“La lettura delle parole”. Il rifiuto dell’in-differenza: una nuova ermeneutica della sodomia
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, quinta parte
Alcuni testi chassidici affermano che ogni uomo è una lettera o una parte di una lettera. Il libro è terminato se non manca alcuna lettera. Ognuno deve scrivere la propria, scrivere se stesso per creare il libro rinnovandone il significato. Questo implica che il lettore esca dalla sua passività. Ritenendo che non debba assorbire il significato e non abbia alcun ruolo nella sua elaborazione. Il terzo comandamento (“Non pronunzierai il nome dell’Eterno, tuo Dio, invano…“, Es 20, 7) invita ad abbandonare la vanità del sé. E’ legato a una pratica della lettura che fa esplodere le strutture del già, del ben noto, del già visto. Offre a chi prende questa strada un cammino di libertà.
La giovinezza di cui parla il rabbino Nachaman di Breslav è incessante rinascita che consiste a uscire dalla parola già parlata e dal pensiero già pensato nei quali molti sono tentati di rinchiudersi. La giovinezza può riguardare tutte le età della vita, in tutti gli ambienti. Imparare a leggere può dare scacco alla cattura della soggettività imposta dalla società e dalle istituzioni e ai testi che intendono modellarla e annientarla. Imparare a leggere per non accontentarsi delle idee ricevute, delle idee che, anche se vere, diventano false dal momento in cui ci si accontenta, insegnano i rabbini.
Nella tradizione talmudica, l’interpretazione che mette in movimento la libertà di inventare è possibile solo a partire dalla parola, sulla parola e nella parola. Bisogna provare con tutti i mezzi a produrre un dinamismo interno al linguaggio: frasi, parole e lettere. L’assenza di vocali impedisce, infatti, di dare un significato unico ed esclusivo alle parole: il significato rimane indeterminato finché la radice – le consonanti della parola – non ha le vocali. In tal modo siamo responsabili del significato che diamo alle parole.
Secondo il Talmud, uno degli errori fondamentali degli uomini consiste nella “fuga dal Sinai”, espressione che il rabbino Yosef Rozin spiega così: “Come un bambino che fugge dalla scuola, ossia: non ha voluto apprendere le lettere della Torah come entità separate, ma ha preferito leggere e studiare parole intere”.
Rabbi Yosef Rozin mette in gioco un approccio al testo considerato come totalità già conclusa, un oggetto già finito da afferrare e assimilare come tale, come un manuale, che nel suo rapporto con la mano, annulla la trascendenza del testo, racchiuso nell’adesso. Questa attitudine è considerata dal Talmud, come un errore estremamente grave. Invece, una lettura come esplosione serve proprio a porvi rimedio. Per la tradizione ebraica e soprattutto talmudica, ogni lettera è un mondo, ogni parola un universo.
La lettura talmudica rappresenta un’esperienza poetica che prova a cogliere il balbettio del linguaggio e del mondo quando, creandosi, tentano di schiudersi alla luce. Libro e lettura non aggregano e pigiano il mondo in una parola, ma, al contrario, lo fanno esplodere. Per fare questo, il rabbino Yosef Rozin consiglia di distinguere la “lettura delle parole” dalla “lettura delle lettere” e lasciare a queste ultime la possibilità di continuare a essere tali malgrado l’esistenza delle parole. Bisogna dare alle lettere la possibilità di muoversi all’interno della parola, di viaggiare, quindi di combinarsi diversamente per formare un’altra parola.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’associazione AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità di Charles Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.