Sfogliando il libro di Migliorini su “Gender, filosofie, teologie. La complessità contro ogni ideologia”
A cura di Antonio De Caro del gruppo Spiritualità Arcobaleno di Parma
Mi sono proposto di scrivere una sintesi sul libro di Damiano Migliorini, Gender, filosofie, teologie. La complessità, contro ogni ideologia (Milano-Udine, Mimesis 2017, 238 pagine) poiché il tema rappresenta uno snodo centrale per comprendere il percorso odierno dei movimenti LGBT e il loro dialogo con la società e con la Chiesa Cattolica Romana.
Diverse voci conservatrici ed integraliste hanno scatenato una campagna di ostilità gridata contro il pensiero sul gender: una sorta di “caccia alle streghe” che, a causa dei toni roventi e della mancanza di seri fondamenti culturali e scientifici, ha ostacolato seriamente sia il percorso dei diritti e dei doveri LGBT nella società, sia una corretta educazione all’identità e all’affettività che negli ambienti educativi sembra essere l’unica forma di valida prevenzione contro gli stereotipi e quindi la violenza che ne deriva.
Ecco perché è importante seguire Migliorini nella sua ardua impresa di riprendere un dialogo dai toni pacati, che rinsaldi la fiducia e il rispetto fra le persone e chiarisca con la forza della conoscenza i concetti e i valori realmente in gioco.
Parlare di gender significa attraversare i territori delle scienze umane, per fondare su di esse una visione antropologica, poi una visione etica ed infine una rinnovata proposta teologica. Questo spessore conoscitivo emerge vigorosamente dalle pagine del saggio di Migliorini, che adopera la complessità per illustrare la complessità.
Per questo motivo ho ritenuto opportuno guidare i lettori attraverso una mappa che, senza volersi sostituire al testo dell’autore, ne metta a fuoco la struttura argomentativa e i concetti principali.
Si tratta di una mappa che, speriamo, possa invitare tante persone ad avventurarsi in una trattazione certo non semplice, ma capace di mettersi al servizio della società e della Chiesa, rieducando ad un dialogo maturo e sereno.
E, soprattutto, riaffermando con forza che un discorso serio e scientifico sull’identità affettiva e sessuale delle persone ha come unico scopo la loro crescita serena e la loro convivenza pacifica con tutti.
Parlare di gender significa parlare di libertà: bene che, mai come oggi, è di vitale importanza per tutti.
Sfogliando il libro “Gender, filosofie, teologie” di Migliorini
Prefazione di Gianni Geraci (pp. 9-10): La battaglia contro l’ideologia del gender è la risposta ad un allarme ingiustificato, che rischia di alimentare un clima di odio e di intolleranza e di soffocare una serena riflessione sui temi dell’identità di genere.
Introduzione (pp. 13-19): Per affrontare la complessità del problema occorre rasserenare il clima ed evitare il “baratro dell’autoritarismo e dell’illiberalità… Comprendere riduce la paura e la serenità predispone all’ascolto” (p. 13).
La tematica gender rappresenta un’occasione preziosa per ripensare i modelli antropologici e teologici: proprio il pensare consente di superare le contrapposizioni ideologiche.
Il percorso argomentativo partirà, dunque, dalle scienze umane e muoverà verso la teologia, nella speranza che fra questi due mondo si inneschi un’ermeneutica circolare: la convinzione di fondo, infatti, è che ci siano un essenzialismo (cioè l’idea che le identità siano date dall’ordine della natura e quindi immutabili) e un costruttivismo (cioè l’idea che le identità non siano strutture rigide, ma vengano costruite e definite dalle diverse culture umane) non dogmatici, ma moderati, capaci di dialogare e di influenzarsi dinamicamente. Il saggio quindi intende conciliare istanze laiche ed istanze cattoliche (che in Italia influenzano ancora molto la mentalità sociale). I problemi saranno sviluppati a partire dagli slogan “anti-gender”, per sgombrare la mente da convenzioni e stereotipi.
Soprattutto, non bisogna dimenticare che la ricerca della verità è a servizio delle persone, per difendere i veri oppressi: “non può esservi verità che non sia liberazione” (p. 18).
CAPITOLO 1- LA CAMPAGNA ANTI-GENDER: STORIA DI UN FRAINTENDIMENTO? (pp. 21-29)
L’ideologia del gender e la conseguente campagna anti-gender sono state delle invenzioni polemiche diffuse tramite una strategia di “distorsione” del discorso avversario, che viene etichettato e incluso in una categoria considerata colpevole e nociva. Nella stessa direzione punta l’abuso di slogan e simboli con finalità reazionarie, cioè delegittimare la tutela delle minoranze sessuali. Il clima fanatico ed anti-intellettuale sfrutta la “mentalità complottista” per creare suggestione ed autosuggestione; i pregiudizi vengono poi confermati da una lettura falsata della realtà.
La campagna anti-gender ha irrigidito il clima, diviso comunità e bloccato programmi educativi, impedendo una sana riflessione sull’accoglienza delle differenze. La Chiesa “ha reagito in modo scomposto, o connivente, non accorgendosi della necessità di porre un freno ai bassi istinti di parte della società” (p. 27), scatenando una sorta di caccia alle streghe. La campagna anti-gender fa parte di un più ampio fenomeno, il ritorno di ideologie reazionarie e violente: infatti l’Occidente non sa gestire la libertà che ha prodotto e di conseguenza rifiuta la complessità, adottando schemi semplificati ed impoveriti per interpretare il reale.
L’ostilità contro la libertà delle donne e degli omosessuali è sintomo di un’incapacità a contenere la libertà altrui, che viene interpretata come “degenerazione” della società. “A livello ecclesiale, il movimento no-gender… potrebbe diventare pericoloso se si saldasse a una virata autoritaria in politica e nella società” (p. 29).
Il rimedio è tornare ad un sano atteggiamento di ricerca e dialogo, per esaminare i concetti e riflettere fidandosi gli uni degli altri. Per dialogare, dobbiamo calarci nelle coordinate culturali dell’altro e comprendere ciò che per l’altro ha valore e quello che, invece, lo inquieta.
