Quale posto per i giovani LGBT nella Chiesa cattolica?
Intervento tenuto da Paolo Spina del Progetto Giovani cristiani LGBT all’incontro del “Tavolo di Dialogo tra i gruppi lombardi di cristiani omosessuali e le realtà cattoliche lombarde su: “Quale posto per i giovani LGBT nella Chiesa?” organizzato da Cammini di Speranza Lombardia al Santuario di Santa Maria del Fonte di Caravaggio (BG) il 18 ottobre 2018
“Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza” [Ger 29,11]. Care amiche, cari amici, se oggi siamo qui, se ci ritroviamo insieme, come quei due [Lc 24] che, pochi km distanti da Gerusalemme, sperimentarono come mettersi in cammino fosse l’unico modo per scoprire la strada, è perché abbiamo riconosciuto e creduto a un amore più grande, un amore che ci ha desiderati, creati, amati e benedetti per tutto quello che siamo.
Mentre, però, camminiamo come i due di Emmaus, accettiamo di varcare i confini rassicuranti dei nostri gruppi e di abbandonare anche l’ingombrante pretesa di sentirci a posto con Dio. Le nostre storie potrebbero parlare per noi e, fuor di metafora, molti sono qui dopo un percorso di incontri e scontri con se stessi e con gli altri, nei quali riconoscersi lgbt, cristiani, e le due cose insieme, non è sempre stato immediato ed evidente.
Eppure vogliamo e dobbiamo avvertire la responsabilità di condividere l’intima convinzione che anima ognuno di noi: Dio non mi ha chiesto di scegliere tra Lui e quello che sono!
Perché questa lunga premessa? Perché è necessaria a presentarci, per dire che non sono qui a parlare a titolo personale – o, almeno, non soltanto personale – ma perché sto prestando la voce al Progetto giovani cristiani lgbt, gruppo spontaneo nato tra ragazzi e ragazze di età compresa fra i 18 e i 35 anni che frequentano i gruppi italiani di cristiani lgbt (gruppi che, a ottobre 2017, erano censiti a 24, sparsi un po’ in tutta Italia). La nostra realtà nasce nell’estate 2015, in preparazione al IV Forum dei cristiani lgbt. Da allora sono state tante le iniziative per crescere nell’amicizia e nella fede: tra le più significative, l’intuizione che quel “Sinodo per tutti i giovani”, come lo era già dalle prime dichiarazioni di Papa Francesco, poteva rappresentare un’occasione provvidenziale anche per noi: un cammino impegnativo e affascinante insieme, lungo il quale fermarsi, documentarsi, confrontarsi, scrivere e sognare sul personale progetto di Dio sulla nostra vita.
Nella primavera ed estate del 2017 ci aprimmo al contributo di tutti i giovani che ne avessero la volontà per rispondere alle domande poste dal documento preparatorio al Sinodo. Raccogliemmo un materiale vasto e ricchissimo, che rifletté fedelmente tutta la nostra esperienza di gioie, inquietudini, speranze, difficoltà e consolazioni. La sintesi dei contributi per il Sinodo si concluse nel novembre 2017: un comitato coordinativo stese un documento cui a vario titolo parteciparono circa sessanta persone, che venne ricevuto e accolto dalla segreteria del Sinodo.
