La vocazione dell’uomo alla libertà
Riflessioni di James Woody* pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 25 novembre 2018, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Per amore della verità e per fedeltà al messaggio evangelico, e rifiutando ogni sistema autoritario, noi affermiamo: […] La vocazione dell’uomo alla libertà. […]
Dalle Cinque Affermazioni della rivista Évangile et Liberté.
Leggendo la Bibbia, in ogni pagina scopriamo che l’Uomo è chiamato ad essere libero. Che si tratti del principio di responsabilità nei confronti del mondo di Genesi 1:22, o nei confronti delle persone (Genesi 4:10); che si tratti dello sforzo di affrancarsi dalla servitù, voluto da Dio e reso possibile da Mosè, secondo il libro dell’Esodo; che si tratti del profeta Samuele che mette in guardia il popolo ebraico che vuole un re come gli altri popoli, diventando così schiavo (1 Samuele 8:17); che si tratti di Gesù che libera la parola, le iniziative e la possibilità di approfittare pienamente di ciò che di buono offre la vita; che si tratti di Pasqua, la quale ci dice che la speranza di Dio è che la vita non venga bloccata; che si tratti dell’apostolo Paolo, il quale sviluppa la parola “libertà” e conferma ai Galati che sono stati chiamati alla libertà (Galati 5:13), la Bibbia è un vibrante appello alla libertà.
Il potere esercitato su se stessi
Cominciamo dicendo cos’è la libertà. In senso negativo, diciamo che non è la schiavitù, la quale è privazione dei propri movimenti, delle proprie idee, parole, sensi, scelte. Noi non siamo liberi se ci viene proibito di uscire dal nostro Paese, se non abbiamo l’autorizzazione di esprimere le nostre convinzioni, se non abbiamo il diritto di esercitare il mestiere per il quale siamo qualificati sotto il pretesto della nostra religione, delle nostre opinioni politiche, del colore della nostra pelle, della nostra nazionalità.
In senso positivo, la libertà è la possibilità di vivere la propria vita, tenendo conto del contesto ed esercitando la propria facoltà di giudizio; sarebbe assurdo pensare, per esempio, che un essere umano è veramente libero quando può volare in aria, o solamente alla condizione di sottomettere gli altri alla propria volontà. La libertà non è assenza di limiti, né assenza di costrizioni: la libertà è il potere esercitato su se stessi. Una persona può essere giudicata “libera” non perché è riuscita a sfuggire alla morte, ma perché, prima di morire, ha avuto la possibilità di vivere.
Nelle nostre società occidentali sono state emanate numerose leggi destinate a preservare le cosiddette libertà fondamentali: la proibizione di incarcerare una persona che non è in grado di assolvere ad un obbligo contrattuale, la libertà di circolazione, di insegnamento, di elettorato attivo e passivo… a cui si aggiunge la libertà di culto e la libera manifestazione delle opinioni religiose, purché non turbino l’ordine pubblico. Tutto questo si ricollega al ben noto principio secondo il quale “la mia libertà si ferma lì dove comincia quella degli altri”, ovvero: il limite della libertà è il rispetto della libertà. Non esiste una libertà che vale soltanto per alcuni: siamo tutti chiamati alla libertà.
Il centro di gravità del cristianesimo
Perché la libertà costituisce la prima delle affermazioni del protestantesimo liberale? Perché i protestanti liberali considerano la libertà il centro di gravità della loro fede, il criterio sul quale esaminare una posizione teologica e misurarne la pertinenza. La libertà non può mai essere l’unico criterio di approvazione, ma da essa non si può prescindere. Un’organizzazione ecclesiastica imbriglia la libertà? Allora è contraria allo spirito della fede che anima gli autori biblici. Una formulazione del catechismo richiede di essere creduta senza discussioni e sembra non appartenere ai fondamenti del cristianesimo? Allora va dimenticata.
