“Non è un rifugio. È una gabbia”. Come preti gay diciamo alla chiesa “basta abusi, basta ferite”
Articolo di Elizabeth Dias* pubblicato sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 17 febbraio 2019, seconda parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il nascondiglio (nella chiesa), essendo aperto, vuol dire che molti preti hanno tenuto all’interno delle loro cerchie le storie più dolorose: il seminarista suicida nella cui stanza sono stati trovati i fiammiferi di un bar gay, gli amici sacerdoti morti di AIDS, il tornare a casa ogni sera in una casa parrocchiale vuota.
Spesso trovano dei modi per incoraggiarsi a vicenda: condividono libri come l’apripista “Un ponte da costruire” di padre James Martin, che tratta della relazione tra i cattolici e la comunità LGBT; alcuni hanno firmato delle petizioni contro le terapie riparative sponsorizzate dalla Chiesa, o si sono incontrati in occasione di ritiri riservati, cercando di ritagliarsi dello spazio tra un impegno e l’altro senza che nessuno se ne accorgesse; a volte un sacerdote può perfino togliersi il collarino e offrirsi per benedire in via ufficiosa un matrimonio omosessuale. Alcuni li considereranno atti di ribellione, ma “non è una camarilla, è un gruppo di sostegno” dice uno di questi sacerdoti.
Poco più di un anno fa padre Gregory Greiten, dopo essersi incontrato con un gruppo di sacerdoti gay, decise che era tempo di rompere il silenzio. Durante la Messa domenicale, in periodo di Avvento, annunciò alla sua parrocchia di periferia di essere gay e celibe. Tutti si alzarono in piedi ad applaudire, e il suo annuncio divenne virale.
Un sacerdote novantenne lo chiamò per dirgli che aveva vissuto tutta la vita nel nascondiglio e desiderava che in futuro le cose fossero diverse. Una donna del Mississippi gli scrisse chiedendogli di trasferirsi al Sud per essere il suo sacerdote.
Per parte della gerarchia della Chiesa tutto questo entusiasmo è stato forse più minaccioso della sessualità di padre Gregory, perché ha commesso il peccato cardinale: aprire la porta al dibattito. Il suo superiore, l’arcivescovo di Milwaukee Jerome E. Listecki, rilasciò una dichiarazione in cui esprimeva il suo disappunto per l’annuncio pubblico di padre Gregory. Molte lettere a lui indirizzate lo definivano “satanico”, “sozzura gay” e “mostro” sodomizzatore di bambini.
“Dobbiamo fare la cosa giusta quando si tratta di sessualità”
L’idea che i sacerdoti gay siano responsabili degli abusi sessuali sui minori è una convinzione dura a morire, specialmente negli ambienti cattolici conservatori. Per anni le alte sfere della Chiesa hanno mostrato una grande confusione sulla relazione tra omosessualità e abusi sessuali, e oggi, ad ogni nuova rivelazione di abusi, i fili ingarbugliati della cultura sessuale cattolica diventano sempre più difficili, quasi impossibili, da dipanare.
Innumerevoli studi dimostrano che l’omosessualità non implica la pedofilia, e questo è vero anche per i preti, secondo un famoso studio del John Jay College of Criminal Justice (Ateneo John Jay di diritto penale) risalente al 2002, anno della grande ondata di rivelazioni sugli abusi dei sacerdoti. La ricerca, commissionata dalla Chiesa statunitense, afferma che l’attrazione per le persone dello stesso sesso non rende i sacerdoti proni a molestare i minori, e che quattro presunte vittime su cinque erano maschi. Non si è trovata una causa certa degli abusi, ma certamente il fatto che i sacerdoti molestatori avessero facile accesso ai ragazzi è stato determinante.
Per decenni i sacerdoti gay sono stati perseguitati dal concetto secondo cui una determinata identità sessuale implica compiere abusi. Un sacerdote in pensione non riusciva a togliersi dalla testa cosa disse il suo arcivescovo negli anni ‘70 a tutti i nuovi preti che stavano per entrare nella loro prima parrocchia: “Disse ‘Non voglio che mi chiamate per lamentarvi del vostro parroco, a meno che non sia omosessuale o alcolista.’ Non sapeva cosa diceva quando diceva ‘omosessuale’, perché lo eravamo tutti. Intendeva un predatore [di bambini], tipo un predatore seriale”.
Questa idea è ancora oggi presente nei seminari cattolici. Al seminario Mundelein in Illinois, il più grande degli Stati Uniti, si sente pochissimo parlare di identità sessuale, come dice uno studente gay che ha timore di uscire allo scoperto. Dalla scorsa estate, quando è uscito lo scandalo McCarrick, ai seminaristi si inculcano regole su regole riguardanti il celibato e si parla molto della malvagità della masturbazione e della pornografia. “I miei compagni di classe dicono ‘Non bisogna ammettere i gay!’. Pensano che siano i sacerdoti gay ad abusare dei giovanissimi” dice il seminarista.
Molti sacerdoti, in tutto il Paese, si chiedono se i loro sacrifici valgano la candela: “Devo abbandonare il sacerdozio perché sono stufo di queste accuse? Devo mostrarmi più distante verso i miei parrocchiani? Devo nascondermi? Oppure diventare vecchio e inacidito?” si chiede padre Michael Shanahan, un prete di Chicago che tre anni fa ha fatto pubblicamente coming out.
