione storica, critica, teologica e dunque dibattito.
Tornando dunque alle tre espressioni, rispetto è certo fondamentale, importantissimo. Ma compassione … in italiano “compassione”, al di là della etimologia suona proprio male…. Le parole non vivono solo di etimologia, hanno anche un uso corrente che ne modifica l’intenzione… Sim/patia, che ha la stessa etimologia, in italiano ha tutta un’altra eco. Mi sembra meglio rispetto e simpatia, e dunque anche sensibilità suonerebbe diversamente. E un’altra piccola integrazione al video, alla lettura di Gv 4, l’incontro di Gesù al pozzo con la donna di Samaria: le prime parole di Gesù sono una richiesta, “Dammi da bere”. Non strategia, non “furbizia pastorale”. Ho bisogno, ho bisogno di te, ho bisogno dell’acqua che puoi darmi tu, tu sei un dono per me e come tale ti riconosco, ti onoro, ti chiedo di non privarmene.
5. Un convitato di pietra: la sessualità. In molti discorsi ecclesiali aleggia un non detto, che è un problema serio, ed è un disagio nei confronti della sessualità Non è poi così passata la costruzione – sessuofobica, senza dubbio – secondo cui tutto ciò che riguarda il sesto comandamento è.. materia grave!!! Mi permetto di fare il paragone fra la affettività che si esprime anche nella sessualità nelle coppie lgbt e nelle coppie che vivono una seconda unione dopo il divorzio.
Da che fantasmi può nascere l’indicazione, parlo dei divorziati risposati, di vivere come fratello e sorella? Da quali sfondi può provenire un’indicazione del genere? Lo stesso vale per le coppie lgbt: affettività e non sessualità, perché? In questo senso ci sono molti esami di coscienza da fare. E ci sono compiti di riflessione, che non vanno nella direzione di “tutto è lo stesso”. Non tutto è lo stesso, piuttosto astinenza imposta e occasionalità sistematica sono forse due facce di una stessa medaglia, che fatica a confrontarsi con il rispetto e la fedeltà nella relazione.
A questo proposito, molto importante la riflessione di Migliorini sulla castità, verso la fine del libro: il termine ha di per sé molte accezioni, può significare anche non avere rapporti sessuali – ed è una modalità che se scelta è importante e degna di rispetto! – ma significa anche rispetto nell’amore, significa quello che viene espresso nel consenso matrimoniale “prometto di amarti e onorarti”.
Onorarti è molto importante, questa è castità! Farei riferimento anche al contributo del vescovo di orano, Mons. Vesco (Ogni vero amore è indissolubile) in vista del Sinodo sulle famiglie. Ripensando la tradizione teologica e morale, con acribia, viene a dire che anche nella seconda unione ci sono le caratteristiche di purezza, di grandezza, di serietà e fedeltà. Credo che anche in questo caso la riflessione si possa estendere in un orizzonte lgbt (denominazione un po’ faticosa, con acronimo in continua estensione.. iq.. ). Si potrebbe ricordare la recente canzone di Luca Carboni, “Io non voglio”: non voglio fare l’amore, voglio un miracolo… cioè voglio’ di più, non di meno!
6. Rechobot: in Genesi, si apre a un certo punto uno spazio sui pozzi (26,15-25), ce ne sono diversi (si pensi a quello “della visione” che sarebbe il pozzo di Agar) e spesso per essi le persone litigano. Poi per un pozzo non litigano, e lo chiamano Rechobot (plurale di Rahab) spazi liberi, perché dicono Il Signore ci ha dato spazio. In un mondo (e la chiesa in esso) tanto connesso quanto pieno di muri (cfr. Tim Marshall, I muri che ci dividono… ) Janet Napolitano scrive, riferendosi al confine fra Messico e Usa, Mostratemi un muro alto 15 metri e io vi mostrerò una scala di 15 metri e mezzo… Con una scala così o, come suggerisce Ef 2, abbattendo in noi e nei nostri corpi i muri che si frappongono, ci affidiamo a chi non perde neanche uno iota, neanche una briciola di pane, neanche un passerotto e affidiamo noi stessi anche le nostre comunità: Sappiamo infatti quello che siamo, non ancora quello che saremo, ma saremo simili al suo Volto, che guarderemo di faccia (cfr 1 Gv 3,1-2).
* Cristina Simonelli è nata a Firenze il 24 maggio 1956. Dal 1976 al 2012 ha vissuto in un accampamento Rom, prima in Toscana, poi a Verona. Figura di spicco del mondo femminile ecclesiale italiano e internazionale, è dal 2013 la Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane.
È docente di teologia patristica a Verona (San Zeno, San Bernardino, San Pietro Martire) e presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (Milano). Ha commentato per Piemme l’Enciclica di papa Francesco Laudato si’. Sulla cura della casa comune (2015).
[1] Munera 2/2017, 25-35. Questo il passo dell’enciclica: L’amore […] è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore. L’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità, che riguarda non solo le relazioni tra gli individui, ma anche «macro-relazioni, rapporti sociali, economici, politici» (LS 231)
[2] Mi permetto di suggerire la lettura, per me recentissima, di Anna Segre, 100 punti di lesbicità (secondo me), Ellint, Roma 2018