Il fondamentalismo: una passione (post)moderna
Articolo di Guilhen Antier* pubblicato sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 20 ottobre 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In questo articolo ci limiteremo a parlare del fondamentalismo protestante, anche se potremo cogliere degli echi che vanno al di là di tale sfera. La tesi proposta è la seguente: il fondamentalismo si presenta come rivale della modernità scientifica, porta la sua provocazione sul terreno di quest’ultima e, così facendo, rivela qualcosa sul posto e la funzione della scienza nella nostra società, caratterizzata da un (apparente) arretramento della religione.
1) Fin dalle sue origini, la lotta fondamentalista è diretta contro la scienza e il suo discorso: a partire dal famoso “processo della scimmia” tenutosi nel 1925 nel Tennessee, Stati Uniti. I creazionisti, sulla base di una lettura storicizzante della Genesi, hanno cercato di proibire l’insegnamento delle tesi di Darwin sull’evoluzione delle specie. Più vicino a noi, i neofondamentalisti, invece di opporsi frontalmente alla scienza, recuperano formalmente il discorso scientifico per rivestire di razionalità le loro convinzioni religiose, come nell’ipotesi del disegno intelligente. Esiste quindi un legame diretto tra fondamentalismo e scienza, tanto come opposizione che come recupero.
Sarebbero ingenuo opporre, in modo manicheo, l’oscurantismo religioso alla luce della ragione, e vedere nel fondamentalismo una posizione antimoderna, ma non è così: il fondamentalismo, nato storicamente in reazione alla scienza, da essa in realtà dipende, anche nella logica e nella struttura del suo discorso, senza esserne consapevole. Il fondamentalismo, più che costituire un rifiuto della modernità, ne è in realtà un frutto, che consiste in una riconfigurazione delle credenze religiose in modo che siano speculari alla scienza. Da una parte, quindi, il fondamentalismo rigetta (o addomestica) la scienza, dall’altra porta, nel campo della fede, un criterio tipico della ragione scientifica: l’obiettività del sapere.
Affermando l’inerranza della Bibbia (cioè, che la Bibbia sarebbe priva di errori) nell’integralità del suo contenuto, e ponendo il rapporto con la Bibbia nei termini di una adesione a un sapere esplicativo che funziona come sistema totale di senso, il fondamentalismo riproduce, distorcendolo, il modello del discorso scientifico. Alla spiegazione del mondo proposta dalla scienza, esso oppone una spiegazione religiosa; per questo il fondamentalismo non è un ritorno al passato, bensì un’espressione della modernità. L’ambizione della ragione fondamentalista è la stessa della ragione scientifica, benché i loro metodi e i loro risultati siano profondamente divergenti: creare un modello esplicativo totale del mondo. La differenza naturalmente sta nel fatto che la scienza sa bene come tale totalità non possa mai essere raggiunta, mentre il fondamentalismo sostiene che essa si trova nella lettera del testo biblico.
2) Cosa si intende esattamente per “modernità” e “postmodernità”? Secondo l’accezione classica, la modernità è caratterizzata dal conflitto tra scienza e credenze religiose. Secondo il modello cartesiano, va considerato vero ciò che è dimostrabile attraverso un corretto utilizzo della ragione, senza accontentarsi di credere alla tradizione. In questa lotta, i due avversari rivendicano per sé il monopolio della verità; da qui la violenza della guerra tra la Chiesa Cattolica e gli illuministi. La postmodernità, invece, è l’epoca che comincia dal momento in cui la scienza vince la lotta e detronizza le credenze religiose dalla loro funzione antropologica e sociale, che consiste nel fornire un senso alla vita individuale e collettiva. Ciò che caratterizza la postmodernità in quanto tale è il fatto che la scienza non si accontenta più di cacciare dal loro posto le credenze religiose, ma mira a sostituirsi ad esse. Oggi incarichiamo la scienza non solo di spiegare il mondo e le leggi della natura, ma di dare anche un senso alla nostra esistenza e di fornirci ciò che un tempo ci forniva la religione: una “grande narrazione” fondatrice che ci permetta di rappresentarci l’essere umano, il suo posto nell’universo, il suo divenire, la sua organizzazione collettiva etc.