Non solo questo piccolo-grande lavoro ci ha permesso di crescere nella capacità di conoscerci reciprocamente, ma anche di avere ben chiaro chi vogliamo essere e cosa vogliamo proporre. In estrema sintesi – per poi tornare sul tema del Sinodo – i ragazzi e le ragazze del Progetto mettono a disposizione un luogo di accoglienza, dialogo, crescita, riflessione e servizio per i giovani cristiani lgbt, per vivere con sempre maggiore serenità e pienezza sia la loro vocazione affettiva sia quella cristiana. Nella cura delle relazioni personali e nel confronto con le altre realtà di cristiani lgbt, italiane ed europee, il Progetto vuole essere segno profetico e credibile per portare alla luce voci ed esigenze del tempo presente all’interno della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane, attraverso la testimonianza quotidiana e la missionarietà (due elementi avvertiti come imprescindibili dai nostri gruppi), vissuti come carismi da mettere a disposizione della Chiesa e del mondo. Per questo, all’atto pratico, ci siamo proposti di organizzare incontri nazionali a cadenza almeno annuale, sia di approfondimento tematico, sia di spiritualità, come pure momenti di condivisione, ed eventi che favoriscano l’informazione, la discussione, la crescita e l’approfondimento del binomio fede e affettività-sessualità lgbt, mediante la condivisione possibile con i moderni canali di comunicazione virtuale, e anche mediante il supporto di operatori qualificati in tale ambito. Un esempio di tutto questo è l’incontro che oggi stiamo vivendo.
Desideriamo aprire una piccola parentesi semantica, dovuta alla richiesta di molti, soprattutto fra gli operatori pastorali: quella relativa alla scelta dell’utilizzo dell’acronimo lgbt (e derivazioni, vedi lgbtqia+…). Non è facile scegliere la traduzione migliore per questa espressione. La sigla lgbt, infatti, è usata (e sovente contestata) anche in ambiente laico; allo stesso modo, è pressoché sconosciuta al mondo cattolico italiano (nonostante ci sembri doveroso ricordare che compaia in un documento vaticano ufficiale, proprio l’Instrumentum laboris della recente assemblea sinodale, di cui poi accenneremo in maniera più corsiva).
La connotazione politica e la strumentalizzazione ideologica che se n’è fatta (e si fa) porta alcuni a non consigliarne l’utilizzo. D’altra parte, è difficile trovare nella lingua e nella realtà italiane un’unica parola che metta tutti d’accordo e che sia tanto facile e immediata. Noi stessi l’abbiamo scelta, non trovando opzione migliore, ma anche confidando che lasciare aperta la questione terminologica non possa che essere di stimolo alla riflessione, sia dei cristiani che delle stesse comunità lgbt.
In questo senso, desideriamo affermare con forza che non esiste un cristianesimo lgbt; esiste un cristianesimo che è la sequela di un Dio incarnato, e il nostro orientamento sessuale è, come ogni realtà della nostra persona, attraversata dalla chiamata e dall’amore di Dio per ciascuno.
Dopo esserci presentati, torniamo a incamminarci, e lo facciamo partendo dalla provocatoria contrapposizione che molti fanno quando si parla di Chiesa e persone lgbt; tentazione che non ci è stata risparmiata nemmeno oggi, attraverso l’opposizione di alcuni nei riguardi di quanto sta accadendo proprio ora e di quanto stiamo condividendo, ma nei confronti della quale sentiamo di vivere anche noi quella pagina di Vangelo dove Luca descrive l’incontro tra Gesù e Zaccheo [Lc 19]: un’offerta di misericordia a qualcuno che è tenuto ai margini fa sempre mormorare molti. Jovanotti canterebbe sopra questo spartito: Mormora, la gente mormora, falla tacere praticando l’allegria. Da parte nostra, abbiamo preferito partire dalla considerazione che spesso, in occasioni come questa, le persone lgbt chiedano maggior riconoscimento, attenzione e rispetto all’istituzione ecclesiale. Vero. Ma io, ma noi giovani lgbt cosa facciamo perché la Chiesa sia come la desideriamo, perché la Chiesa sia una Casa per tutti?
Spinti da questo interrogativo abbiamo provato anche noi a rispondere alle domande preparatorie al Sinodo. Ciò che abbiamo presentato alla segreteria del Sinodo è stato frutto di discernimento attraverso il quale un comitato ristretto di volontari ha sintetizzato e integrato i tantissimi contributi ricevuti (come accennavo prima, da parte di circa una sessantina di giovani dei nostri gruppi).