A volte ci chiediamo se sia possibile valutare una religione. Albert Schweitzer proponeva di osservare se una religione fa del bene o del male, vale a dire analizzare gli atteggiamenti nei confronti del mondo che le varie religioni favoriscono. Ma quali sarebbero i criteri per effettuare tale valutazione? La libertà è il criterio proposto dai teologi liberali, perché a partire dalla libertà si può valutare ciò che una religione è in grado di compiere. È il criterio che fa del liberalismo l’esatto contrario della legge del più forte. Schiacciare una persona, divorare un’istituzione vuol dire ridurre il campo del possibile, degradare la libertà. Il criterio della libertà individuale favorisce il rispetto di ogni persona, comprese le più deboli, che contribuiranno con le loro azioni, per modeste che siano, a liberare il tempo e le energie di chi possiede altre attitudini. È ciò che spiegava David Ricardo (1772-1823) con la famosa teoria dei vantaggi comparati: distruggere i piccoli fornitori e sopprimere i lavori poco qualificati significa mettere le persone che avrebbero dovuto svolgere tali compiti in difficoltà, perché non possono svolgere più le mansioni per le quali sono qualificate. Il principio della libertà ci salvaguarda da questa bizzarria. Il liberalismo è fiducia nell’Uomo capace di certi traguardi, in grado di esercitare il suo spirito critico per fornire alla storia umana l’impulso necessario per rendere più vivibile la vita quotidiana, per una maggiore giustizia e una maggiore gioia.
L’alterità
Attenzione: la libertà non consiste nell’essere indulgenti verso ogni tendenza, né nell’incoraggiare tutte le idee che ci passano per la testa. Quello che pensiamo o facciamo non necessariamente serve alla nostra libertà o a quella degli altri: possiamo benissimo avere dei pensieri morbosi che trasformano la nostra vita quotidiana in un inferno. La libertà ha bisogno dell’alterità, di altro da noi stessi. La libertà non è approvare i miei progetti, bensì assentire alla mia capacità di sviluppare la mia esistenza secondo la prospettiva evangelica: ciò mi permetterà di allargare la mia tenda e la mia vita. Questo significa che talvolta la libertà ha bisogno di vincoli, che a prima vista ci sembrano contrari alla libertà stessa; un’esperienza fatta da Paolo, che racconta nella seconda lettera ai Corinzi, nel capitolo 12. La libertà ha bisogno di confrontarsi con l’alterità, la novità e l’estraneità, senza le quali la mia vita sarà condannata ad essere eternamente la stessa; la vita in Dio, invece, consiste nel fare nuove tutte le cose, non a rinchiudersi in un ciclo ripetitivo e interminabile (Apocalisse 21:5). La vita in Dio consiste nell’aumentare il grado di libertà e la capacità creativa, e per questo è necessaria l’alterità, che ci preserva dal conformismo, dall’uguale, perché quest’utimi sterilizzano la nostra personalità e l’assimilano al resto del mondo.
Non è l’assenza di differenze a salvare il mondo, né la fine delle tensioni: è proprio la singolarità a salvare il mondo, ciò che appartiene solo a noi, che nessun altro potrà offrire alla storia, una singolarità chiamata a prendersi il suo posto nel mondo delle idee, nel campo delle prassi e delle organizzazioni. Le comunità umane che riescono meglio sono quelle che favoriscono la libertà individuale, che non mettono la mordacchia alle esperienze, che non applicano principî di precauzione che sterilizzano la ricerca, ma anzi fanno prova di responsabilità. Le comunità umane che riescono meglio sono quelle che favoriscono la libertà di espressione, e con essa l’arricchimento delle esperienze e l’utilizzo della critica per migliorare tutto ciò che può essere migliorato. L’Uomo è chiamato alla libertà per la sua soddisfazione personale e per una migliore qualità della vita comune.
* James Woody è pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia a Montpellier e presidente di Évangile et Liberté, l’associazione del protestantesimo liberale.