Scaricare la colpa degli abusi sessuali sui gay sarà quasi sicuramente uno degli argomenti preferiti di dibattito al summit vaticano di questa settimana. Papa Francesco ha chiamato i vescovi più potenti del mondo a Roma per trovare una soluzione dopo i clamorosi scandali negli Stati Uniti, in Australia, in Cile e altrove. Il summit preoccupa i sacerdoti gay.
Pochi anni dopo lo scandalo del 2002 il Vaticano ha proibito ai gay di diventare sacerdoti. La scorsa estate, durante la nuova ondata di rivelazioni, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ha accusato i “network omosessuali” dei cardinali [e vescovi] americani di proteggere segretamente gli abusatori. Inoltre, questa settimana verrà pubblicato un libro sensazionalistico, intitolato Sodoma in Europa e Nel nascondiglio del Vaticano negli Stati Uniti, che promette di mettere a nudo la vasta sottocultura gay vaticana.
Un gruppo di sacerdoti omosessuali olandesi ha preso di recente l’inusuale iniziativa di scrivere a papa Francesco per chiedergli di ammettere al sacerdozio gli uomini gay che vivono nel celibato. “Invece di mettere i vescovi di fronte alle loro responsabilità, [il summit] rischia di diventare l’ennesima condanna dei cattolici e cattoliche lesbiche, gay e transessuali” dice John Coe, 63 anni, diacono permanente del Kentucky che l’anno scorso ha fatto coming out.
Seduto nella piccola sala del centro d’ascolto della sua parrocchia, padre Gregory Greiten riflette. Gli piacerebbe parlare con papa Francesco in persona: “Ascolti la mia storia di uomo gay traumatizzato dalla Chiesa” dice guardando per aria. Poi la voce si fa sempre più concitata: “Non è solo il fatto degli abusi sessuali. Stanno traumatizzando e ferendo sessualmente l’ennesima generazione. Dobbiamo levarci e dire ‘Basta abusi sessuali, basta traumi, basta ferite’. Dobbiamo fare la cosa giusta quando si tratta di sessualità”.
Ora padre Gregory si sta preparando per il suo quindicesimo viaggio in Honduras assieme a medici e materiale sanitario. Un vetro con cornice è appeso al muro dietro di lui: dentro c’è un garbuglio di lana color porpora mezzo lavorato, con un ferro conficcato in cima. Lo chiama Il dono incompiuto. “Cosa succederebbe se ai sacerdoti si permettesse davvero di vivere la loro vita in modo libero, aperto e sincero? È questo il mio sogno”.
“In realtà la vergogna non è mai ricaduta su di me. La vergogna ricade sulla Chiesa. Sono loro che dovrebbero provare vergogna per quello che hanno fatto a me e a molte, molte altre persone LGBT.” Padre Greg Greiten
“La mia famiglia non lo sa che lotto con questa cosa. Non gliel’ho mai detto. Credo a ciò che dice la Chiesa sul matrimonio e la sessualità, vorrei solo capire cosa significa per me. Forse sembrerà strano. È come se… quello con cui sto lottando… spero di poter aiutare altri cattolici a non perdere la fede.” Sacerdote anonimo
“Avevo passato i 50 anni quando uscii allo scoperto. Sono entrato in seminario a 18 anni: ero un giovane maschio entusiasta, bianco e vergine, che non sapeva nulla di nulla, tanto meno se fosse etero o gay. Per anni e anni ho portato con me questo segreto. La mia preghiera non chiedeva a Dio di cambiarmi; era un auspicio di morire prima che qualcuno mi scoprisse.” Padre Bob Bussen
“Quando facevo la terza media, c’erano tre cose che avrei potuto fare. Avrei potuto fare il camionista, come mio papà; avrei potuto fare il medico, ma non ero abbastanza intelligente; ma ero gay, quindi l’unica cosa che potevo fare era il prete.” Sacerdote anonimo
“Io sono molto più di questo aspetto [l’omosessualità], ma se questo aspetto non lo volete conoscere, allora forse non volete sapere nient’altro di me. È un fatto che invito il popolo di Dio a ponderare.” Padre Steve Wolf
“Avevo forse 40 anni quando uscii allo scoperto di fronte alla mia famiglia e ad alcuni amici laici. Prima d’allora ero uscito allo scoperto con alcuni compagni di classe. Mi resi conto che questa questione non riguardava me, riguardava i diritti umani. Se avessi subìto un outing, non avrei negato, ma c’è ancora troppa omofobia nella Chiesa.” Sacerdote anonimo
“Perché lasciare? È una vita splendida. Mi affascinano la profondità e la sincerità dei miei parrocchiani, la loro immensa generosità. La negatività che c’è nel mondo non corrisponde a quanto vedo giorno dopo giorno, alla bontà che vedo nelle persone. Mi sintonizzo su quello, perché mi sostiene.” Padre Michael Shanahan
“Quando sono arrivato nella mia parrocchia ho pensato: se dovessi fare coming out adesso, questo sarebbe il posto giusto dove farlo. Ma questa, al momento, è l’ultima cosa che mi viene in mente. Ovviamente non ho potuto nasconderlo ai miei amici, ma dato il clima in cui viviamo, non vorrei mai considerarmi un prete gay.” Sacerdote anonimo
* Elizabeth Dias è inviata a Washington per il New York Times per le tematiche politiche e religiose. Precedentemente aveva un incarico simile per il settimanale Time, per il quale ha seguito le elezioni presidenziali del 2012 e del 2016. Ha conseguito un diploma in teologia al Wheaton College e un master nel medesimo campo al Princeton Theological Seminary. Twitter: @elizabethjdias
Testo originale: ‘It Is Not a Closet. It Is a Cage.’ Gay Catholic Priests Speak Out