Anche i gay sono cristiani! Perché le chiese non lo comprendono?
Riflessioni di Joseph Ward tratte da Huffingtonpost.com (Stati Uniti), 8 marzo 2011, liberamente tradotte da Angela Di G.
Due delle identità che custodisco nel cuore sono la mia fede e il mio orientamento. Da bambino mi chiedevo se avrei potuto condurre una vita “normale” in quanto gay cristiano.
Io e la mia famiglia frequentavamo una chiesa battista nel New Mexico orientale e nella chiesa feci numerose esperienze che formarono i miei valori profondi: amore per la famiglia e per i vicini, forte senso di appartenenza alla comunità e vocazione a perseguire giustizia ed equità.
Questi valori mi hanno aiutato a superare i momenti più difficili della mia vita e mi hanno aiutato a trovare lo scopo per cui vivere. Sono questi stessi valori a darmi la forza di capire che non sarò mai costretto a scegliere tra la mia fede e il mio orientamento, nonostante ci sia gente che pensa che dovrei farlo.
Mi sono imbattuto recentemente nella storia di un giovane zimbabwano di nome Carlos Mpofu.
Come me è un gay cristiano. Viene da una famiglia di ceto medio ed è il secondo fratello di tre. E, nella sua comunità, anche lui aveva dato un senso alla sua vita attraverso la fede.
“All’interno della chiesa mi venne affidato l’incarico di animatore pastorale giovanile, ero alla guida di 250 ragazzi dagli 8 ai 15 anni”, disse.
“Divenni un affermato educatore domenicale … Furono tre anni frenetici ma i migliori della mia vita”.
Carlos dovette affrontare molti scontri quando si dichiarò alla famiglia e agli amici, ma alla fine riuscì a trovare il modo di rendere accettabili i rapporti con loro.
Nonostante avesse paura di andare a scuola, dove gli studenti picchiavano e prendevano di mira lui e altri studenti gay o lesbiche, la sua esperienza nella chiesa era diversa.
“Ero maturo e molto intelligente. Misi alla prova i pastori e i responsabili della chiesa… La mia identità non era conosciuta lì e quindi non era un problema”. La congregazione accettò Carlos per la sua dedizione alla fede.
Il pastore gli diede una promozione e gli offrì due lavori per lo stesso motivo; così la chiesa continuò a fornirgli una ragione per vivere con fermezza la sua realtà. Ma poi qualcosa cambiò.
La madre di uno dei suoi studenti sospettò che Carlos fosse gay e comunicò immediatamente al pastore che per lei era un problema che lui fosse a contatto con suo figlio.
“Aveva paura che io potessi molestarlo, o che lo avessi già fatto”, disse Carlos. Il pastore non le credette e respinse le accuse sulla base dell’opinione che si era fatto, durante la precedente collaborazione lavorativa, sul ragazzo che conosceva come un affidabile educatore domenicale.
Ma quel momento scatenò qualcosa. Cominciarono a diffondersi voci nella congregazione. Voci che dicevano che, nonostante la serietà di Carlos, un uomo “sospettato” di essere gay non sarebbe dovuto essere il benvenuto all’interno della chiesa.
Il pastore di Carlos non sapeva che lui fosse gay, ma quando sentì queste cose e ebbe la conferma che Carlos frequentava uomini, lo licenziò in tronco.
“Loro mi ‘preaccusarono’ di cose che avrei potuto fare agli alunni – molestarli o corromperli. Dissero che dovevano licenziarmi per impedire che ciò accadesse. Persi entrambi i lavori nell’arco di 10 minuti e tutti i miei incarichi all’interno della chiesa”.
Dopo tutto ciò iniziò la parabola discendente della vita di Carlos. Poiché aveva perso il lavoro, si riaccese il conflitto con la sua famiglia. In lui si generò animosità nei confronti della chiesa, cosa che non si era mai verificata prima.
“Voglio dire sempre alla gente: non aspettatevi solidarietà dalla chiesa se siete gay”, dichiarò. Carlos tentò il suicidio più volte in un mese.
Ebbe continui scontri con la sua famiglia, finché non venne buttato fuori di casa. Divenne un alcolizzato e divenne promiscuo, “conducendo una vita spericolata”.
Venne pestato spesso a causa dell’attivismo sociale a cui si dedicò dopo essere stato licenziato. E, nel 2002, Carlos morì.
Mentre leggevo la sua storia mi batteva forte il cuore nel pensare a come alcuni cristiani possono trattare altri cristiani.
Come molti, non vado in chiesa spesso come vorrei, ma le mie esperienze all’interno del mondo cristiano mi hanno ispirato la convinzione che dovremmo essere tutti uniti a prescindere dall’orientamento sessuale o dalla fede.
La chiesa non è un veicolo per emarginare o distruggere gli altri. E’ un ambiente che dovrebbe perseguire giustizia e uguaglianza ed accogliere tutte le persone nel santuario.
Le mie recenti esperienze nella chiesa corrispondono ad una realtà in cui il carattere di un individuo è definito dal suo cuore e dalla sua mente, piuttosto che da supposizioni basate sulla paura o sulla disinformazione riguardo al suo orientamento sessuale.
In Zimbabwe, dove la chiesa cristiana è profondamente radicata nella cultura locale e ha, inoltre, voce in capitolo e influenza nella politica e nell’economia, ciò risulta essere di cruciale importanza.
Come la storia di Carlos ci mostra, quando i cristiani emarginano i cristiani gay o lesbiche, le conseguenze possono essere gravi.
Può scaturirne disoccupazione nelle economie sottosviluppate, oppure si può generare una pericolosa parabola discendente che lascia molti nell’isolamento e nel fallimento.
Tuttavia, allo stesso tempo, la storia di Carlos ci mostra come la stessa chiesa o congregazione può dare anche speranza e proiettare gli individui in un futuro pieno di opportunità di realizzazione.
La nostra identità cristiana collettiva sarà in grado di realizzare ciò?
La situazione mette in evidenza chiaramente i lati peggiori e quelli migliori della comunità cristiana; ma, cosa più importante, evidenzia che in tutti noi c’è la potenzialità di amare senza etichettare o emarginare gli altri per ragioni insensate.
Tutti noi abbiamo il potenziale di accogliere chiunque nella fede, ma quanto ci vorrà per arrivare a ciò?
Testo originale: Gays are christians