CAP. 2 – CHE COS’È IL “GENDER”? (pp. 31-45)
2.1 Una prima definizione: Secondo G. Rubin occorre distinguere fra le caratteristiche biologiche (“sesso”) e le caratteristiche sociali e culturali (“genere”) attribuite dalle comunità umane alla sessualità biologica. Sesso e genere sono complementari: il passaggio dall’uno all’altro è mediato da strati psicologici e sociali.
“Genere indica il carattere maschile o femminile dell’individuo, inteso come l’insieme di caratteri anatomico-funzionali, psichici, comportamentali che definiscono il genere in sé in quanto posseduto, accettato e vissuto dall’individuo” nelle relazioni con gli altri (p. 31).
Quindi: una volta che si è nati maschi o femmine, come si diventa maschi o femmine nelle diverse società e nelle diverse epoche? I ruoli di genere vengono scelti o imposti? Il genere può essere uno strumento di dominio e discriminazione? Queste sono le domande dei gender studies.
2.2 Un concetto euristico e cluster: Il “genere” è quindi un concetto analitico (serve a distinguere e quindi a capire), euristico (serve a scoprire qualcosa di nuovo) e indica una serie di caratteristiche (cluster) per classificare le persone in uno o più insiemi. La classificazione solleva il problema della complessità del reale, le cui sfumature non sempre si lasciano ricondurre a modelli rigidi. Quindi maschio-femmina e uomo-donna indicano due polarità fra cui è possibile cogliere molteplici sfumature.
Il concetto di cluster porta ad un realismo debole (Haslanger) che però consente al nostro pensiero un’apertura veritativa sulla realtà. Su una base oggettiva (data e non culturalmente costruita) si innesta il discorso sociale (culturalmente costruito). Occorre coniugare universali e flessibilità, cioè un realismo moderato sul sesso e un costruttivismo sul genere (p. 38), che potrebbe aiutare a comprendere la costruzione culturale del genere. “La sfida sta nell’elaborare un’antropologia sostenuta da un’ontologia capace di rendere conto dell’infinita variabilità dell’umano nella generalità di alcune caratteristiche universali” (p. 39). Siamo in presenza di universali storici, conseguenza di una lunga ed inconsapevole costruzione socio-culturale: anche il linguaggio è chiamato ad esprimere questa coesistenza dinamica fra aspetti universali e aspetti particolari, per non sopprimere la libertà delle persone.
2.3 Un concetto complesso ma indispensabile: La distinzione fra sesso e genere è euristica nel senso che ci permette di comprendere meglio alcuni aspetti della realtà che ci sono proposti dall’esperienza. “Genere” è un complemento del concetto di “sesso” e non lo sostituisce; lo rende complesso, riducendo il peso del determinismo biologico (pp. 44-45). La distinzione serve a destrutturare una narrazione della realtà umana orientata solo in un modo univoco e patriarcale.
CAP. 3 – PSICOLOGIA, ANTROPOLOGIA E SOCIOLOGIA: IDENTITÀ DI GENERE E LIVELLI DI ANALISI (pp. 47-71)
3.1 Livelli e terminologia: La distinzione concettuale e lessicale è necessaria per trattare con delicatezza il vissuto concreto delle persone. I dati delle scienze umane devono poi orientare la riflessione filosofica, etica e teologica.
In particolare, occorre distinguere fra sesso biologico, identità di genere che la persona si riconosce, ruoli di genere imposti dalla società, orientamento sessuale che la persona scopre di avere in sé.
3.2 Intersessuali e transgender: nella complessità dell’umano: Per intersessualità si intende una condizione organica per cui l’individuo presenta caratteristiche comuni ai due sessi. Se prima, in questi casi, veniva riassegnato il sesso in base al corredo cromosomico, adesso si preferisce un intervento più adatto al benessere complessivo della persona.
Per identità di genere nucleare si intende l’identificazione sessuata di sé. Nella persona cis-gender l’identità di genere coincide con il sesso corporeo. Nella persona trans-gender ’identità di genere non coincide con il sesso corporeo. La disforia di genere ha cause sia biologiche che psicologiche: i fattori si intrecciano in tempi e modi insondabili e irripetibili, a cui è impossibile avere accesso. Ogni essere umano inventa le proprie “coreografie” (che sono gli stili di comportamento) interagendo con l’ambiente. Più l’individuo cresce, più l’ambiente tende ad imporre dei modelli binari. È a questo punto che l’individuo può avvertire una dissonanza fra la propria coreografia e quella che l’ambiente si aspetta da lui/lei in base alla struttura corporea: “la coreografia formatasi nella prima infanzia si scontra con il proprio corpo e con le aspettative sociali” (p. 53).
L’espressione “disforia di genere”, più che “disturbo dell’identità di genere”, ha lo scopo di rimuovere tale condizione dal campo patologico; se alla persona vengono assicurate condizioni ambientali di accoglienza e sicurezza, essa rafforza la sua autostima, lavora e stringe relazioni costruttive. Gli interventi medici e psicologici tendono oggi a rispettare l’equilibrio della persona e la sua libertà, piuttosto che ricondurla forzatamente a schemi rigidi e precostituiti.
3.3 Capacità cognitive e differenze corporee: Maschile e femminile possono essere considerati come i due estremi di uno spettro che presenta poi tante sfumature intermedie. Non ci sono elementi per affermare differenze delle capacità cognitive tra maschi e femmine. Le differenze corporee (soprattutto nei caratteri sessuali secondari) sono soggette a plasticità fenotipica. Plasticità indica una identità dinamica ed evolutiva, che non va confusa con la fluidità, poiché la persona cerca naturalmente una identità, che rimanda a un’esperienza di sé come unità, continuità e coesione (p. 53).
3.4 Il genere in sociologia: La sociologia studia come il genere, a partire dall’arena riproduttiva, determini ruoli e regimi che a loro volta possono dare luogo a distribuzione delle risorse e quindi ad eventuali disuguaglianze. I modelli vengono trasmessi ed alimentati in famiglia, a scuola, fra i pari e per mezzo della cultura mediatica.
