Pastorale con persone omosessuali: Ascoltare… Accompagnare, Discernere, Integrare
Riflessioni pastorali di padre Pino Piva Sj
Nell’ambito della pastorale con persone Lgbt (lesbiche, gay, bisex e trans), anche alla luce delle conclusioni del recente Sinodo dei giovani, si confermano come importanti le riflessioni che poco più di un anno fa sono emerse da un incontro informale svoltosi il 22-23 Novembre 2017 nei pressi di Bologna. Questo incontro è stato promosso da alcuni operatori pastorali impegnati nell’accompagnamento di persone e gruppi di credenti Lgbt, con l’esigenza di confrontarsi e riflettere sulle varie situazioni di vita dei credenti omosessuali e loro familiari, di interpellare i vescovi e altri pastori impegnati in altri ambiti della pastorale, soprattutto familiare e giovanile.
L’intenzione era quella di prendere maggiore consapevolezza della domanda di “attenzione pastorale” che emerge dalle persone omosessuali cristiane e delineare – per quanto possibile – alcuni atteggiamenti necessari e priorità. I presenti, provenienti da molte diocesi italiane dal nord al sud, erano circa una cinquantina tra sacerdoti (la maggioranza) e altri operatori di pastorale dalle frontiere, pastorale familiare e giovanile.
Nel pomeriggio del primo giorno i partecipanti si sono confrontati a piccoli gruppi sulle questioni calde (il cosa) di una pastorale con persone con orientamento omosessuale; e sugli atteggiamenti/attenzioni (il come) da assumere da parte degli operatori di questa pastorale. Queste sono le questioni che con più urgenza sono emerse nella condivisione:
– Urgente necessità di un approfondimento antropologico, biblico e teologico.
Già la famosa Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986 chiedeva ai pastori uno “studio attento, impegno concreto e riflessione onesta, teologicamente equilibrata” (H.P. 2). Oggi questo tema polarizza non solo la società ma anche le comunità cristiane in posizioni rigide e divisive; a soffrirne è proprio il buon senso e la verità delle cose, sostituiti dall’ideologia. Affermazioni dottrinali sommarie e decontestualizzate, usate in modo offensivo; e, per contro, rigide prese di posizione figlie di una cultura estranea all’antropologia cristiana, alimentano la confusione, l’ignoranza, e fanno un pessimo servizio alla verità.
È giunto il momento per una lettura riflessa e non solo emozionale del fenomeno dell’omosessualità. È importante il contatto diretto e la narrazione delle vite e delle esperienze; ma poi si deve passare alla fase della riflessione sull’esperienza perché venga compresa antropologicamente anche con gli strumenti che la cultura contemporanea fornisce, e quindi riletta dentro il Mistero della Salvezza.
Come nel caso di altre frontiere ecclesiali (ad es. divorziati in nuova unione), una pastorale ufficiosa si è assunta l’onere di dare risposte alle domande di senso che salivano da queste periferie ecclesiali; ma in questo modo si è caricato sulle spalle della pastorale il compito della teologia. È giunto il momento di favorire l’integrazione tra pastorale e teologia, in aiuto al ministero dei pastori e del loro magistero, ultimi responsabili della cura pastorale. Ma difficilmente questo processo può essere messo in atto da una singola diocesi… Le lodevoli iniziative sparse sul territorio devono trovare interlocuzione e supporto ad un livello ecclesiale più ampio.
Nel caso specifico, la richiesta d’essere aiutate a leggere la loro condizione in rapporto al piano di Dio da parte delle persone omosessuali, ha bisogno di paradigmi nuovi che aiutino a superare l’omosessualità come “problema”, sollecitando un approfondimento su alcune questioni antropologiche e di teologia morale. Questa sarà sempre intesa come riflessione sulla misura dell’Amore di Dio che è Cristo, origine e paradigma di ogni forma di amore umano; per questo, senza ricorrere al paradigma coniugale uomo-donna, l’affetto che unisce due persone omosessuali, può dirsi una “forma di amore”? Nel riportare la riflessione sul centro che è Cristo, anche la Teologia Biblica avrà da svolgere un importante compito di chiarificazione.