Di questo documento, vorrei ora presentarvi la cifra attraverso le risposte a due delle domande che il Papa inviò ai giovani del mondo intero, e che noi abbiamo riletto alla luce del nostro vissuto personale e affettivo: Quali sono le sfide principali e quali le opportunità più significative per i giovani del vostro Paese/dei vostri Paesi oggi? e Che cosa chiedono concretamente i giovani del vostro Paese/i alla Chiesa oggi?
DOMANDA 2) Quali sono le sfide principali e quali le opportunità più significative per i giovani del vostro Paese/dei vostri Paesi, oggi?
La società sta cambiando, e offre a noi giovani lgbt l’importante opportunità di vivere la propria affettività in modo sempre più consapevole e sereno. Una ricerca condotta dall’ISTAT (2011), afferma che la maggior parte dei cittadini italiani ritiene che gli omosessuali siano discriminati; tale atteggiamento è condannato solo parzialmente. La condizione dell’omosessualità è sempre più tollerata, così come la presenza di legami omosessuali di coppia stabili, anche attraverso una legislazione specifica al riguardo.
Circa un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale, con una percentuale leggermente maggiore tra gli uomini, i giovani e nell’Italia centrale. Sono presenti ancora difficoltà nella relazione fra le persone lgbt e le famiglie di origine; episodi discriminatori emergono a scuola, all’università, nella ricerca del lavoro e sul posto di lavoro. Difficoltà compaiono anche nella ricerca di una casa, nei rapporti di vicinato, nell’accesso ai servizi sanitari, e nel confronto con l’amministrazione pubblica.
In questo contesto, avere fede in Gesù rappresenta oggi, per noi giovani, una sfida e una grande opportunità insieme. In più, per noi giovani lgbt, essere figli e figlie di una Chiesa che fatica a scorgere il bene nelle nostre vite costituisce un altro versante di questa sfida.
Ma ogni volta che ci lasciamo guidare dal Signore nello scoprire la missione della nostra esistenza, credere costituisce per noi una grande opportunità di gioia.
Mettendo al centro la Parola di Dio, vorremmo raccogliere la sfida di avvicinarci a essa con rigore e autenticità, anche per interpretare con strumenti fondati i passi biblici che trattano il tema dell’omosessualità. Oggi l’opportunità che più ci affascina è quella di credere per convinzione più che per convenzione e di scoprire autenticamente Gesù, voce forte contro l’ipocrisia, amorevole servo degli ultimi.
Non di rado anche in famiglia o nelle nostre comunità ecclesiali di appartenenza affrontiamo atteggiamenti discriminatori e di emarginazione, che spesso lasciano tracce e ferite indelebili.
TESTIMONIANZA: “Quante volte avrei potuto io, per primo, testimoniare con semplicità il mio orientamento in ambito parrocchiale, a vantaggio di chi viveva la mia stessa situazione? Più volte si pensa di essere gli “unici” omosessuali credenti in parrocchia, o nella propria città… e poi si scopre, ovviamente, che non è così!”
Per un giovane lgbt, compiere il passo del coming out significa correre il rischio di uscire allo scoperto, mostrando pubblicamente che si vive il proprio orientamento affettivo come un dono. Questo passaggio non viene compiuto per ostentazione, ma per crescere nella verità e potersi sentire riconosciuti e amati senza ombre o menomazioni.
In seguito al proprio coming out, tanti fra i giovani lgbt impegnati nelle realtà ecclesiali ricevono delle pressioni a recedere dai propri incarichi: la loro serena accoglienza è per le comunità una sfida importante, in quanto mostrarsi nella verità della propria vita, lungi dall’essere nota di demerito, è indice di maturità, trasparenza e onestà, qualità fondamentali per un educatore cristiano.
