A Betlemme non c’era posto per loro. Per un mondo diverso
Riflessioni di padre Ettore Fasolini pubblicate sul giornale Missionari Saveriani notizie, anno 52, del dicembre 2001, pag.1
Dal vangelo secondo Luca: “Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. I pastori che vegliavano, furono presi da grande spavento; ma l’angelo disse loro: “Non temete, è nato il Salvatore!”.
Stiamo per tirar giù dai piani alti dell’armadio gli scatoloni che contengono le statuine del presepio e gli addobbi per il Natale imminente. Andremo in cerca di muschio e, con i nostri bambini, costruiremo il presepio. Disporre le statue, le casette illuminate e le colline, non significa fare il presepio. Ci vogliono gli Angeli, e soprattutto il messaggio che essi ricevono dal Bambino e che, volando su valli e pianure, trasmettono al mondo. Quest’anno vorremmo possedere o comprare Angeli per un presepe diverso. Viviamo in tempi nei quali le favole non trovano più posto, non siamo più capaci di inventarle. Se avessi dei bambini, come regalo di Natale, donerei loro un paio d’ali, e poi li lascerei andare, spingendoli verso l’alto, liberi di imparare da soli a volare.
Le tragedie accadute in questi ultimi mesi ci hanno scosso, è come fossero successe alle porte di casa nostra.
Fuori, non lontano da noi, vivono milioni e milioni di persone che aspettano di essere ammesse nel nostro mondo, intessuto di sicurezze e benessere. Uomini e donne ai quali vengono negati i diritti fondamentali: avere un lavoro, abitare in una casa, ottenere il ricongiungimento della famiglia, l’istruzione per i loro piccoli. Maria e Giuseppe erano in cerca d’un riparo: doveva nascere il Bambino, la radice di Jesse, attesa da secoli. Ma a Betlemme non c’era posto per loro. E il figlio di Dio nacque in una stalla. Il cristianesimo non consiste in una dottrina, o in un insieme di insegnamenti e di obblighi morali da soddisfare. Cristiano è chi crede in un evento, in un fatto realmente accaduto: una nascita, e la mamma che pone il suo bambino sul fieno di una mangiatoia.
Non c’era posto per loro
Oggi Gesù non nasce a Betlemme: nasce nei container che ospitano i terremotati; nasce nei centri di raccolta dei disperati venuti dal mare, tra i cartoni dei barboni che dormono sui marciapiedi, sotto i ponti o negli atri delle stazioni; il Bambino nasce nel cuore di donne angosciate che lungo le strade aspettano sconosciuti clienti.
Per loro non c’è posto nel mondo perbene, che difende con le unghie i suoi averi e i suoi privilegi. In Italia ci sono cinque milioni e mezzo di case sfitte, in città che quasi ogni giorno aprono nuovi servizi di bancomat, mentre le librerie sono costrette a chiudere.
A Genova i G8 hanno stanziato un miliardo di dollari per combattere l’AIDS nel mondo, specie in Africa; mentre gli esperti ci informano che per lo scudo spaziale che gli Stati Uniti intendono costruire ci vorranno almeno 930 miliardi di dollari. Non c’è posto per il Bambino e sua Madre in questo pazzo mondo; sul quale eccheggia il richiamo di Papa Wojtyla: “I Grandi ascoltino il grido dei poveri che rivendicano ciò che è loro sacrosanto diritto” (8.7.2001). “In ogni uomo e donna vanno riconosciuti un fratello e una sorella con cui essere solidali” (26.8.2001). “Siamo invitati ad accogliere gli uomini di qualsiasi razza e religione” (omelia durante il Pontificale di Natale dello scorso anno).
Il fenomeno dell’immigrazione ci chiede di vivere il Vangelo della carità e di offrire la carità del Vangelo.
Si legge nel Levitico (Antico Testamento): “I forestieri dimoranti tra voi li tratterete come colui che è nato tra voi. Tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto“. Ricordiamo gli emigranti italiani a New York, dove arrivavano ai primi anni del secolo scorso con le valigie di cartone e il “passaporto rosso”. “Sono nettamente contrario alla politica delle porte aperte. E’ arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata d’iimmigrati. A meno di qualche seria iniziativa, l’ondata avvelenerà le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre città più grandi un numero enorme di stranieri tra i quali prolificano il crimine e le malattie“.
Non sono parole scritte oggi, ma nel 1905 ne è autore Frank Sargent, commissario Usa all’immigrazione. Gli stranieri, in quel caso. erano gli italiani. Nostre radici che hanno prodotto due sindaci di fama mondiale: Fiorello La Guardia (cui è dedicato uno degli aeroporti della metropoli) e Rodolfo Giuliani, assurto tra gli eroi durante i tragici giorni della distruzione delle due torri.
I nostri padri che emigrarono in Australia, in Belgio, in Germania, non erano braccia, ma uomini e donne.
A due operai che lavoravano alla costruzione della cattedrale di New York venne chiesto: “Cosa fate?“. “Il muratore” rispose l’irlandese. “E tu?“. L’italiano, consapevole d’essere un discendente di Michelangelo e Brunelleschi, affermò con orgoglio: “Costruisco una cattedrale!“.
