Abbiamo bussato e ci avete aperto. Dalla clausura in dialogo con i cristiani LGBT
Testimonianze di Marco e di Giusi del gruppo Kairos di Firenze
Nella giornata di domenica, 18 Dicembre 2017, il gruppo di cristiani LGBT Kairos di Firenze è tornato al Monastero Regina Carmeli delle Carmelitane Scalze di Lucca per condividere, ancora una volta, un momento di riflessione spirituale con Suor Maria Francesca, Suor Chiara e Suor Elisabetta.
Scrive Marco che: “se è vero che niente succede per caso, proprio nella Giornata mondiale del Povero (indetta da Papa Francesco) ci siamo ritrovati ad ammirare la ricchezza che si annida nella consapevolezza di essere poveri, imperfetti, fragili. Quando riusciamo a guardarci dentro con umiltà, a capire dove affondano realmente le nostre radici, sentiamo chiaramente di essere abitati. Nel nostro animo così incompleto, talvolta così traballante, Gesù trova rifugio. Non invade mai i nostri spazi, rispetta i nostri tempi e lascia che ognuno di noi intraprenda il proprio cammino dando la propria personale partecipazione.
In questo senso, mi ha molto colpito la riflessione di Suor Maria Francesca: ci ha confessato di essere pienamente cosciente di come alcune persone giudichino inutile una vita come la sua, passata in uno stato di clausura, ma al contempo ci ha rivelato con grande fierezza di sentire che questa vita è esattamente lo strumento che il Signore le ha donato per esprimere il proprio amore e per riscoprirsi nella propria piccolezza di essere umano. Solo riconoscendo e apprezzando che siamo poveri in virtù di tutti quei limiti che caratterizzano il nostro essere umani possiamo far spazio nel nostro cuore per donare e ricevere l’amore per cui siamo nati, richiamando sulle nostre vite quel senso di responsabilità che ci permette di lasciare un’impronta, di replicare il messaggio evangelico.
Non è una missione semplice.
Mi sorprende sempre un po’ constatare che non lo è nemmeno per chi ha deciso di consacrare interamente la propria vita al Signore. Suor Chiara, ad esempio, ha creduto per moltissimo tempo di avere una vocazione ben precisa, quella di andare in missione nei paesi più bisognosi. Le ci sono voluti anni per realizzare che non occorre cambiare terra per soccorrere il prossimo, perché Dio si manifesta anche nel piccolo lembo di creato in cui ci troviamo, si stratifica in tutte le realtà con cui entriamo in contatto.
Talvolta sono realtà in fase di collasso, ma la priora Suor Elisabetta ci ha giustamente ricordato che il Signore ci invita a mantenere uno sguardo di speranza nella fase di attesa, perché dove c’è distruzione c’è rinnovamento. Anche in un momento storico in cui le impalcature della Chiesa sembrano venir meno e le vocazioni sembrano scarseggiare, non dobbiamo avere timore, perché il tempo sta solo attuando un cambiamento. Dobbiamo quindi pregare Dio affinché ci doni la stessa pazienza che Lui riserva a noi.
Molte volte il sole si oscura e il nostro cuore viene rabbuiato dalla sofferenza. Tutti soffriamo, nessuno escluso: così come le monache si struggono di fronte all’impossibilità di fare di più per alleviare il dolore di chi sta male, allo stesso modo noi soffriamo quando ci confrontiamo con una situazione difficile, nostra o altrui, che sia una malattia debilitante, un sopruso ingiusto, un lavoro insoddisfacente o un amore naufragato. Nei momenti difficili tendiamo ad accartocciarci su noi stessi, a sentirci soli, matura in noi l’arrogante pretesa di essere i soli a soffrire così tanto…ma non esiste un’unità di misura che determini il grado di sofferenza. Ecco perché la sofferenza ci deve accomunare, mai dividere, perché è proprio in questa spaventosa afflizione che risiede Gesù.