La sociologia cerca di capire in che modo le differenze possano dar luogo a disuguaglianze e in che modo l’emancipazione delle minoranze possa modificare il discorso egemonico, cioè innovare le rappresentazioni tradizionali. In tale processo, è centrale la questione se i ruoli di genere dipendano da strutture a priori (essenzialismo) o da convenzioni culturali (costruttivismo).
Fino a che punto, per liberare l’individuo, la società può rinunciare ai suoi modelli condivisi senza distruggere anche il senso di appartenenza alla comunità?
Nessuna società umana può sussistere senza valori condivisi e normativi. In passato, le differenze (ritenute come responsabili di disgregazione) venivano soppresse o scoraggiate. Oggi il mutamento sociale rende centrale la gestione delle differenze. La società ideale è quella che permette la coesistenza pacifica del maggior numero di differenze, e per questo deve rifiutare l’intolleranza.
3.5 Invenzione dell’eterosessualità? Sì, ma…: In maniera indipendente, ebraismo, stoicismo e cristianesimo hanno imposto l’eterosessualità come condizione normativa, orientata alla riproduzione, condannando invece il piacere fine a se stesso. Esiste il desiderio eterosessuale, che può condurre alla riproduzione; ma non è l’unico desiderio possibile.
3.6 Genere e approcci antropologici: Le diverse culture umane hanno costruito vari sistemi simbolici a partire dalla dualità originaria maschile-femminile. Le nuove prospettive aperte dalle rivendicazioni LGBT (unioni gay, omogenitorialità…) non hanno né l’intenzione né la capacità di stravolgere le consuete modalità biologiche della filiazione né il loro significato simbolico. Si tratta solo di aggiungere altri modelli, non di annullare quelli esistenti.
“La riflessione scientifica sull’identità sessuale non giunge affatto a sostenere che tale identità venga scelta giorno per giorno o che cambi a capriccio, dimostrandosi transitoria o confusionaria” (Ferrari, citato a p. 71). Sostenere che solo il dato biologico (il sesso corporeo) basti a definire l’identità e quindi l’etica, negando la complessità della costruzione della personalità, significa porsi al di fuori della realtà scientifica ed umana.
CAP. 4 – GENERE, FEMMINISMI E MOVIMENTI LGBT* (pp. 73-86)
4.1 Donne contro il patriarcato: Gli studi di genere sono nati nell’ambito del femminismo, come modo per contrastare il sistema patriarcale, per individuare e smontare gli stereotipi nocivi. Allentare il rapporto fra biologico e culturale ha consentito di cercare condizioni di maggiore eguaglianza. Nell’ambito del femminismo, ci sono posizioni più essenzialiste (volte a rivendicare il primato del femminile) e posizioni più costruttiviste.
4.2 Contro l’eteronormatività e l’omofobia: I movimenti femministi e quelli LGBT si sono trovati naturalmente dalla stessa parte contro il modello androcentrico ed eteronormativo, che viene messo in discussione dalle rivendicazioni di entrambi. Le donne emancipate e le persone LGBT mettono in crisi il biologismo essenzialista, che in realtà è un dispositivo sociale di controllo.
L’omofobia, nella costruzione dell’identità maschile, diventa un principio per definire ed organizzare il predominio. “Pregiudizi misogini e pregiudizi omofobici hanno la stessa radice: la repressione sessuale della donna e degli omosessuali è egualmente funzionale a preservare un’identità, quella maschile, e un ordine sociale, quello eteronormativo e patriarcale” (p. 79). Gli studi di genere hanno lo scopo di creare una mentalità più flessibile, capace di rispettare la libertà degli individui, e di contenere le reazioni antisociali.
Alcuni omosessuali preferiscono accettare le richieste di “ordine” del modello patriarcale e borghese; altri (i movimenti queer) continuano invece ad affermare che essere gay significa lottare per una libertà più radicale dai ruoli sociali tradizionali.
4.3 Femminismo, famiglia e marxismo: Alcune correnti del femminismo dipendono dal marxismo, e cioè individuano nel capitalismo la causa della discriminazione e nella famiglia la struttura da abbattere.
4.4 Istanze giuste, filosofie dubbie?: “Alcune istanze sociali e di liberazione sono autonome dal sistema di pensiero in cui vengono formulate, sono ampiamente condivisibili da un buon numero di tali sistemi, e la loro forza sta proprio nella loro ragionevolezza…
Esse sono proposte alla società senza una precisa concezione metafisica da difendere, ma come esigenze di libertà e giustizia; e senza l’intenzione di cancellarne altre: considerare lecito un amore non significa cancellarne una forma diversa; criticare l’eterosessismo non equivale a negare l’eterosessualità; allargare la concezione della famiglia non è l’abolizione della famiglia naturale. Non c’è una natura umana da rifondare e sconvolgere, c’è una natura umana da scoprire nella sua complessità, ricchezza, imprevedibilità” (pp. 85-86). Per cui “sarebbe auspicabile costruire una società in cui possano convivere modelli diversi, senza che l’uno neghi l’esistenza dell’altro” (p. 84).
CAP. 5- IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE (pp. 87-92)
Si tratta di una corrente, rappresentata in Francia da Luce Irigaray e in Italia dal gruppo veneto Diotima, secondo cui tra il maschile e il femminile vi sarebbero delle profonde e costitutive differenze; le donne avrebbero quindi un approccio al mondo irriducibile a quello maschile, e portatore di una specifica, insostituibile visione del mondo.
Il femminile, a partire dalla morfologia corporea, elabora così una simbolica che va emancipata dalle sovrastrutture patriarcali per consentire alle donne una più libera realizzazione di se stesse, in base al valore originario della loro energia.
Questo pensiero ha quindi una base essenzialista: ma contiene una potenziale contraddizione, poiché sostiene che il femminile è un modo di stare-al-mondo diverso da quello maschile, ma nello stesso tempo afferma che ogni donna ha il diritto di costruire la propria identità in modo libero, singolare ed indipendente da ogni modello assoluto. Vi è una distanza irriducibile fra uomo e donna, ma anche fra donna e donna, che affonda le sue radici nell’autopercezione empirica degli individui femminili e rischia quindi di essere incomunicabile.