Una sfida/opportunità è anche quella di dialogare con mitezza, aiutando e sostenendo anche con la preghiera chi ha difficoltà a riconoscere il bene nelle nostre vite: vorremmo rivolgerci a loro con rispetto, compassione, delicatezza, mettendoci in discussione, ascoltando con sincerità e coraggio le sensibilità differenti. Il Vangelo, davvero, ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro.
Per un giovane lgbt, il primo passo nella ricerca della propria strada è sperimentare intimamente che il Signore lo ama proprio così come egli è, e scorgere nella propria peculiarità un dono. Non è semplice se fin da piccoli ci hanno insegnato a disprezzare la nostra sessualità e affettività come inclinazione disordinata, ma oggi possiamo dire con speranza: anche noi siamo partecipi della gioia del Signore!
A questo scopo, crediamo importante una spiritualità che ponga in primo piano l’amore di Dio per noi. Potremmo chiamarli i due passi di una spiritualità dell’amore: Dio ama, io credo; Dio invita, io vengo. Come nel battesimo di Gesù, anche per noi, con i sacramenti e nelle pieghe della vita quotidiana, in uno spazio di continuità fra noi e il cielo, dove non c’è colpa, giudizio, o tensioni, ma solo noi e Dio, Lui ci dice ancora una volta: “Tu sei il mio amato figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (Mc 1,11).
Compiuto questo primo passo, si proverà la gioia e la fatica di interpretare la volontà di Dio nella propria vita, lasciandoci sorprendere dalla Sua creatività e dalla Sua pedagogia che può apparire illogica ai nostri occhi. Questa forse è la sfida più grande: riuscire ad “accogliere il progetto ispirato da Dio alla vita familiare, al ministero ordinato o alla vita consacrata” o anche ad un laicato missionario; è la sfida del discernimento personale che sempre deve poter contare sul sostegno di tutta la comunità ecclesiale. Infatti, non è l’orientamento affettivo a determinare una vita piena e una chiamata gioiosa, ma l’ascolto e la disposizione del cuore ad accogliere la peculiare e personale chiamata del Signore sulla propria vita.
DOMANDA 5) Che cosa chiedono concretamente i giovani del vostro Paese/i alla Chiesa oggi?
Ci sentiamo figli e figlie della Chiesa, e crediamo che le Sue risorse umane e spirituali costituiscano dei tesori inesauribili, che andrebbero resi autenticamente accessibili a tutti gli uomini e a tutte le donne. Crediamo che la Chiesa abbia tanto da dire alle nostre vite, alla nostra società, all’intera umanità, per aiutarci a trasformare le scelte che si presentano sulla nostra vita in possibilità di gioia e pienezza.
Se dovessimo provare a sintetizzare cosa chiediamo concretamente alla Chiesa, parleremmo di accoglienza e inclusività. L’accoglienza autentica, per noi, risponde a un bisogno di integrazione, fraternità, assenza di pre-giudizio, guida e consiglio. Viviamo l’accoglienza come un insieme di pratiche e atteggiamenti che si preoccupano di far sentire “a casa” e a proprio agio l’altro, tenendo primariamente conto del suo vissuto, di cosa significhi per lui, concretamente, essere accolto.
L’accoglienza è per noi, primariamente, assenza di pre-giudizio: vorremmo essere considerati nella globalità e nella complessità della nostra persona, come tutti. Vorremmo che la Chiesa maturasse nella consapevolezza che l’orientamento affettivo è una caratteristica della persona, fondamentale ma non centrale, che si apre, come tutte le condizioni e senza determinismi, a possibilità di sviluppo sia positive che negative.
L’accoglienza delle persone lgbt potrebbe essere ancora più efficace se lo sforzo pastorale continuasse a essere preceduto da un approccio sempre più strutturato alla tematica. Dalla concretezza delle nostre vite e delle nostre esperienze ci sembra che una maggiore apertura ai contributi delle moderne scienze umane possa costituire un passo importante e necessario.
