Oltre la superficie. Cosa dice la Chiesa cattolica sull’omosessualità
Riflessioni dello psicologo cattolico Jacques Arènes e del teologo Dominique Foyer tratte dal sito del settimanale cattolico La vie (Francia), 31 maggio 2011, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Lo psicanalista Jacques Arènes e il teologo Dominique Foyer ci affidano la loro riflessione comune sull’evoluzione della Chiesa cattolica sulla questione dell’omosessualità.
Attualmente la questione omosessuale è come un iceberg: il fatto sociale della visibilità, sovente colorato di rivendicazioni, non dice tutto.
Interrogativi essenziali, celati a lungo, appaiono poco a poco: sul piano antropologico, il riconoscimento del fatto omosessuale porta a riconsiderare lo spazio della sessualità nell’esistenza umana; sul piano sociale e politico, si deve armonizzare l’aspirazione legittima degli individui a decidere autonomamente della loro vita, quindi della loro sessualità, con una necessaria regolamentazione sociale dei rapporti umani, compreso il lato affettivo e quello sessuale; sul piano teologico e spirituale, ci si deve domandare come la buona novella della Salvezza, portata dalla Chiesa di Cristo, possa raggiungere le persone omosessuali nella diversità delle loro situazioni.
La dottrina della Chiesa e la sua antropologia implicita
In tutte le religioni si constata un controllo severo e spesso una riprovazione degli atti omosessuali. Ma le relazioni “omoaffettive” sono generalmente valorizzate: amicizie virili tra guerrieri, tenerezza tra donne… Il giudaismo e il cristianesimo primitivo non fanno eccezione.
La Chiesa cattolica, quanto a lei, afferma che esiste un valore morale universale degli atti umani, indipendente dalle circostanze di questi atti.
Essa considera gli atti omosessuali “oggettivi” come peccaminosi. Tuttavia distingue la moralità degli atti dalla responsabilità delle persone che li vivono.
Nelle situazioni “omoaffettive” la Chiesa cattolica non approva il passaggio all’atto sessuale, riconoscendo però che la valutazione della libertà reale e dunque della responsabilità morale delle persone è sempre difficile da fare.
Una persona omosessuale non è responsabile del suo orientamento psicoaffettivo, e non necessariamente ne padroneggia l’espressione.
Nella teologia contemporanea l’argomento centrale posa su una antropologia dove la differenza dei sessi, con il suo significato teologico – l’unione tra uomo e donna a immagine della relazione con Dio – è un elemento essenziale dell’identità e del divenire umano, nella sua dimensione sessuale, coniugale e procreativa: l’umanità è creata nella complementarità dell’uomo e della donna (Genesi 2, 20-24), “a immagine di Dio” (Genesi 1,27).
Con delle variazioni storiche
Dagli esordi del cristianesimo, nel solco del giudaismo, le pratiche omosessuali sono considerate al tempo stesso come idolatriche, indegne e contro natura: idolatriche, perché troppo legate a forme di prostituzione sacra oppure conseguenza sociale di una profonda ignoranza di Dio (Romani 1, 18-32); indegne di uomini e donne divenuti, attraverso la grazia battesimale, “figli adottivi di Dio”, “fratelli di Gesù Cristo” (Romani 8, 2.21); infine contro natura, perché contrarie all’ordine naturale creato da Dio.
Secondo le prospettive già presenti nelle filosofie antiche (stoicismo, aristotelismo) il cristianesimo medievale ha sviluppato la concezione degli atti omosessuali come peccati contro natura, legando fortemente l’atto sessuale alla sua finalità procreatrice. Ma le dimensioni psicologiche e relazionali della sessualità umana rimanevano sottovalutate.
Ai giorni nostri, l’argomento fondato sul rispetto della legge naturale in materia di sessualità e di riproduzione ha un po’ perduto la sua pertinenza, soprattutto a causa dello sviluppo delle tecnologie legate alla procreazione umana. Si preferisce una argomentazione antropologica fondata sulla nozione di “verità dell’atto sessuale”.
Nella misura in cui non sfocia nella procreazione, una relazione omosessuale è antropologicamente “meno vera” di una relazione eterosessuale; tuttavia può essere portatrice di qualità etiche: sincerità, dono di sé, ricerca della serenità dell’altro etc.
Peraltro nella dottrina del matrimonio cristiano uscita dal Vaticano II il riconoscimento del valore positivo della sessualità umana e la presa in considerazione del “mutuo dono degli sposi” apre la via a una presa in considerazione del piacere sessuale indipendentemente dalla sua finalità procreativa. Ma si possono dissociare totalmente queste due dimensioni costitutive della sessualità umana?
Questioni poste alla Chiesa oggi
La Chiesa si confronta oggi, come l’insieme della società, con un nuovo dato. “L’identità omosessuale”, personale e collettiva, emerge in quanto tale.
Come sottolineava Michel Foucault, non esistevano, nei secoli passati, delle persone che si consideravano come “omosessuali”, ma delle “pratiche” omoerotiche.
L’approccio psicomedico alla sessualità, e dell’omosessualità, sviluppato nel XIX secolo, ha progressivamente valorizzato la sessualità, e l’orientamento sessuale, come “verità” del soggetto. Nella sua realtà e nella sua espressione, l’orientamento sessuale è considerato oggigiorno come un marchio di autenticità della persona e delle sue aspirazioni profonde.
L’emergere delle rivendicazioni di legittimazione sociale delle relazioni omosessuali (matrimonio “gay”) costituisce allora il segno di un desiderio fondamentale di riconoscimento, che concerne i gruppi e le persone.
La Chiesa deve ascoltare queste aspettative, cercando nello stesso tempo di promuovere la sua visione antropologica, difficilmente udibile oggi.
In una società fortemente erotizzata, in cui l’attività genitale è considerata un’esperienza fondamentale e inevitabile, l’astinenza sessuale, proposta dalla Chiesa alle persone omosessuali, diventa difficile da mettere in pratica.
Tuttavia la padronanza di sé, in questo ambito essenziale, è anche un cammino di libertà. Le persone omosessuali sono così chiamate a vivere un amore casto, senza atti sessuali, anche quando vivono sotto lo stesso tetto.
Nel nostro mondo frammentato in cui la solitudine è difficile da sostenere, questo esige delle virtù eroiche e delle grazie particolari. La Chiesa lo sa bene (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2359).
Ciò che è essenzialmente in gioco con le persone omosessuali, più o meno vicine alla Chiesa, è il realismo e l’accompagnamento.
Nella diversità delle situazioni di fatto (vita in coppia o soli) e dei tipi di sessualità, eventualmente in contraddizione con le sue prescrizioni, la Chiesa deve nondimeno riflettere sulla maniera di accompagnare le persone omosessuali, proprio come con gli eterosessuali, verso una maggiore fedeltà, rispetto e sostegno della persona amata, in un cammino umano e spirituale.
Conclusione
Tali questioni difficili riguardano tutti noi: talvolta personalmente, spesso attraverso amici o persone a noi vicine; sempre come cittadini e più ancora come cristiani.
Noi facciamo nostra queste parole del concilio Vaticano II: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di questo tempo, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e non vi è nulla di veramente umano che non trovi eco nel loro cuore” (costituzione Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo in questo tempo, n°1).
Testo originale: Ce que dit l’Eglise sur l’homosexualité