CAP. 6 – IL “MITO CATTOLICO DI BUTLER” E LE TEORIE QUEER (pp. 93-122)
6.1 Il pensiero di Judith Butler: L’autrice è considerata la maggiore autorità nel campo delle teorie gender. In realtà il suo pensiero sviluppa il decostruzionismo francese. Il soggetto cerca se stesso al di fuori di sé, quindi è un soggetto estatico, che costruisce la sua identità per mezzo del desiderio. Il desiderio è lo sforzo teso a conoscere se stessi e a pensare le condizioni della propria vita: per cui si può considerare come l’attuazione o incorporamento della libertà.
Esso va prima liberato dai condizionamenti socio-culturali (che, seguendo Foucault, dipendono da logiche di potere), e poi riconosciuto in modo reciproco in un contesto democratico. Quindi il desiderio sessuale mira alla ricerca della propria identità e al riconoscimento, non esclusivamente alla procreazione.
Le norme sociali esercitano una violenza sulla libertà, poiché orientano dall’esterno la differenza sessuale, anche solo attraverso il linguaggio (pratica citazionale). Il genere è dialogico, attribuito, assunto, imposto, necessario a una relazione di potere che ha effetti materiali. La libertà del comportamento sessuale avrebbe l’effetto di liberare le esistenze dai condizionamenti, soprattutto quelli che intendono costringere le donne nel ruolo imposto dal discorso maschilista del potere.
Per sfuggire a questa manipolazione, occorre che il genere, da essenza, diventi scoperta e costruzione libera della persona. L’omosessualità quindi rappresenta la scelta sovversiva per eccellenza. Elaborando successivamente il suo pensiero, Butler arriva ad affermare che non solo il genere, ma anche il sesso (cioè il dato corporeo) sia dovuto ad una costruzione/costrizione sociale.
6.2 Alcune considerazioni per un dialogo possibile: L’aspetto positivo di questo pensiero è la sua funzione critica nei confronti dei dispositivi automatici ed etero-normativi che influenzano l’identità di genere; in altre parole, la sua forza nello smascherare le genealogie delle convenzioni sociali per allentare la presa coercitiva sulle persone.
Si può accettare questa prospettiva come metodo ed atteggiamento critico, ma non come punto di arrivo della ricerca, che invece dovrebbe rispettare alcune invarianti almeno statistiche (realismo moderato o fallibilista). Altrimenti, si ricade nella contraddizione di considerare normativo un discorso essenzialmente rivolto a contestare le norme.
“Il desiderio è desiderio di vivere una vita vivibile, cioè di essere riconosciuti pienamente umani” (p. 104): per questo esso ha la capacità di depurare le concezioni ingenue sulle finalità della persona e delle sue azioni. Forse difendere la differenza e difendere le differenze non sono alternative del tutto incompatibili, dato che ogni persona declina in modo unico ed irripetibile il proprio essere maschio o femmina.
Affermare le infinite sfumature dell’identità e della sessualità non ha lo scopo di eliminarne il senso, ma di rifondarlo in un orizzonte più complesso, in cui il soggetto di configura nell’interazione costante fra le sue caratteristiche sostanziali e le sue relazioni (ontologia relazionale).
Una società, per rimanere tale, deve accordarsi su alcune pratiche fondamentali e distintive; il pensiero di Butler, tuttavia, evidenzia alcuni valori che si possono condividere anche senza accettarne radicalmente la prospettiva (tolleranza e difesa delle minoranze, emancipazione della donna, libertà del singolo).
La dottrina cattolica attualmente non riesce ad accettare il valore del desiderio come processo che si scopre e ci scopre progressivamente, poiché l’anima cresce attraverso le relazioni.
Negare questo distorce la nostra unicità, identità e felicità. “La forma-anima impressa da Dio non è un software che ci determina nel naturale desiderare (procreativo), bensì subisce l’avventura della storicità esistenziale e della relazionalità ontologica. L’apprendere nella relazione costituisce la peculiarità dell’essere umano … e lo rende peculiare anche nelle espressioni sessuali, che spesso escono dalla necessità biologica, pur non contraddicendo la natura umana generale che le integra e sovrasta” (p. 107).
6.3 Le teorie queer: Si tratta di posizioni volte a contrastare ogni normatività -sia etero sia omo- rivalutando l’assoluta libertà dell’espressione sessuale come modalità eccentrica per scardinare i costrutti storico-sociali. Al concetto di identità, che può essere valutata e classificata come “normale” o no, il pensiero queer sostituisce il concetto di identificazione, processo dinamico, libero e sfuggente. Le diverse correnti del pensiero queer (freudomarxismo, costruttivismo radicale, teorie antisociali) sostengono che la sovversione per mezzo della sessualità sia necessaria come atto rivoluzionario contro l’egemonia delle norme sociali.
La sessualità, senza futuro e senza controllo, preferisce l’attimo presente al progetto di vita: solo in tal modo (soprattutto nelle forme dell’omosessualità passiva) la sessualità priva di uno scopo può mantenersi fuorilegge e quindi portatrice di libertà. Il sesso, però, può anche creare sentimenti, legami e vita: in questa ambiguità risuona il dualismo freudiano di Thanatos ed Eros.
Ma può esistere per gli omosessuali una terza via tra l’assimilazione borghese e la dissoluzione nella promiscuità? Sì, a patto che gli omosessuali siano consapevoli dell’effetto trasgressivo del loro comportamento senza rinunciare al dialogo con il resto della società (è la figura dello zombie, colui che ha attraversato la morte e ciononostante continua a vivere).
Queste posizioni sono difficilmente conciliabili con la visione cristiana, anche se lo zombie è figura di una dis-locazione che può appartenere anche a Cristo e ai cristiani. La figura dello zombie omosessuale può essere interpretata come colui che, in una dimensione di peccato, cerca sempre di accedere alla redenzione e quindi di incontrare Dio.