– Una pastorale inclusiva, non più una pastorale di “nicchia”.
Quasi unanime è stata l’opinione secondo cui il futuro della pastorale delle persone omosessuali – come di tutte le pastorali col genitivo (pastorale di…) – sia quello di sparire; o meglio, di confluire in una pastorale che abbia come soggetto la Comunità Cristiana. Quindi una pastorale inclusiva di tutte le istanze – anche particolari – delle varie realtà che compongono la Comunità, evitando il più possibile le pastorali di nicchia che finiscono per essere solo per alcuni privilegiati, oppure catacombe, ghetti, lazzaretti che isolano i portatori di “diversità” (l’ospedale da campo della Evangelii Gaudium non è un lazzaretto). Questo non significa che non possano esserci percorsi particolari, che a volte sono utili; ma sempre in funzione della piena integrazione nella Comunità Cristiana, a partire dalla condizione particolare di ciascuno.
La Comunità Cristiana dovrebbe essere il normale luogo dove si vive l’accoglienza e l’effettivo riconoscimento della dignità personale dei figli di Dio; la Comunità come luogo del discernimento perché ciascuno possa vivere la stessa vita cristiana, nella forma concretamente possibile. Quanto è importante, allora, creare spazi di ascolto gratuito – aperti, pur protetti – dove sperimentare un volto accogliente di Chiesa! Una Chiesa che non perda la speranza di trovare modi nuovi per annunciare la Verità, ma senza lasciare fuori nessuno dalla portata misericordiosa di questa Verità.
In molte zone d’Italia una opportuna pastorale dal basso ha permesso sperimentazioni, percorsi riconosciuti o meno, collaborazioni ecumeniche maggiori rispetto ad altri ambiti pastorali; tempo e pazienza hanno fatto maturare esperienze e verificare in esse la creatività dello Spirito. Ora ci si chiede se non sia il tempo di raccogliere queste esperienze in una rete pastorale che sappia dare prospettive unitarie; non mortifichi le originali diversità; nell’autentico discernimento sappia riconoscere le ispirazioni opportune e quelle non opportune; e soprattutto sappia cogliere la profezia; infine metta a disposizione di tante Chiese particolari le ricchezze e i doni che molte esperienze hanno espresso grazie alla fede tenace di tante sorelle e fratelli che si sono fidati dello Spirito.
Far circolare le ricchezze pastorali permette di superare il problema delle differenze sociali, culturali e, soprattutto, pastorali che penalizzano le diocesi e i centri più piccoli rispetto alle grandi città. Molte persone omosessuali sono costrette a migrare per poter trovare un contesto meno oppressivo o giudicante; e chi non riesce a migrare dalla periferia, vive tutto il disagio del nascondersi, del non riconoscere se stesso, con ovvie conseguenze depressive. Anche quella geografica è una periferia esistenziale.
Per tutto questo viene sollecitato un impegno maggiore della Conferenza Episcopale Italiana, già consapevoli della sincera disponibilità dell’ufficio nazionale per la pastorale della famiglia; e tuttavia ci si chiede se sia proprio l’ufficio famiglia il referente più adatto per questa pastorale…
Contestualmente viene apprezzata la scelta di alcune diocesi di incaricare ufficialmente qualcuno per la pastorale con le persone omosessuali: Torino, con un sacerdote incaricato ad hoc, in diretta relazione con l’arcivescovo; Civitavecchia, con una coppia incaricata nell’ambito dell’ufficio di pastorale familiare, per le coppie con figli Lgbt; e altri esempi. Ad ogni modo, questo incarico ufficiale (un sacerdote, una coppia o, meglio, un’équipe di vari operatori) dovrà essere visibile riferimento per le persone Lgbt e loro genitori; dovrà essere in rete con tutti gli ambiti pastorali diocesani e in relazione con le realtà extra-diocesane interessate a questi temi. Un incarico che sia di stimolo nella Chiesa locale per attivare processi, promuovere il dialogo e l’integrazione.