Oggi l’Italia, dove la popolazione diminuisce, ha bisogno di braccia per crescere. Ha bisogno di immigrati, ma li vuole selezionati, quasi con un comportamento schizofrenico: gli industriali hanno bisogno di stranieri, e li invita; ma poi, come cittadini, gli stessi che li hanno chiamati sono pronti a scendere in piazza contro gli immigrati. Certamente il fenomeno dell’immigrazione va governato; per trasformarlo in risorsa necessita della buona volontà di tutti e va convogliato verso una convivenza che arricchisca tutti.
L’immigrazione è come l’acqua: se la lasci andare può trasformarsi in un’alluvione; ma se riesci ad incanalarla diventa una risorsa che produce ricchezza.
I Re Magi erano in cerca d’un re, e trovarono un bambino. Forse è qui la causa di tensioni e fallimenti: cerchiamo dei re. Non siamo capaci di cogliere l’immensa ricchezza che si nasconde in ogni atto umano compiuto con rettitudine, con amore. La stella c’è, non tramonta mai, perché l’ha accesa Dio stesso. Ma bisogna spingere lo sguardo fino a lei, ed avere il coraggio e la generosità di seguirla.
“Non temete troverete un bambino”
Uno strano timore invase il cuore dei pastori all’apparire degli angeli. Il povero teme sempre il peggio, vive nella paura e nella precarietà; non ha conti in banca, spesso non conosce la lingua e stenta ad esprimersi, ha bisogno di parole rassicuranti, di fatti concreti. Essere poveri, oggi, è considerato quasi un reato. Nel marzo scorso un tizio ha dato fuoco ad un marocchino che corteggiava sua figlia. A Saliera di Modena, hanno trovato un giovane ucciso; subito dopo la scoperta, decine di fax sono arrivate alla redazione della “Gazzetta di Modena” per protestare contro l’ennesimo delitto compiuto da extracomunitari. Nel pomeriggio venne scoperto l’assassino, un italiano. Altri fax alla redazione: “Per favore, annullate il mio fax precedente“.
Dopo l’atroce delitto di Novi Ligure, Marco Zacchera, di Allenza Nazionale, ha presentato un’interrogazione al Ministero degli Esteri dicendosi certo che la colpa del delitto fosse da attribuirsi ad una anda di slavi “geneticamente e storicamente avvezzi a tali efferatezze“. Un’intelligenza che certo non può competere con quella geniale di Einstein che, fermato alla frontiera, alla domanda: “A che razza appartiene?“, rispose: “Alla razza umana“.
Civiltà è accettazione, è tolleranza, è comprensione delle diversità, senza distinzione tra Re Magi e pastori.
Quest’anno, nel costruire il nostro presepe ideale, vogliamo dare particolare rilievo ai pastori, poveri e ignoranti, ma gente semplice, che attende una parola di liberazione. Attraverso gli Angeli echeggiano sulle nostre teste le parole del Papa pronunciate all’apertura del Sinodo dei Vescovi l’ottobre scorso: “Contro gli idoli moderni servono sentinelle di speranza. Cristo fu annunciato ai pastori, i poveri di allora. I vescovi debbono stare dalla parte dei poveri e debbono levare la loro voce a favore degli ultimi”.
E un’eco si leva, è la voce di Primo Mazzolari: “Cercavo Dio e non l’ho trovato. Ho abbracciato il povero e ho trovato Dio. Lo stare con i poveri è la malattia che mi ha attaccato Cristo“.
Nel Vangelo Gesù ha chiamato per nome il povero: “Lazzaro”; mentre non dà un nome al ricco epulone.
Vi annuncio una grande gioia
Ed ecco che i pastori si mettono in cammino, seguono la voce degli Apostoli e incontrano Gesù. Il loro cuore si allarga e si illumina di speranza. Il vero segno distintivo del cristianesimo non è il segno della croce, né la recita del credo, ma la carità. Scriveva il grande teologo Henri de Lubac: “Quando si è fatta la scelta dei poveri si è due volte sicuri d’aver fatto una buona scelta: abbiamo scelto Gesù, e abbiamo scelto come Gesù”. E p. Turoldo: “Tutti i volti insieme formano il volto di Cristo”.
Additare la speranza e la carità è il compito fondamentale della Chiesa.
Vivendo insieme accade come ai sassi spigolosi caduti in un torrente di montagna: spinti dalla corrente si urtano l’un con l’altro, a volte rudemente. Ma così gli angoli si smussano e diventano lisci ciottoli. Tante razze, un solo popolo: il popolo di Dio.
A Dachau, appesa ad un filo spinato, è stata trovata una poesia: “Morirò domani/ con parole d’amore sulle labbra/. Nell’alba d’una notte d’esilio./ Solo. Di fronte al cielo indifferente./ Nessuno avrà saputo la mia fatica/ per diventare uomo“.
Buon Natale a tutti voi, amici.