TESTIMONIANZA: “Quello che fa veramente male al cuore è che la comunità cristiana, ed è questo il mio caso, ignora semplicemente l’esistenza di noi persone lgbt cattoliche.”
“Nominare le diversità”, può significare dedicare dei percorsi pastorali specifici, trattare positivamente la tematica nelle omelie e nelle preghiere dei fedeli, o negli incontri di fede. Alla luce della nostra esperienza, questo bisogno è particolarmente valido per i giovani lgbt, che per una remota ferita sanno di non potersi sempre aspettare uno sguardo benedicente. Gli educatori dovrebbero sapere che tra i ragazzi a loro assegnati, con tutta probabilità, una porzione si innamora di persone dello stesso sesso. Come segno di accoglienza autentica, possano tenerne conto nei propri linguaggi e nelle attività proposte, con competenza e delicatezza.
Vorremmo, come Chiesa, avvicinarci al tema dell’omosessualità apprezzando le possibilità di bene, impegno e cura reciproca presenti anche nelle persone lgbt – in sintesi le loro capacità relazionali. Nei nostri cammini, ci accorgiamo della particolare fecondità alla quale le nostre vite si possono aprire, intesa come vita donata e moltiplicata per l’altro.
La Chiesa potrebbe così starci vicina e accompagnarci anche nei percorsi di coppia o nell’aspirazione alla vita consacrata, con il discernimento personale e comunitario.
Nella concretezza delle nostre vite, ci sembra che potremmo beneficiare di una maggiore vicinanza nel dire sulla sessualità parole buone, serene e costruttive, aiutandoci ad accogliere serenamente questa dimensione della vita, come energia buona e possibilità di aprirsi al mistero dell’altro, anche liberandoci da false immagini di Dio. Una dimensione che, nella gradualità con cui ciascuno si incammina verso la perfezione dell’Amore, può essere vissuta costruttivamente e responsabilmente o sublimata, ma mai repressa sterilmente.
Ci sembra necessaria la possibilità di un ascolto autentico e di un confronto con pastori sensibili e preparati, anche nel sacramento della Riconciliazione, senza dover incontrare pregiudizi infondati o frasi di circostanza, che non di rado generano sofferenze e allontanamenti. Per ridurre questo rischio è utile pianificare, percorsi di formazione specifici per gli operatori pastorali, anche attraverso il contributo delle moderne scienze umane.
Allo stesso modo è doveroso condannare con fermezza e chiarezza l’omofobia, e in particolare i gesti di discriminazione e violenza (sia fisica che verbale) nei confronti delle persone lgbt, anche prendendo le distanze dalle cosiddette “terapie riparative”, le quali non sono sostenute da alcuna evidenza scientifica nella modificazione dell’orientamento sessuale e affettivo dell’individuo, risultando dunque inutili e rischiose per la salute psico-emotiva e spirituale della persona.
Questa una sintesi estrema di ciò che presentammo alla segreteria del Sinodo. Grande, grandissimo fu lo stupore, insieme alla gioia, quando lo scorso 19 giugno, alla pubblicazione dell’Instrumentum laboris del Sinodo, leggemmo che “Alcuni giovani lgbt, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano «beneficiare di una maggiore vicinanza» e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa, mentre alcune Conferenze Episcopali si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa»” [IL, 197]. Questo perché, sempre citando il medesimo documento di lavoro “Gli studi sociologici mostrano che molti giovani cattolici non seguono le indicazioni della morale sessuale della Chiesa. Nessuna Conferenza Episcopale offre soluzioni o ricette, ma molte sono del parere che «la questione della sessualità deve essere discussa più apertamente e senza pregiudizi». […] Di conseguenza, la Riunione Presinodale chiede ai responsabili ecclesiali di «affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù» (Riunione Presinodale 11)” [IL, 53].
