La sessualità e l’omosessualità nel racconto della Bibbia: la creazione
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio, parte prima
Scrivo alcune riflessioni personali, che ho già ampliamente divulgato essendomi confrontato con biblisti molto più illustri di me, perché periodicamente si riaccende un dibattito stanco e superficiale che ha bisogno di elementi di chiarezza.
Tradizionalmente, quando si parla del rapporto fede/omosessualità, si comincia ad evocare una serie di passi della Sacra Scrittura che, esplicitamente o meno, la condannerebbero. Coloro che ricorrono a questi passi commettono però due errori imperdonabili non solo sul piano teologico ma su quello logico. Intanto citano frammentariamente, estrapolando solo le parole utili a confermare la loro tesi, senza curarsi che una semplice citazione più ampia rischierebbe di capovolgere il loro ragionamento.
Inoltre non hanno mai sottoposto i testi a loro cari, a un’analisi esegetica storico-critica. Si limitano a ripetere in modo letterale, mai attualizzato, e spesso portandosi dietro molti pregiudizi ideologici o addirittura numerosi errori di traduzione (commessi senz’altro in buonafede a suo tempo, ma oggi non più tollerabili).
Siccome lo studio continuo delle Scritture è dovere dei cristiani, anche a costo di scoprirne aspetti inediti, mi pare giusto offrire alcune meditazioni più moderne, ormai nemmeno troppo minoritarie.
Esamineremo questi passi, uno per uno, a cominciare da quelli della Genesi:
La sessualità nel racconto della creazione
“Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”. (Gn 1,26-28)
“Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”. Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”. (Gn 2, 22-24)
Il fatto che Dio crei l’uomo “maschio e femmina” non significa affatto che abbia dato contemporaneamente vita a due esseri distinti. Anzi: nel primo capitolo, quello in cui si descrive la creazione di tutto l’universo, si dice solo che l’uomo è l’ultima e la più alta delle creature; quella realizzata a immagine di Dio, che gli permette di considerare compiuto il suo ruolo nella creazione e di riposarsi.
Nel secondo racconto, dedicato alla creazione dell’uomo, sembra di capire che abbia creato prima un solo individuo, che riassume in sè il maschile e il femminile, e poi lo abbia “gemmato” dandogli il dono della sessualità. Dal momento che la Sacra Scrittura va presa tutta insieme, nessuno è autorizzato a spingere troppo l’acceleratore sul primo racconto dimenticando il secondo.
Chi lo fa, è evidentemente sorretto da motivazioni fortemente ideologiche. Io, che ho motivazioni opposte, potrei affermare che l’uomo esiste prima della sua appartenenza a un genere sessuale; che la sessualità è una caratteristica, per così dire, secondaria; che una sessualità “non conforme” non toglie umanità alla creatura umana.
Se non lo faccio è perché so che la preoccupazione dei due diversi autori del Genesi non era di parlare di omosessualità (argomento di cui non conoscevano assolutamente nulla) ma di rispondere a tre domande fondamentali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Punto.
Facciamo un passo avanti. Le due creature primigenie, nella loro mascolinità e femminilità, si uniscono sessualmente. Questo è spesso stato un argomento abbastanza decisivo per condannare qualunque altra forma di unione. A me pare un po’ poco per condannare centinaia di milioni di persone. Mi sembra semplicemente che il poeta del secondo capitolo del Genesi voglia fare un bellissimo e raffinatissimo elogio della sessualità: “carne della mia carne, osso delle mie ossa”… parole commosse che indicano l’unione sessuale come momento di godimento che deriva dal sentirsi in armonia con se stessi, così come si gode quando si è in armonica unione con Dio.
E ora un passo indietro. Si parla di fecondità e moltiplicazione della specie ma non si fa esplicitamente riferimento al sesso. Si menzionano invece le attività tipiche dell’agricoltura e dell’allevamento: “siate fecondi; soggiogate la terra”. Appena qualche versetto prima, si dice:
“Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata – perché […] nessuno lavorava il suolo. […] Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato […], prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2, 4-5 / 8-15).
La questione della procreazione arriva invece solo al termine del terzo capitolo (cioè quando Adamo ed Eva hanno già fatto le loro cose da un bel po’). La domanda che sorge è: che cosa vuol dire quindi “essere fecondi”?
Forse, uno dei significati del brano è che il progetto di Dio, che consiste anche nel dare all’uomo il compito di completare la creazione, prevede molti modi per farlo: dare alla luce nuovi uomini ma anche coltivare la terra e custodirla (il termine ebraico tradotto con “dominare” è “radàh”, che significa “governare”, cioè custodire e sviluppare. La traduzione latina è molto bella perché deriva da domus, cioè casa).
Lo scopo dell’uomo è quindi duplice: da una parte egli ha un fine procreativo; dall’altra un fine creativo. La sessualità risponde a entrambi gli aspetti ma, nella cronologia degli eventi, il secondo viene prima.
Molti esegeti ravvisano nell’omosessualità un’inclinazione che dà origine a una forma di rapporto monco perché in grado di affermare solo il secondo fine del rapporto sessuale. Altri però sostengono che l’esistenza dell’amore omosessuale è in realtà utile all’uomo, proprio perché permette di tenere viva l’attenzione sul fine non procreativo, altrettanto nobile ma meno scontato.