L’ esperienza di “spezzare” la Parola in una chiesa romana con i cristiani LGBT e i loro genitori
Intervista di Carmine Taddeo del Progetto Gionata
La Fede è una parte intima e personale della persona umana; è qualcosa che si cela nel cuore di chi si avvicina a Dio e con Lui decide di camminare. Che tu sia etero o gay, bianco o nero, biondo o bruno, c’è sempre un modo in cui Dio entra nelle nostre vite. L’esempio di cui vogliamo parlare oggi è il gruppo che ormai da più di un anno si riunisce a Roma, accolti nella chiesa di Sant’Ignazio dei Gesuiti, per spezzare parola e fare famiglia.
Si chiama “Parola… e parole” e già dal nome si comprende come al centro ci sia la Parola di Dio e la presa di coscienza di quanto sia pregnante per le nostre vite.
Ha risposto alle nostre domande su questo gruppo Dea Santonico, una dei primi partecipanti a questa iniziativa che ci permetterà di fare luce sulla bellezza e su una possibilità così importante per tutti noi cristiani.
Come nasce questa iniziativa?
L’idea è di Andrea Rubera, di Cammini di Speranza. Propone a me e Stefano, della Comunità di Base di San Paolo, e a Carlo e Letizia, di CVX, di iniziare insieme un percorso indirizzato a genitori, parenti e amici di persone LGBT e genitori LGBT cristiani. Un’iniziativa a tre gambe: Cammini di Speranza, Comunità di Base di San Paolo e CVX, che parte a Roma nel febbraio del 2018, e che si è poi aperta per accogliere anche alcuni ragazzi LGBT, che ci hanno chiesto di unirsi a noi. Nel gruppetto originale di organizzatori / organizzatrici anche Alessandra Bialetti e Maria Grazia Onorato, di Cammini di Speranza, e Mariella Colosimo, della Comunità di Base di San Paolo.
Come si svolgono gli incontri?
Gli incontri sono mensili. Alessandra Bialetti e Mariella Colosimo li conducono, a turno qualcuno/a di noi introduce un brano della Bibbia scelto per quell’incontro, poi lo scambio tra tutti/e, conclude la riunione la restituzione fatta da Mariella Colosimo, che come in un tessuto lega insieme i fili delle emozioni e dei pensieri espressi da tutti noi. Le parole del testo della Bibbia da cui partiamo si vanno via via intrecciando con le nostre.
Cerchiamo di capire cosa quel testo volesse dire per coloro che vivevano quel periodo storico, in modo da poterlo “tradurre” per noi, che viviamo un periodo storico diverso e lontano da quello. Scopriamo così che quei testi antichi c’entrano con noi e con le nostre vite. Le scomodano, forse, ma le possono fecondare ed arricchire. Scopriamo la bellezza di una ricerca autentica, libera da formule e risposte preconfezionate. Siamo noi a confrontarci con quei testi, con i nostri pezzi di vita condivisi, le nostre esperienze, così come le viviamo, senza troppi infiocchettamenti, con le contraddizioni, i dubbi, le gioie, le paure, con cui quotidianamente facciamo i conti.
In che modo hanno avuto un effetto/riscontro positivo?
Da più punti di vista. Lo scambio tra generazioni, reso possibile dalla condivisione di questa esperienza con alcuni ragazzi LGBT di Cammini di Speranza, è stato un elemento di grande arricchimento. Va detto poi che, essendo un intreccio tra tre percorsi diversi, quello di Cammini di Speranza, quello di CVX e quello della Comunità di Base di S. Paolo, questa esperienza è un incontro tra cammini religiosi diversi tra loro e differenti modi di intendere e vivere la fede. Non è per niente ovvio che un esperimento di questo tipo riesca: di solito succede che si è portati ognuno/a a difendere il proprio orticello! Cosa ci aiuta?
Forse questo: lasciare da parte le ideologie per mettere al centro le persone con le loro esperienze e le loro storie; la condivisione di un obiettivo – quello di approfondire le tematiche collegate alla conciliazione tra fede, omosessualità e identità di genere – che non nasce da un interesse di tipo intellettuale, ma dalla convinzione che anche attraverso questo approfondimento passi la creazione di un terreno più favorevole per i nostri figli nella chiesa e nella società; e infine una buona dose di curiosità reciproca, che è sempre un buon ingrediente per porci in un atteggiamento positivo verso gli altri/e.
Da genitore ritieni indispensabile che si parli di questi temi e quanto ha favorito il dialogo con figli/persone LGBT?
Penso che per un genitore sia un aiuto enorme avere la possibilità di condividere la propria esperienza con altri genitori e con persone LGBT, cercando insieme risposte alle tante domande, ma anche imparando a riformulare alcune delle domande, ad accettare il fatto che non per tutte le domande c’è una risposta pronta, imparando a convivere con domande aperte.