Con questo animo – dopo aver ascoltato Gioele e il suo racconto dei giorni del Sinodo – leggiamo le parole del Documento finale, in particolare quelle che accennano a tali dimensioni. Proviamo, sinteticamente, a offrire un breve commento:
“Frequentemente la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità” (DF, 39).
Abbiamo compreso noi stessi come tutto ciò che ruota intorno alla sessualità non sia di poco conto, perché sulla base di come la Chiesa affronta/parla di questa tematica è messa in gioco la sua intera credibilità: la morale sessuale, l’accoglienza dei poveri e degli emarginati e la questione degli abusi sono le grandi tematiche che possono avvicinare/allontanare i giovani a seconda di come vengano vissute. È duro costatare come sempre di più l’esperienza della vita concreta dei giovani e le parole della morale cattolica viaggino su binari diversi; per questo il tema che più tocca i nostri vissuti è vitale per tutti i giovani, qualunque sia il loro orientamento sessuale. Non ultima la considerazione che i paragrafi relativi alla sessualità (in generale, e all’omosessualità in particolare) sono stati quelli approvati con il numero inferiore di voti da parte dei padri sinodali: appena quelli necessari.
“Nell’attuale contesto culturale la Chiesa fatica a trasmettere la bellezza della visione cristiana della corporeità e della sessualità, così come emerge dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero degli ultimi Papi. Appare quindi urgente una ricerca di modalità più adeguate, che si traducano concretamente nell’elaborazione di cammini formativi rinnovati. Occorre proporre ai giovani un’antropologia dell’affettività e della sessualità capace anche di dare il giusto valore alla castità, mostrandone con saggezza pedagogica il significato più autentico per la crescita della persona, in tutti gli stati di vita. Si tratta di puntare sull’ascolto empatico, l’accompagnamento e il discernimento, sulla linea indicata dal recente Magistero. Per questo occorre curare la formazione di operatori pastorali che risultino credibili, a partire dalla maturazione delle proprie dimensioni affettive e sessuali” (DF, 149).
È difficile offrire la cifra di queste righe, così dense di spunti. Una prima impressione – non di poco conto – è circa l’utilizzo della terminologia, che sembra percorrere un crinale stilisticamente e formalmente differente rispetto a quello di tutti i precedenti pronunciamenti magisteriali. Si parla di castità e non di astinenza (né qui, né in altri numeri), e se ne parla in un paragrafo che non è esplicitamente dedicato all’omosessualità. Si precisa la maturazione delle dimensioni affettive e sessuali degli operatori pastorali (dove invece altri documenti tranciano in maniera più netta e drastica, ad esempio, l’accesso al ministero ordinato a quei candidati che presentino una tendenza omosessuale profondamente radicata, cfr. Il dono della vocazione presbiterale, dicembre 2016).
“Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali. A questo riguardo il Sinodo ribadisce che Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa, rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale. Ugualmente riafferma la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna e ritiene riduttivo definire l’identità delle persone a partire unicamente dal loro «orientamento sessuale».
Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. In questo modo si aiuta ogni giovane, nessuno escluso, a integrare sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé” (DF, 150).
Innanzitutto è da notare la posizione di queste parole all’interno del documento: non in una sezione dove si parli di situazioni problematiche dal punto di vista morale, o irregolari, ma nel III capitolo, “Un rinnovato slancio missionario”, cioè nel contesto delle frontiere, di quelle “Galilee”, luoghi prediletti di incontro con il Signore che, proprio lì, ci precede: i migranti, le donne, il dialogo interreligioso e l’ecumenismo. Anche in questo paragrafo non possiamo non salutare con riconoscenza la comparsa di una terminologia più adeguata alla realtà: al termine tendenza utilizzato da altri documenti del magistero si preferiscono quelli di inclinazione, orientamento, dimensione. È poi, finalmente, nero su bianco, una delle nostre più grandi aspirazioni: si dichiara il bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale circa le questioni della sessualità e delle relative inclinazioni. Insomma: spariscono molti giudizi che lasciano poco spazio agli appelli, in favore di una terminologia più inclusiva e più rispettosa delle persone e del loro vissuto, lasciando libero lo sguardo di fissare un orizzonte ancora largamente inesplorato, ma di certo promettente.