Quando non ci sentiamo accolti, quando non riusciamo più a distinguere il buono che si trova intorno a noi, quando abbiamo la sensazione che non ci sia un disegno, Gesù ci rimane accanto come un buon amico. Ci invita a continuare a posizionare una tessera del puzzle alla volta. Non ci dice se l’immagine che ne verrà fuori sarà il Taj Mahal, un panorama notturno dei grattacieli splendenti di New York o un meraviglioso ghiacciaio dell’Alaska, ci invita solo a continuare la composizione, assicurandoci che il risultato finale ci piacerà.
A volte avremo l’impressione di veder comparire chiaramente una prima sezione, altre ci sembrerà di aver utilizzato le tessere sbagliate, ma ha davvero importanza? Dio ci aspetta in ogni caso, ci guarda mentre sbagliamo e correggiamo il tiro, ci illumina il cammino e ci sorregge chiedendoci soltanto di avere fede in Lui“.
Per Giusi invece questo “incontro è stata una conoscenza e uno scambio reciproci. La reciprocità avviene quando ciascuno è disponibile a cedere qualcosa di se stesso per “ricevere” e ascoltare l’altro che viene. Per dare a sua volta. Forse come gruppo Kairos abbiamo più ricevuto che dato. Tre suore, soprattutto tre donne che hanno fatto una scelta di vita precisa. Condivisibile o meno non ha importanza, perché la vita di ognuno è un mistero insondabile, che, come diceva una di loro, probabilmente non ci appartiene in toto.
Le esperienze precedenti alla vocazione sono di vita normale. Poi, ripeto, succede qualcosa di insondabile e totalmente coinvolgente.
Sogni di grandezza, si ridimensionano in quella piccola parte di mondo in cui è dato e “richiesto” di vivere, e in cui donare le proprie energie. Io aggiungerei: gli eroi non esistono, e la vita contemplativa di preghiera donata per l’altro è un “diversamente” fare. Seguendo il brano del Vangelo Mt25, 35-40: “Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”.
Il discorso scivola sulla crisi che attualmente attraversa la Chiesa: di fedeli, di vocazioni. Crisi che viene vista come un momento di crescita, anzi di rinascita che permetta un ritorno all’essenzialità e al Vangelo nella sua nudità. L’essenzialità è il Cristo che abita in ogni uomo, che consente di riconoscere le fragilità, debolezza e povertà ontologiche umane che aprono le porte alla misericordia e all’amore di Dio. La debolezza diventa una trasparenza attraverso cui Dio agisce. Rilascia amore per donare amore. E quello stesso Cristo che abita in ognuno permette di vedere lo Spirito che vola più alto, volando oltre le gerarchie e le strutture, le istituzioni. Superando i concetti di accoglienza e di accettazione.
Per riconoscersi fedeli in Cristo non è necessario il giudizio assolutorio di alcuno, basta la Sua presenza in noi come costituente ontologico.
Naturalmente questo non evita la sofferenza che molto spesso si patisce quando come diversi dalla normalità accettata, come omosessuali nello specifico, si incappa contro il pensiero e gli stereotipi sedimentati all’interno della Chiesa. Forse è giusto che convivano due istanze, da una parte rendersi conto che la fede, essendo un fatto personale, non viene filtrata dall’assenso di altri. Dall’altra è giusta anche la battaglia di rivendicazione e di lotta per ottenere uno spazio e un cambiamento all’interno di quella struttura cui si vorrebbe appartenere, e verso cui la fede, per alcuni almeno, sembra trovare sostanza di realizzazione storica.
La sofferenza rimane un mistero non decifrabile: non è purificazione, non è espiazione. Non esistono gradazioni o graduatorie di sofferenza, ogni uomo porta la propria, e tutte hanno il medesimo valore. Nel momento di massimo vuoto che ogni dolore provoca (psicologico o fisico che sia), in cui non si vede nulla, scatta l’abbandono totalmente a Lui: nell’assenza l’unica presenza che veramente doni significato e speranza. Speranza cieca e senza certezze. Perché la fede come direbbe qualcuno è totale gratuità. Tutto ciò, mi permetto di aggiungere, fa comprendere la nostra piccolezza e grandezza, piccoli nella nostra grandezza di dignità di uomini, in cui si è riversato l’amore di Dio“.