Insieme è bello, molto più bello. È attraverso il sostegno reciproco, che solo in un cammino condiviso si può sperimentare, che piano piano si trova il coraggio di uscire allo scoperto. Ci accorgiamo così quasi per caso che ci viene più spontaneo dire di avere un figlio gay, a una persona amica, a qualcuno che vive nel nostro condominio, o anche ad una persona mai vista prima, che incontriamo in un negozio. E questi piccoli momenti di vita quotidiana diventano un veicolo potente per passare un messaggio, che proprio nella sua semplicità ha la forza di “smontare” l’impalcatura costruita intorno all’omosessualità.
Mio figlio è gay: te lo dico con semplicità, forse con una battuta, parlando di figli, come spesso fanno le mamme, forse con il sorriso sulle labbra, o magari con gli occhi velati di lacrime, non importa come, ma te lo dico, e mentre lo faccio ti guardo e sento che in qualche modo ti ho contagiato, che forse da quel momento la parola gay ti risuonerà dentro in un altro modo. È così, con tanti piccoli momenti così, che riusciremo a sdoganare l’omosessualità. Forse è più facile di come pensavamo…
Come Cristiani, come questo ha modificato o confermato la tua fede? Come ha modificato e/o favorito l’incontro con persone LGBT?
La fede è un cammino, un viaggio che somiglia molto più a quello di Abramo, verso una terra sconosciuta, che a quello di Ulisse, verso casa, un luogo conosciuto e rassicurante. Non è cosa da agguantare e rinchiudere in un cassetto al sicuro, insieme a tutte le rispostine del catechismo, che ci risparmiano la fatica di confrontarci con i nostri dubbi, di cercare le nostre risposte. O ti scomoda la fede, o non è.
Ti richiede di rimetterti in gioco, e nella mia esperienza poche cose mi hanno rimesso in gioco come il coming out di mio figlio. Nella mia fede di oggi il suo coming out c’entra, c’entra l’esperienza, che ha seguito quel momento, vissuta con tutta la mia famiglia, con altri genitori di ragazzi/e LGBT, in Agedo prima e in Parole.., e parole poi.
E la fede va anche liberata da ciò che la opprime e non la fa crescere. Gesù ci ha proposto una fede basata su un messaggio di amore e di gioia, sulla sua buona novella. La paura, le minacce di punizioni eterne, sono l’opposto, non fanno crescere la fede. Non quella che ci chiede Gesù, che può solo nascere da una libera risposta di amore.
Credo che sarà importante con il gruppo di Parola… e parole affrontare un tema scomodo e difficile, quello del peccato. Per capire, attraverso un confronto con il Vangelo, quello che il peccato è e quello che NON è. Per distinguere tra peccati veri, quelli che portano all’oppressione dell’altro/a, e peccati funzionali a creare un’adesione delle persone, basata sulle paure. Il peccato è una cosa seria, ed è quindi importante che questa parola venga spesa per situazioni in cui c’è una ferita profonda in quel rapporto di amore di cui parla Gesù.
Spenderla per creare paure e sottomissione delle persone, fare una casistica dettagliata di peccati che non sembrano avere alcun riscontro nel Vangelo, crea sofferenza in alcuni, allontanamento in altri. In tutti i casi toglie forza al messaggio di Gesù, allo sforzo di guardarci dentro per riconoscere quando schiacciamo gli altri/e, a decifrare i messaggi di morte a cui la nostra società ci ha abituato, ad abbattere il muro dell’indifferenza, dietro cui volentieri ci rifugiamo per non vedere e non farci custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle.
Consiglieresti questo percorso?
Certo, lo consiglio sempre, è un percorso davvero importante. Il problema è come arrivare alle persone, in particolare a quelle che hanno paura, che si nascondono e che quindi più di altre hanno bisogno di questa condivisione. A coloro che pensano che fede ed omosessualità non possano stare insieme.
Io da quarantacinque anni faccio parte della Comunità di Base di S. Paolo. Di tante cose sono debitrice verso la mia comunità e Giovanni Franzoni, il suo fondatore, ma se dovessi sceglierne una per cui esprimere la mia gratitudine più grande, sarebbe questa: avermi fatto arrivare all’appuntamento con il coming out di mio figlio, senza che, nemmeno per un momento, mi sfiorasse l’idea che un rapporto di amore tra lui ed un suo compagno potesse essere peccato.
Di poche cose nella mia vita sono certa come di questa: dove c’è amore, c’è rispetto, luce, gioia e bellezza. E perché mai ci dovrebbe essere differenza nella mente Dio, di quel Dio che ci ha fatto conoscere Gesù, se quell’amore è tra una coppia eterosessuale o omosessuale?
Il mio cammino e quello di mio marito dopo il coming out di nostro figlio non è stato facile. Quanto sarebbe stato più difficile se avessimo pensato a inferni e punizioni eterne? È a chi pensa questo che vorrei arrivasse il nostro gruppo di Parola… e parole. Per liberarci insieme dalle nostre paure, per sanare le nostre ferite e per liberare Dio dalle atrocità che gli abbiamo attribuito.