Ma l’avete presente un ventilabro?
Riflessioni* del reverendo Roberto Rosso** pubblicate sul sito della Comunione Unitariana Italiana il 25 novembre 2018
“Egli ha il suo ventilabro in mano, ripulirà interamente la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile”. (Matteo 3:12)
Cari Amici, Parlando recentemente della cristianità pura di Ferenc Dávid mi sono imbattuto in questo verso, e mi sono balenate alla mente alcune idee che vorrei condividere con voi oggi. Il verso è particolarmente interessante, soprattutto per noi che intendiamo epurarlo dalla pesante retorica dogmatica che ne vuole fare uno dei passi attraverso i quali assicurare l’inferno a chi che sia. Una volta ripulito dalla pula del rancoroso risentimento dogmatico, di questo verso cosa rimane?
Anzitutto direi che contiene una grande indicazione in merito all’antropologia spirituale. Il verso non parla di sommersi e salvati, non esistono né semi senza pula, né pula senza semi, con buona pace dei tifosi dell’inferno; esiste piuttosto l’uomo, composto dal seme e dalla pula, che ha come compito l’idea di purificarsi progressivamente, imparando a separare nella propria esperienza di vita ciò che è ascrivibile al seme da ciò che è pula. E come può far questo? Attraverso uno strumento che ci viene offerto, il ventilabro di una tradizione spirituale, la Lieta Novella di Gesù per i cristiani, ma è un discorso che può farsi anche con altre tradizioni.
Ma voi sapete come funziona un ventilabro? Esso sbatte il seme ricoperto dalla pula e lo lancia per aria controvento: quest’azione lascia volar via la pula, portata via dal vento, e restituisce il seme ripulito. Sbattere ed esporre controvento, esiste una metafora migliore della vita spirituale? Essere spirituali è una esperienza scomoda, controcorrente, per certi versi paradossale, e quasi sempre inattuale. Ma è proprio l’esposizione a questo processo che ci dona alla fine l’emergere di un seme purificato. E Gesù ci dice anche un’altra cosa: se vogliamo che questo processo di purificazione (πῦρ, fuoco nel greco evangelico) funzioni, non possiamo abbassare la guardia, ma dobbiamo continuare a leggere l’esperienza di vita ritrovando in noi stessi il fuoco inestinguibile dell’attenzione critica, che ci aiuti, giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza, ad eliminare la pula dalla nostra vita. Il fuoco inestinguibile non è il traguardo finale, la vendetta ultima, ma un compagno di viaggio, l’essenza stessa della tradizione spirituale, che ci chiama a mettere in campo le risorse per una esperienza spirituale non semplice, ma certamente sempre più pura.
E la Purezza non è, se non apertura al Mistero libero dalla pula, che ci chiama ad esplorarlo, ci chiama cioè ad una attività e non ad un atto. Questo è un aspetto interessante, dai vaghi toni falaschiani, che merita forse un approfondimento: la relazione uomo-Divino assume una connotazione peculiare in ragione delle caratteristiche delle due dimensioni. Da un lato abbiamo il Divino, di una ricchezza eccedente e inesauribile; dall’altro l’umano, costretto, per ragioni di limiti cognitivi o, se volete, creaturali, a definire questa ricchezza, a parcellizzarla, a ridurla in porzioni cognitivamente accessibili. La purezza sta appunto in questo: nel non pensare che il dato, la piccola porzione di consapevolezza che io periodicamente ottengo, sia la Parola Ultima sul Divino, e accettare invece l’idea che una piccola parte dell’essenza Divina possa emergere solo dalla sintesi costruttiva delle esperienze nello spazio e nel tempo di ogni singola ragione umana, accettare che in ogni singolo atto spirituale io possa imparare di me e di Dio qualcosa di sempre nuovo e diverso, in una continua sintesi, sempre nuova e sempre più ricca, che necessiti comunque ogni volta dell’azione di un ventilabro e di un fuoco inestinguibile.
Il dogma in questo senso è errato per la sua intrinseca natura di voler spiegare in termini statici un processo dinamico. Il dogma è una delle incarnazioni stesse della pula evangelica. Pensare di poter spiegare la realtà odierna con schemi e categorie dell’uomo di 10 o 15 secoli fa è una pura insensatezza. Pensare che l’uomo di allora abbia potuto dire l’ultima parola su una esperienza così ricca come la vita di miliardi di persone che han popolato la Terra nei secoli, è pura miopia egocentrica, ma è altrettanto miope l’atteggiamento nihilista di chi neghi il processo in atto, la presenza stessa della pula, misconoscendo gli evidenti progressi di consapevolezza culturale e morale di una umanità che sta imparando a pensarsi come un soggetto sovranazionale, e di un Sud del mondo, più agguerrito e consapevole, che rivendica spazi e possibilità.
Nel definire costitutiva la presenza della pula, e nel definire con termini come battere, bruciare, ed essere esposti controvento il percorso spirituale, penso di avere dato dei contorni precisi al concetto di speranza in termini UU e al connesso naturale ottimismo con cui viene descritta. Da questo ragionamento possiamo trarre alcune considerazioni notevoli. Anzitutto, lasciando perdere onanismi sul peccato originale, come dicevo in principio, ogni uomo ha alcune debolezze, la pula, che deve affrontare e correggere in un percorso di progressiva rettificazione spirituale, che condivide con i confratelli della congregazione, ad esempio. Inoltre, questo processo di rettificazione è connesso al fatto stesso di vivere (fuoco inestinguibile), nessuno può dirsene immune. Corollari a questo sono: sia che un uomo che non conosca e non ammetta, o pensi di non avere debolezze, è solo un superficialotto; sia che i santi esistono solo nei film, di un uomo di cui non vediamo alcuna pula dobbiamo imparare a diffidare, affinare il nostro senso critico e sforzarci di conoscerlo meglio.
Infine, dobbiamo imparare a convivere ed ad accettare le nostre e le altrui debolezze. Quanti matrimoni, quante amicizie, quante famiglie si sono sfasciate perché l’altro non era perfetto… impariamo a convivere con la nostra imperfezione, accettarla in noi stessi e negli altri. Una relazione di qualunque tipo (matrimonio, parentado, amicizia) che funzioni, è un contesto in cui si sia mutualmente imparato ad accettare che ci sia pula e si sia trovato un processo condiviso per riconoscerla ed eliminarla.
Riconoscere ed accettare la pula non è un atto fine a se stesso, ma è il primo passo per correggerla. Così, personalmente, intendo la pura cristianità di Ferenc Dávid, un obiettivo più che un dato, un farsi più che un fatto.
Allora facciamolo quest’uomo, capace di riconoscere separare e bruciare la propria naturale pula.
Nasè Adam [Facciamo l’Uomo]
Amen. Rob
* Il passo biblico è tratto dalla versione Nuova Riveduta.
** Roberto Rosso, laureato in filosofia e psicologia, ha fondato nel 2004 la Comunione Unitariana Italiana.