Ancora una volta, queste correnti hanno (almeno) il pregio di svolgere una funzione critica nei confronti dei discorsi normativi, che parlano e plasmano il soggetto, per difendere invece la libertà delle minoranze e rivelare un nuovo modo di essere (hanno quindi una funzione apocalittica). Le teorie queer hanno anche il merito di rilanciare il tema della sessualità come isolamento o come relazione, da cui dipendono la felicità e il senso dell’esistenza.
6.4 Considerazioni per un dialogo costruttivo: Nella psicanalisi contemporanea, l’individuo è un prodotto sociale, delle strutture simboliche di potere. Ma allora la via per la libertà è solo quella di una sessualità dissipativa e negativa?
No, poiché l’uomo tende per sua natura ad uno scopo, a dare forma alla vita per mezzo di un progetto che richiede una disciplina.
L’umano cerca un’identità dinamica ma non incoerente. L’obiettivo, allora, diventa quello di una estetica del sé (p. 116), in cui le norme siano funzionali al benessere dell’individuo. Per esempio, cercare una sessualità che almeno non comprometta la vita relazionale, sessuale e lavorativa dell’individuo.
In ogni caso, il genere non viene scelto, ma scoperto proprio a partire dall’ascolto del proprio corpo e non prescindendo da esso, dato che l’uomo è un’unità psicofisica non dualistica. “Il desiderio sessuale è l’espressione del corpo, che entra nella dinamica relazionale” (p. 118): anche se non è procreativo, il desiderio non è astratto né disincarnato. Non si può parlare, pertanto, di individualismo sfrenato, perché l’assenza di funzione riproduttiva non esclude le relazioni (come accade in chi sceglie la via celibataria).
Un sano relativismo, sul piano del metodo, dovrebbe aiutarci a mettere in discussione le credenze tradizionali per rifondare la verità anche sulla base dell’esperienza. Ideologia ed integralismo sono solo forme di difesa dalla complessità del reale.
Le idee di J. Butler e le teorie queer possono essere studiate e valutate in maniera selettiva, esattamente come avviene per il testo biblico e la Tradizione.
CAP. 7 – UGUAGLIANZA E DIFFERENZA: ATTENZIONE AI PIANI! (pp. 123-136)
7,1 Uguaglianza contro differenza?: Il pensiero femminista vorrebbe salvare nello stesso tempo l’uguaglianza e la differenza. Salvaguardare la differenza implica anche salvaguardare le differenze. In realtà, però, il contrario di uguaglianza è ineguaglianza, e quello di differenza è identità. In base a quali criteri le persone sono considerate uguali?
Tentare di definire in modo fisso l’identità maschile e quella femminile significa non potere più comprendere gli uomini e le donne concrete, con le loro sfumature uniche ed imprevedibili. Ogni persona possiede caratteristiche uniche che la differenziano dagli altri: le persone sono ontologicamente uguali (cioè hanno pari dignità come esseri umani), ma onticamente (concretamente) differenti.
Oggi è stato del tutto eroso il dogma del legame diretto tra sesso biologico e ruoli di genere. Il genere non è qualcosa di astratto, ma si fonda sul corpo.
7.2 Piani diversi: tra ontologia, etica, epistemologia…: L’identità della persona è formata da proprietà intrinseche e da proprietà estrinseche che si sviluppano per mezzo delle relazioni con gli altri.
Anche nel rapporto fra due uomini o fra due donne si sperimenta la differenza dell’Altro.
“In un regime di democrazia, dove ogni essere umano ha diritto all’autodeterminazione…”uguaglianza” è potere fare le stesse cose in modo diverso, cioè personale” (p. 131). Uguaglianza non vuol dire identità; viene semmai negata una differenza valoriale, cioè che i differenti esseri umani abbiano un differente valore.
“Esisteranno uomini e donne liberi, che sceglieranno i ruoli e i comportamenti che sentono propri, o che vivranno il loro orientamento sessuale senza oppressioni” (p. 132), a patto di non nuocere a se stessi o ad altri.
7.3 Nuovi orizzonti delle filosofie femministe: Il pregio delle filosofie femministe sta nella loro funzione critica e nella capacità di guardare alla vita quotidiana delle donne. Il femminismo ha contribuito ad una maggiore libertà sociale, e quindi è ancora una grande risorsa contro il fanatismo reazionario.
Oggi le filosofie femministe sono impegnate a rivedere il concetto di legge morale naturale; a ribadire il principio della non-violenza; a capire come educare i maschi. “Essere uomini ed esserlo in modo diverso non solo è possibile, ma dovrebbe costituire una strategia educativa condivisa in una società che abbia di mira la convivenza armonica e che voglia incidere davvero sulle piaghe sociali di femminicidi e stupri”(p. 135).
CAP. 8 – FORMA MULIEBRE: ESSENZIALISMO ALLA PROVA E APORIE IRRISOLTE (pp. 137-153)
8.1 Perché una “forma femminile”?: Chi sostiene il pensiero della differenza sessuale, cioè gli essenzialisti (come E. Stein e K. Wojtiła), ha bisogno di fondare l’idea di nuzialità su una metafisica dei sessi, per cui l’anima maschile (forma virile) sarebbe diversa e complementare rispetto a quella femminile (forma muliebre). Il corpo sarebbe quindi solo simbolo visibile di una differenza interiore.
L’idea, però, di un’anima (forma) diversa per ciascuno dei due sessi provoca delle aporie, dovute alla prospettiva ilemorfica, già in Aristotele, che riteneva la “forma muliebre” incompleta ed inferiore rispetto a quella virile. Tommaso corregge Aristotele, affermando che la donna è inferiore all’uomo sul piano della creazione, ma eguale a lui sul piano della salvezza.
In realtà, uomini e donne non sembrano diversi né essenzialmente né solo accidentalmente; i membri della specie umana dovrebbero condividere lo stesso principio spirituale identificativo. “Se, dunque, donne e uomini hanno la stessa forma umana, non si potrà affermare che hanno due forme distinte che unendosi alla materia la plasmano in due corpi diversi” (p. 140).