È importante riflettere un poco su tale funzione religiosa della scienza nell’epoca postmoderna. Infatti, un certo modo di esaltare l’autorità della scienza, affidandosi a occhi chiusi agli esperti, è divenuto un modo di fondare la legittimità delle concezioni del mondo sulle quali si basa l’ordine sociale. La scienza si mette così a governare gli individui e pretende un’adesione fideistica: una rivendicazione egemonica in cui la scienza cessa di essere tale per divenire scientismo. Lo scientismo condivide con il fondamentalismo la pretesa di produrre un sistema totale di senso che abbia un valore fondativo per la società.
Nell’era dello scientismo trionfante, la scienza comincia a operare come una credenza religiosa: quando i bambini occidentali domandano da dove venga il mondo, non si risponde più “da Dio” ma “dal Big Bang”: “Un giorno, molto, molto tempo fa, ci fu una gigantesca esplosione che fece nascere l’universo” etc.; così facendo, si racconta un contenuto scientifico, e il racconto che serve a trasmettere è una caratteristica propria alla religione. Il cittadino medio, senza alcuna competenza in astrofisica, è incapace di dimostrare ai suoi figli la teoria del Big Bang, ma a questa teoria ci crede, perché crede a ciò che dice la comunità scientifica, perlomeno a quello che ne ha appreso a scuola e attraverso i media, e induce i figli a crederci anche loro. Poco a poco, la trasmissione delle rappresentazioni del mondo proposte dalla scienza forma una comunità di credenti e una tradizione di fede. Perciò l’homo religiosus non è scomparso, si è fuso con l’homo scientificus, e l’effetto di questa fusione è stato il mutamento dello stesso homo scientificus, che è divenuto una nuova figura di homo religiosus.
3) Attenzione: non intendiamo insinuare che il sapere prodotto dalla scienza sia solo una “credenza”, ovvero una serie di opinioni soggettive: i suoi concetti sono vero sapere e non intendiamo dire che sono falsi e che si è nel torto a credervi. Qui non è questione di manipolazione della società civile da parte degli scienziati, come nel caso di quei fondamentalisti che considerano il riscaldamento globale una fake news! Il problema non sono i contenuti del discorso scientifico, bensì la sua funzione socioantropologica. A livello di contenuti, il discorso scientifico non esprime credenze, bensì un sapere (peraltro sempre provvisorio e rivedibile a seconda dei progressi della ricerca, dell’evoluzione dei metodi e degli strumenti etc.); questo non impedisce però che, nell’utilizzo sociale di tale sapere, esso funzioni come una credenza religiosa e assuma un carattere definitivo e fondamentale.
Per questa ragione il filosofo Jean-Pierre Dupuy parla della scienza come di una “teologia che ignora di esserlo”. L’espressione non va intesa in senso peggiorativo, perché le credenze religiose, in quanto tali, sono un fatto umano, un dato antropologico; ovunque vi siano esseri umani, essi credono sempre in qualcosa. Ci si può eventualmente sbarazzare di certi contenuti religiosi, ma non della necessità di credere. Nemmeno l’Occidente scientista è riuscito ad eliminare il credere, lo ha solamente riempito delle proprie rappresentazioni.
Comprendere che oggigiorno la scienza è stata investita della missione religiosa di fornire un senso alla società umana ci permette così di comprendere il successo attuale del fondamentalismo, che secondo questo punto di vista non è l’avversario della scienza, bensì il suo rivale. È il suo fratello gemello: quando la scienza si fa religione, è del tutto logico che la religione cerchi di farsi scienza. Il fondamentalismo è un sosia della scienza divenuta scientismo, che intende far funzionare le credenze religiose come fossero un sapere scientifico, laddove lo scientismo vuole far sì che il sapere scientifico funzioni come una credenza religiosa. Per concludere, ci spingiamo fino ad affermare che il fondamentalista è un non credente che crede di credere, mentre lo scientista è un credente che crede di non credere.
* Guilhen Antier è professore di teologia sistematica all’Istituto Protestante di Teologia (facoltà di Montpellier).