Anche le realtà dei nostri cammini di accompagnamento sono valorizzate e incoraggiate: sappiamo bene, infatti, come per noi giovani lgbt sia importante avere una rete di contatti che includa laici e consacrati, per condividere un cammino di crescita umana e cristiana. Accogliamo con gioia questo invito, pensando anche alle realtà provinciali e regionali più sguarnite in tal senso, dove qualcuno può essere colto dalla tentazione di pensare: “Sarò forse io l’unico gay in parrocchia?”, e facendo il possibile per una diffusione sempre più capillare dei nostri gruppi. Al tempo stesso, immaginando un graduale trasferimento della cura pastorale per le persone lgbt da una dimensione di frontiera all’ordinarietà della vita ecclesiale, sarebbe bello camminare insieme verso ciò cui veramente aspiriamo e che in alcune realtà ci sembra sia già avviato: comunità cristiane che sappiano accogliere e aiutare tutti i giovani a integrare serenamente la fede con la propria affettività, con un bisogno minore di gruppi specifici e protetti, dove si testimonia con mitezza e si vive in sincerità anche il proprio orientamento sessuale, si riconosce la presenza di Dio nella propria vita anche in quella “chiamata nella chiamata” che è l’omoaffettività e si è disponibili nel servizio della parrocchia come catechisti, animatori, educatori, consiglieri pastorali, volontari, ministranti e impegnati a vario titolo nella liturgia … Tutto questo, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé, per citare letteralmente il paragrafo 150.
Concludo, concludiamo noi giovani cristiani lgbt, ascoltando quell’appello che spesso risuona dentro la nostra coscienza e il nostro cuore: un doppio coraggio per testimoniare allo stesso tempo sia il nostro vissuto affettivo in ambito ecclesiale, sia il nostro vissuto di fede nel contesto del mondo. È in questa integrazione creativa e paziente che può trovarsi la nostra chiamata a percorrere, con tutti i nostri limiti, il ponte tra quella Chiesa che è nostra madre, e tutti i suoi figli lgbt. Insieme: insieme alla Chiesa, che si sta ancora interrogando sulle questioni in gioco, e insieme a una generazione di giovani che ormai accetta questa dimensione della realtà come esistente e assodata.
“Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!”: mentre tornano alla nostra memoria le parole di fratel Carlo Carretto, citate anche dall’amico Gioele Anni, avvertiamo l’importanza – fateci dire! – di questa vocazione profetica, che ci porta a leggere tra le righe del discorso della montagna una nona beatitudine: Beato chi si oppone, mettendosi a servizio, con speranza! Opporsi non significa essere aggressivi o rivendicare: chi ama non rivendica! Opporsi significa letteralmente mettersi di fronte; vuol dire guardarsi negli occhi, senza abbassare lo sguardo! Di questa beatitudine nascosta noi vogliamo vivere, nell’impegno e nel tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle donne, dei loro sorrisi e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro il disumano [parafrasando D. M. Turoldo], che è poi scegliere il Dio fatto Uomo.
I discepoli di Gesù non sono né ottimisti, né pessimisti: sono quelli che sanno custodire e coltivare la speranza. Anche quando le cose non prendono la piega desiderata o per la quale tanto si è lavorato e pregato, gli oppositori beati non smettono di servire, cioè offrire in dono ciò che hanno, e di vedere nel piccolo seme la promessa del fiore. In piedi, a testa alta, liberi e coraggiosi: non perché confidano in se stessi, ma perché sono amati e amano il Custode innamorato di ogni nostra più piccola fiducia.