8.2 Differenza perfetta e modalità dell’essenza: Maschile e femminile sarebbero accidenti inseparabili dall’individuo, due modi o modalità diversi di esistenza di un’unica essenza, quella umana (Finley), mutualmente relazionali o cogenerativi. Tale differenza mira alla riproduzione e, per gli esseri umani, va imparata e coltivata anche culturalmente (Schindler). Dalla differenza sessuale deriva la chiamata all’amore.
8.3 Cui prodest?: L’enfasi con cui alcuni studiosi cercano di fondare una metafisica della differenza sessuale tradisce la paura nei confronti di un presunto pericolo: che le teorie sul genere possano scardinare il dimorfismo sessuale. In realtà le teorie sul genere hanno lo scopo di tutelare la pari dignità del femminile e delle minoranze sessuali, senza per questo negare sul piano oggettivo l’ordine e il valore della sessualità procreativa.
Uomini e donne cercano la relazione attraverso il desiderio (e in questo si coglie l’impronta del Creatore); ogni persona è un essere unico ed irripetibile, che tende a relazionarsi con altre persone differenti, a prescindere dal loro sesso. Non va escluso che le minoranze sessuali siano, nel complesso, funzionali all’evoluzione e alla sussistenza della specie.
CAP. 9 – FEMMINISMI CRISTIANI E FEMMINISMO “VATICANO” (pp. 155-182)
9.1 Teologie femministe: La difesa della dignità della donna dovrebbe essere connaturata al cristianesimo stesso, anche se nel corso della storia la Chiesa ha spesso oppresso le donne distorcendo il messaggio del Vangelo. Alcune posizioni femministe dovrebbero essere riscoperte ed integrate dalla dottrina cattolica. Il pensiero delle donne è ancora percepito come un pericolo, quando invece tende a demolire la prospettiva androcentrica e a garantire condizioni di maggiore libertà per tutti. Dalla consapevolezza dovrebbe nascere quindi la conversione.
La Chiesa dovrebbe accettare l’idea che il testo sacro e il messaggio di Dio vadano interpretati. L’ermeneutica biblica può mettere in luce come la Scrittura sia pervasa da una mentalità androcentrica ed etero-normativa. Ma dando il giusto peso ai contesti storico-culturali, ascoltando i silenzi e le omissioni, valutando gli apporti dei personaggi maschili e femminili nelle narrazioni bibliche, si può cogliere nella Scrittura la storia di una progressiva liberazione delle donne e di una progressiva inclusione; inoltre spesso anche Dio è presentato attraverso attributi femminili.
Una lettura al femminile permette di cogliere in Maria un modello di forza e non di sottomissione (grazie a caratteristiche come “dialogo responsabile con Dio, capacità di andare controcorrente, religiosità liberatrice, fortezza d’animo, maternità non possessiva”, p. 164), esemplare per tutta la Chiesa e non solo per le fedeli donne. Proporre Maria come esempio di sottomissione, invece, vuol dire usarne la figura strumentalmente per avallare l’assoggettamento delle donne.
9.2 L’ordinazione sacerdotale delle donne
La visione tradizionale esclude le donne dal sacerdozio poiché esse non potrebbero agire in persona Christi; ma il divieto cadrebbe se si pensasse che un/una sacerdote agisce in persona Ecclesiae e in spirito di servizio. Sarebbe assurdo se tutti i sacramenti fossero accessibili ad entrambi i sessi tranne uno, che escluderebbe la metà del genere umano. In realtà “la persona rappresenta l’evento dell’amore in quanto persona santificata, amata e perdonata da Cristo” (p. 171).
Anche la Tradizione va dunque interpretata: “lasciarsi guidare dalla libertà dolce dello Spirito nel discernere le novità della storia non è forse più cristiano?” (p. 171). Si può quindi seriamente dubitare del “metodo decisionale scelto, fatto di documenti calati dall’alto da congregazioni prive di connessione con il popolo di Dio…l’ostacolo posto, mediante documenti, all’azione dello Spirito non può essere la base di documenti infallibili “ (p. 172). Una buona antropologia dovrebbe essere la base di una buona teologia, non viceversa.
9.3 Femminismo “vaticano”: storia di un addomesticamento?
Quando la Chiesa sottolinea gli specifici carismi (docile sottomissione, maternità, sacrificio) delle donne -cosa che non fa con gli uomini- in realtà sta imponendo uno stesso modello a tutte le donne (che potrebbero avere anche caratteristiche diverse) pur di tenerle lontane dal potere decisionale.
Il Vaticano tende ad addomesticare il pensiero delle donne tramite la strategia del “padrone gentile” (p. 178). Chi cerca di stabilire dei limiti all’autocomprensione della donna è mosso da un’istanza autoritaria: per riconoscere il carisma delle donne, bisogna dialogare con loro. È lo stesso atteggiamento tenuto verso le minoranze sessuali: ecco perché le teologhe femministe difendono la causa degli omosessuali, oppressi dagli stessi dispositivi teologici.
Le donne e gli omosessuali credono invece nella libertà di vivere la chiamata all’amore nei modi adatti alla natura individuale; in un Dio che è Padre e Madre; in una “Tradizione viva, in cui Cristo continua a rivelare il Dio-Amore spingendoci ad approfondire i tratti di apparente continuità, e a denunciarli qualora vi sia una continuità nell’errore” (p. 182).
CAP. 10 – CORPO E SOCIETÀ , TRA NATURA E CULTURA: MODELLI ANTROPOLOGICI E MORALE (pp. 183-209).
10.1 Livelli e filosofie
Per concludere la riflessione sul genere, occorre delineare un modello antropologico-metafisico compatibile con la visione cristiana grazie ad un moderato essenzialismo e ad un moderato costruttivismo. Non bisogna cercare “ideologie” dove c’è un fermento necessario del pensiero che, sulla base delle conoscenze scientifiche, cerca di dare risposta a serie esigenze sociali, cioè consentire il maggiore benessere possibile delle persone.