– Formazione e Accompagnamento…
…di una Comunità accogliente e inclusiva: formare la Comunità Cristiana al rispetto, compassione e delicatezza (C.C.C. n. 2358) per le persone di orientamento omosessuale; la conoscenza delle persone e delle loro esistenze concrete fa superare la paura, previene la discriminazione e favorisce l’integrazione. Per questo può essere utile promuovere occasioni inclusive di impegno ecclesiale, o di preghiera. Come anche aiutare la Comunità ad informarsi adeguatamente sulla condizione omosessuale, e a parlarne in modo normale, esplicito e senza timori. D’altra parte, sarebbe utile formare operatori, sacerdoti soprattutto, in maniera adeguata ad accogliere nel foro interno e nell’accompagnamento le persone omosessuali: il processo di integrazione passa anche attraverso fasi interiori molto complesse, e sempre a rischio di abuso psicologico o spirituale.
…di operatori pastorali, sacerdoti/religiosi-e: formazione all’accompagnamento spirituale; con percorsi formativi che possano aiutare ad affinare la capacità di sintonizzarsi con le persone anche attraverso la consapevolezza delle proprie emozioni; formare alla direzione spirituale, fatta soprattutto di ascolto. Per questo gli operatori pastorali e i sacerdoti vanno educati ad integrare la loro stessa dimensione affettiva insieme a quella più razionale. È opportuno affrontare in modo sereno il tema delle persone omosessuali consacrate, anche nei contesti ecclesiali più delicati: seminari, noviziati maschili e femminili, ambienti di formazione; soprattutto liberando dalla paura e dallo stigma negativo, superando stereotipi e pregiudizi grazie ad una informazione corretta e rispettosa delle persone.
…delle famiglie con figli omosessuali: spesso le famiglie restano sole. La famiglia che riceve il coming out di un figlio passa per un momento destabilizzante e di sofferenza; ma può diventare, poi, un momento di grazia. Per questo possono essere utili i gruppi di famiglie che, condividendo, si aiutano reciprocamente a non sentirsi sbagliate e smettere di nascondersi. Nel gruppo si può fare un cammino per superare la falsa alternativa: ascoltare i figli, o la Chiesa.
…delle persone omosessuali, da integrare e non discriminare: è importante che le persone omosessuali si sentano ri-conosciute come “persone” dalla Comunità Cristiana; nel loro autentico desiderio di Dio, nel loro bisogno di amore e nel modo proprio di esprimere l’affetto. Nel caso di persone impegnate e ormai strutturate in una relazione affettiva duratura e fedele, ci chiediamo, possono realmente essere accolte come “persone” senza accogliere contestualmente la loro relazione?
La Comunità Cristiana è pronta ad integrare – nei modi opportuni e con discernimento – queste persone anche a partire dalla loro identità affettiva, magari in coppia, in modo visibile e inclusivo?
Nel sostenerle in un cammino di autentica scoperta di sé, di accettazione del proprio vissuto, e della vocazione cristiana a cui Dio le chiama, la Comunità è pronta ad accogliere la testimonianza di fede di queste persone e riconoscere i doni particolari che possono portare alla Chiesa?
Abituate a tante forme di discriminazione le persone credenti Lgbt, pur segnate da grossi dolori e comprensibili risentimenti, non vogliono rimanere prigioniere di questi dolori; desiderano essere aiutate ad offrire alla Chiesa la loro presenza e il loro impegno cristiano, senza rabbia o arroganza ma con una sana e costruttiva umiltà.