Sono una cristiana transessuale. Quella conversazione con Dio che ha cambiato tutto
Testimonianza di Tiffany tratta dal blog sisterfriends-together.org (Stati Uniti), 30 Marzo 2009 , liberamente tradotta da Daniela Domenici
Sono una cristiana transessuale. In questa frase la parole “transessuale” è un aggettivo. Un aggettivo è una parola che descrive. Dice al lettore un attributo che io posseggo. Ho l’attributo di essere una donna transgender.
Mi piace spiegare cosa vuol dire: le persone sono generalmente percepite come corpo, mete e spirito. La mia mente e il mio spirito sono femminili e sto lavorando per far combaciare il corpo.
Non mi sono sempre resa conto che questo fosse un attributo. Sono cresciuta in una comunità con la mentalità molto tradizionale, sia la mia famiglia che la chiesa che frequentavo. Sono diventata per la prima volta consapevole che questo era parte di me durante la fine dell’estate prima che iniziassi la quarta classe.
La mia mamma mi aveva lasciato a casa di una babysitter per un giorno. Ero semplicemente uno dei vari bambini là quel giorno. Mi sentivo molto sola quel giorno. Non volevo giocare con gli altri bambini e nessuna delle bambine voleva farmi giocare con loro perché non volevano giocare con un bambino.
Stavo guardando la tv mentre le bambine giocavano a travestirsi. Poi hanno lasciato la stanza per giocare da qualche altra parte e hanno lasciato alcuni dei vestiti che avevano usato per travestirsi. Ricordo che un vestito rosso colpì il mio sguardo e decisi di provarmelo. Era semplicemente giusto. Mi sentivo bella ma poi la babysitter entrò. Mi rimproverò e mi disse che quello che stavo facendo era cattivo.
Questo mi riporta all’analisi grammaticale. La babysitter mi aveva detto che quello che stavo FACENDO era cattivo. Lei mi disse che il mia aggettivo era un verbo.
Un verbo è una parola di movimento. In una frase il verbo agisce. Il cane SALTO’. Il gatto ACCHIAPPO’ il topo. Il bambino transgender ingenuo e confuse ASCOLTO’ la babysitter urlare.
C’è una differenza importante nel capire l’essere GLBTQ come un aggettivo o un verbo. Come aggettivo ora capisco l’essere trans come parte di chi io sono. Comunque quando pensavo che fosse un verbo significava qualcosa di molto differente.
Era qualcosa fuori da me; qualcosa che mi era stato detto che era sbagliata e peccaminosa e poiché pensavo che era qualcosa di separato da me pensavo che fosse qualcosa che potevo evitare. Dopo tutto, dovevo perché amavo Gesù e certamente non volevo essere una parte di qualunque azione peccaminosa.
Poiché essere GLBTQ è un aggettivo non importa quanto duramente ci provassi non potevo “evitarlo” e quello mi faceva semplicemente sentire male. Questo è stato il ciclo della mia vita per anni.
Ho tentato di non essere trans e ho fallito perché era impossibile in modo inerente. Come risultato mi sono sentita “awful”, terribile, spaventosa. Poiché questo è continuato abbastanza a lungo ho iniziato a sentire il peso degli aggettivi che avevo cominciato a usare quando parlavo di me: “debole”, “non abbastanza buona” e “senza valore”, solo per citarne alcuni.
Quando arrivai al terzo anno di college non sentivo più il loro peso; ero stata frantumata da loro. Non sembravo una persona in perpetua crisi. Avevo amici. Ero uno studente modello. Avevo perfino un lavoro part time alla chiesa locale. In realtà comunque io ero emozionalmente povera. Trascorrevo grandi porzioni del mio tempo libero chiudendomi a chiave nel bagno e piangendo. Ho dormito sul pavimento di quel bagno molte notti.
La prossima parte della storia sembra melodrammatica ed esito a raccontarla perchè ho paura che nessuno mi crederebbe. Comunque è accaduta ed è parte della mia storia.
Una notte ero raggomitolata sul pavimento del mio bagno mentre piangevo e iniziavo a considerare i vari modi per suicidarmi.
Poi ho sentito lo Spirito divino che mi dava attenzione. Non ho sentito una voce che parlava distintamente ma è stata la cosa più vicina che abbia mai sperimentato. Dio mi diceva semplicemente: “Perché stai piangendo?”
Ho lasciato che tutto si rovesciasse fuori di me; tutta la colpa, tutta la vergogna e tutte le sensazioni che io fossi stravagante, anomala. Dissi a Lui che non potevo smettere di essere una ragazza. Dissi a Lui che avevo tentato e tentato di smettere senza risultati.
Dissi a Lui che sapevo che essere trans era così non giusto, non corretto che io ero separata da Dio non importa come. Dio disse semplicemente: “Chi ti ha detto questo?”
A queste cinque parole il mio mondo cambia. Improvvisamente mi resi conto che non riuscivo a pensare a un singolo verso delle scritture che fosse indirizzato al transgenderismo. Non mi sentivo più condannata.
Sarebbe facile dire che il giorno seguente io fossi “out and proud”, fuori dal problema e orgogliosa, ma non sarebbe vero. Ciò che in realtà usciva fuori era che mi sentivo libera di esplorare come mi sentivo. Ho trascorso alcuni mesi pensando e pregando su come mi sentivo.
Ho sperimentato la mia presentazione di genere apparendo come un uomo o una donna o un androgino. Ho parlato con gli amici su come mi sentivo.
Un giorno un amico mi ha chiesto: “così ti vesti come una ragazza, agisci come una ragazza e vuoi essere trattata come una ragazza? Vorresti mai essere di nuovo un ragazzo?” e istintivamente ho detto: “no, naturalmente no”.
Quel giorno, mesi dopo la conversazione con Dio sul pavimento del bagno, fu quando io mi sono realmente resa conto di essere una donna. “Female”, femminile è un aggettivo che mi descrive accuratamente.
Ora sono andata Avanti menzionando aggettivi e verbi ma non ho meznionato alcun nome. Poiché il nome è la parola che è una persona, un luogo o una cosa. Nella prima frase il nome che ho usato era “cristiana”.
Dopo che ho iniziato a “come out”, uscir fuori, ho perso il mio lavoro in chiesa, la mia compagna di stanza e migliore amica ha deciso improvvisamente di andarsene e non poteva neanche andare in chiesa senza avere lunghe conversazioni su con quale nome volessi essere chiamata (e avevo queste conversazioni ripetutamente con le stesse persone). Non ho intenzione di pretendere che non mi ferissero ma trovo davvero la pace nel mio nome.
Tutti gli aggettivi sono parte di me ma il nome “è” me. E quel nome, cristiana, mi ricorda che Dio mi ama; che Gesù si è incarnato per connettersi con me; che lo Spirito Santo di Dio abita dentro di me.
Il nome dice che io sono una figlia adottiva del Re dei Re, una principessa che sta diventando sempre più simile a Gesù Cristo ogni giorno.
E quando mi ricordo quanto il mio Padre Celeste mi ama e mi ha dato tutto questo generosamente questo mi fa gestire le persone come la mia vecchia babysitter: un po’ più facilmente.
Testo originale: A Conversation with God Turned it All Around