La persona ha un sesso cromosomico; poi, con la crescita e l’esperienza, raggiunge un’identità di genere nucleare, quindi scopre il suo orientamento sessuale. È quello che comunemente si intende come natura, che però dipende molto presto dalle interazioni con l’ambiente. Culturale vuol dire infatti relazionale, cioè frutto di relazioni via via più complesse con l’ambiente, guidate dal desiderio. “Il biologico è un elemento costitutivo, ma relazionalmente orientato…l’orientamento sessuale rientra nella natura pur essendo culturalmente determinato” (p. 188).
I processi relazionali fondono insieme natura e cultura, formando la natura individuale. Esiste, quindi, una base oggettiva e corporea (come sostengono le filosofie della differenza sessuale) su cui si innesta uno sviluppo sociale e culturale (come sostengono le filosofie del genere). Non siamo sistemi totalmente aperti né totalmente determinati: il corpo è un dato (dalla natura) che viene interpretato (dalla cultura).
La natura va intesa come un insieme di potenzialità che poi l’esperienza e le relazioni plasmano e definiscono: va considerata sana una configurazione in cui l’individuo è in grado di sopravvivere ed amare, come cittadino della città dell’Essere. Ecco il motivo per cui le persone LGBT si presentano come varianti possibili e potenzialmente sane, con caratteristiche né buone né cattive, e si distinguono dai prodigi (persone sopra la media) e dai mostri (persone con caratteristiche nocive per sé e per gli altri).
Secondo le filosofie del gender il “naturale” è in realtà la costruzione normativa di una maggioranza: per promuovere la liberazione di tutti, occorre sospendere l’etero-normatività.
10.2 Principi e modelli: In tal modo, il principio essenzialista moderato può conciliarsi con il principio costruttivista moderato, all’insegna di un realismo moderato (o fallibilismo epistemico). L’anima è sessuata solo in quanto appartiene ad un corpo e quindi lo orienta con il desiderio. Il corpo è corpo desiderante: nella memoria e nell’inconscio è conservato il passato relazionale che orienta il desiderio verso gli oggetti d’amore e quindi il futuro.
10.3 Di passaggio fra i modelli: Non abbiamo accesso all’essenza dell’anima, ma dobbiamo risalire dagli atti alle potenze. Occorre tratteggiare un modello che tenga conto sia della variabilità che la natura ci presenta (e che viene studiata dalle scienze umane) sia dell’antropologia cristiana.
10.4 Sulla strada di un compromesso in antropologia e in etica: L’anima, forma sussistente, diviene sessuata una volta che si fonde con il corpo: quindi la sessualità è accidentalmente necessaria, cioè “innata” e “naturale”: da qui occorre partire per ridefinire il concetto di legge morale naturale. Questa posizione richiede una sintesi fra idea essenzialista ed idea costruttivista simile a quella fra creazionismo ed evoluzionismo: l’identità dell’individuo è attuazione della sua plasticità.
In sede morale, è importante stabilire a quali fini tendono le energie potenziali dell’anima (pulsioni, istinti), se cioè esse tendono verso “beni universali, riconoscibili come tali per la specie umana” (p. 206), fra cui si colloca anche il fine unitivo della sessualità. Se l’anima umana mira alla conquista della coscienza, dell’intellezione e dell’amore, va considerata come un bene una relazione umana d’amore duraturo, scelto, fedele (p. 207).
Se la persona (etero, omo, trans…) riesce a gestire relazioni, vita lavorativa, affetti, con un’identità in cui si rispecchia in modo stabile, vivendo l’intelligenza, la creatività, l’amore, allora “il processo di evoluzione e concrescita dell’anima nel corpo è avvenuto in modo positivo” (p. 207).
In tal modo, si comprende che non vi è relativismo, ma una individuazione sempre più profonda ed autentica delle istanze etiche dell’essere umano, chiamato a darsi un nome e un senso, a conquistare coerenza e riconoscimento. Anche la psicologia neoscolastica (Maritain) sostiene che la morale debba dare agli uomini gli strumenti per imparare ad amare. In tal modo, viene riconquistata alla morale anche l’identità di chi presenta un orientamento sessuale non conforme alla maggioranza.
CAP. 11: A(F)FONDO DELLA CAMPAGNA ANTI-GENDER (pp. 211-229).
11.1 Gli slogan: ideologia, colonialismo, dittatura?: Un’ideologia è “la riduzione della realtà a schemi semplici, che ne trascurano la complessità, o la vogliono forzare in quegli schemi, sacrificando le libertà del singolo in nome degli schemi stessi” (p. 212). Se l’ideologia viene imposta tramite un’autorità politica o poliziesca, diventa totalitarismo. Se condanna la libertà e prevede un ritorno al passato, all’applicazione rigida e coerente di un determinato codice di valori, si tratta di integralismo.
Le correnti di pensiero gender non possono essere classificate come tali, poiché lasciano intatta la libertà: in un contesto democratico, esse intendono solo ampliare la prospettiva e svolgere una funzione correttiva e critica dei modelli dominanti. Gli esponenti anti-gender non si basano sulla scienza, evocano oscuri complotti e tendono a diffondere paura. La Chiesa stessa non riesce ad accettare i risultati delle scienze umane, per cui la sua antropologia rimane desueta.
Il pensiero anti-gender è ostile alla visibilità delle relazioni omosessuali, alle unioni civili, ai programmi di educazione affettiva nelle scuole volti a prevenire abusi, bullismo e violenze. Ma la scuola deve educare in modo laico alla convivenza pacifica. Gli esponenti anti-gender ritengono che la discriminazione, fieramente rivendicata, serva a mantenere lo status quo ante, basato sul pregiudizio e sul predominio. Il clima di sospetto a paura serve ad impedire che emerga una diversa narrazione pubblica delle minoranze sessuali.
Ideologia, colonialismo, integralismo sono, piuttosto, dinamiche praticate per secoli dalla Chiesa Cattolica, che hanno provocato oppressione e sofferenza. La Chiesa deve comprendere di non essere più il centro dell’elaborazione della cultura universale: in un contesto democratico, essa deve imparare a proporre le sue idee presentandole in modo convincente, se aspira al consenso.
Occorre mantenere quelle tradizioni che sono vantaggiose e rispettose dell’umana natura, che non si sottraggono al loro esame critico e tengono sempre aperta ai discendenti l’opzione di apprenderne di nuove (p. 218). L’unica intolleranza concessa è quella contro gli stessi intolleranti.
11.2 Le “accuse”: qualche punto fermo?: Il concetto di genere è scientifico, analitico ed euristico, complementare a quello di sesso. Non si nega che si nasca, nella maggioranza dei casi, maschi e femmine. Non si nega che vi sia una differenza fra maschi e femmine. Non si mira all’indifferenziato.
Le persone non scelgono di essere maschi o femmine in modo capriccioso e instabile. Non vi sono complotti, ma una sensibilità condivisa che spinge la società a riconoscere i diritti delle persone, nella convinzione che ciò tuteli la libertà di tutti. “Si mira al riconoscimento, per le persone con diverse identità sessuali, del diritto all’esistenza, a vivere senza doversi nascondere” (p. 222).
Non vi è alcuna minoranza che coarta una maggioranza imponendo un’ideologia. Non si nega che esista una natura umana: ma non vi è ad essa un unico, ingenuo accesso; riconoscere le minoranze sessuali non vuol dire distruggere l’orientamento eterosessuale prevalente. Non c’è una deriva autoritaria, ma la ricerca di condizioni migliori di libertà e democrazia, per “accettare le persone per quel che sono, sempre” (p. 224).
“Le comunità democratiche si basano sul comune consenso riguardo al rispetto della dignità della persona, dei suoi diritti e della sua libertà: la pratica sessuale è lecita fintantoché è consensuale, fra pari e nonviolenta” (p. 225).
“Spostare un limite significa cambiare la vita alle persone, aprire loro un mondo o rinchiuderle in vecchie o nuove prigioni. È un’operazione che va compiuta con enorme senso di umanità e di responsabilità”, valutando attentamente la situazione di partenza e quella di arrivo (p. 225).
11.3 Tra paure, negazioni simboliche e sfide antropologiche
Alcune negazioni simboliche sono affermazioni di libertà e rendono presenti altri valori e altre forme di fecondità: celibato e verginità non costituiscono, per esempio, negazioni materiali della bellezza e dell’importanza del matrimonio. “Si tratta allora di fare spazio a una realtà buona accanto ad altre, non di negare la bontà e l’esistenza delle seconde” (p. 226).
Una coppia omosessuale ha come risultato quello di allargare l’accoglienza, non di erodere la famiglia tradizionale. Le teorie legate al genere non intendono demolire le relazioni eterosessuali, che sono e continueranno ad essere la maggioranza, ma i modelli di predominio e di oppressione dovuti a stereotipi coercitivi.
I diritti non sono una minaccia né un contagio, come sostengono le campagne anti-gender attraverso paura, ignoranza, superstizione. I linguaggi degli integralisti tendono a negare le differenze e a confondere la negazione simbolica con la negazione materiale. Nel profondo, agisce il “disgusto” nei confronti del diverso. Ma “seguire un ordine proprio non significa negare un ordine generale” (p. 228).
CAP. 12 CONCLUSIONI O SPERANZE (pp. 231-236)
Esaltare il modello matrimoniale tradizionale non è incompatibile con il rispetto delle minoranze sessuali. L’etica non ha necessariamente bisogno di un modello metafisico, ma di riconoscere il volto dell’Altro: il corpo è vivo se riflessivo, spirituale, relazionale, se il desiderio si orienta verso le relazioni di amore. È possibile un dialogo?
La Chiesa sarà credibile se continuerà a porre al centro della sua etica la persona umana e la sua libertà. I mutamenti nella Chiesa, tuttavia, avvengono attraverso processi di maturazione molto lunghi. Occorre ripartire dal Concilio Vaticano II: una Chiesa rinnovata potrebbe perdere molti fedeli, ma ciò sarà “la prova che è tornata ad essere quello che deve essere, segno di profezia, presenza della Buona Novella” (p. 233).
Se non siamo capaci di sopportare la complessità, finiamo con il sacrificare le persone. Chiedendo a ogni fedele di sopportare il peso della libertà, propria e altrui, la Chiesa può contestare il mondo e le sue dinamiche di sopraffazione.
“La Chiesa dovrebbe rinvigorire la capacità di discernimento, la facoltà di cogliere dove c’è una liberazione che va assecondata perché profondamente umana, e quindi profondamente cristiana […] il desiderio di liberazione nasce da una croce e mira ad una risurrezione” (p. 234).
La questione gender è uno stress test per la democrazia, la filosofia e la teologia: le donne cristiane e i credenti LGBT possono quindi cogliere l’azione vivificante dello Spirito e integrarla nella continuità della verità e della Tradizione. La Chiesa dovrebbe essere collegiale e plurale: l’unità si basa sulla presenza e sul messaggio di Cristo. La pluralità è una complessità che va compresa, per “costruire una società che sappia integrare la pluralità per il benessere di ciascuno e di tutti” (p. 235). La libertà è una scelta che va praticata e ribadita anche quando è scomoda.
Le rivendicazioni dei credenti LGBT sono il segno non di un’ideologia, ma di “una multiforme realtà che viene a parola dopo secoli di oppressione, di nascondimento” (p. 235). Le coppie omosessuali chiedono alla Chiesa di vedere riconosciuta la loro esistenza e la loro scelta di amore fedele ed oblativo.
* Damiano Migliorini è docente di filosofia nella scuola superiore, laureato in Scienze Filosofiche e in Scienze Religiose, e dottorando all’Università di Verona. Oltre ad articoli scientifici è autore di “È possibile una teologia del genere?” (in Sguardi sul genere, Mimesis 2018) e “Gender, Filosofie, Teologie” (Mimesis, 2017) e di altre opere divulgative (tra cui Lettere di un giovane ai giovani, 2017).