Le “impossibili contraddizioni” della Chiesa cattolica verso i preti omosessuali
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 20 febbraio 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Il New York Times ha pubblicato un importante articolo sui sacerdoti gay, l’ultimo di una serie sull’argomento, per il quale si assiste a un rinnovato interesse visto il collegamento che molti fanno tra omosessualità e abusi sui minori.
L’articolo, che occupa la prima pagina della versione a stampa, si basa sulle interviste fatte a un gruppo di sacerdoti e seminaristi gay. La giornalista Elizabeth Dias parla della “impossibile contraddizione” di una Chiesa che predica molte cose negative sull’omosessualità, eppure conta tra le sue fila tantissimi sacerdoti gay: “Meno di una decina di sacerdoti, negli Stati Uniti, ha osato venire allo scoperto pubblicamente.
Eppure almeno il 30-40% dei preti cattolici americani è gay, secondo moltissime stime dovute a istituti di ricerca e allo stesso clero. Alcuni sacerdoti stimano la percentuale vicina al 75%. Un sacerdote del Wisconsin una volta ha detto che dà per scontato che tutti i sacerdoti siano gay, a meno che non sia accertato il contrario. Un sacerdote della Florida invece la pensa così: ‘Un terzo è gay, un terzo è etero e un terzo non sa cosa diamine sia’”. […]
“Quasi tutti [gli intervistati] hanno chiesto un alto grado di discrezione, per poter parlare senza timore di sanzioni da parte dei loro vescovi o superiori. Ad alcuni di loro è stato espressamente proibito di fare coming out, e perfino di parlare apertamente di omosessualità.
La maggior parte sono attivi nel ministero, e se si sapesse che sono gay potrebbero perdere più che il lavoro: la Chiesa ha quasi sempre il controllo dell’alloggio dei sacerdoti, della loro assicurazione sanitaria e del loro piano pensionistico; se un vescovo trova qualcosa da ridire sul comportamento di un sacerdote, questo potrebbe finire in mezzo a una strada, anche se è stato fedele alla promessa di celibato.”
Secondo Dias la situazione dei sacerdoti gay è sempre più scottante, visti i rinnovati tentativi di scaricare su di loro la colpa per gli abusi sui minori. Un seminarista gay che studia al seminario Mundelein, presso Chicago, riferisce che i suoi compagni di corso sono d’accordo con il rifiuto del Vaticano di ordinare sacerdoti gay, il che riflette il concetto secondo il quale sono loro ad abusare delle persone vulnerabili: “Solo pochi anni fa, tutto questo era quasi inimmaginabile. Quando Francesco nel 2013 proferì la sua frase rivoluzionaria ‘Ma chi sono io per giudicare?’ sembrava stesse per spalancarsi la porta del nascondiglio, e alcuni sacerdoti, molto cautamente, fecero capolino. Ma se uno spiraglio si è aperto, ora lo scandalo abusi rischia di chiudere la porta a chiave. L’affannosa ricerca di capri espiatori ha spinto molti sacerdoti a nascondersi ancora di più.
‘La grande maggioranza dei sacerdoti gay non è al sicuro. Stare nel nascondiglio è peggio che divenire un capro espiatorio. Non è un armadio: è una gabbia’ dice padre Bob Bussen, prete a Park City, nello Utah, che circa 12 anni fa ha subìto un outing, poco dopo aver celebrato una Messa per la comunità LGBTQ.”
Di molti dei sacerdoti apertamente gay intervistati, come padre Greg Greiten, padre Michael Shanahan e padre Steve Wolf, si è già parlato in precedenza sul [nostro blog] Bondings 2.0. Padre Greiten commenta così la situazione attuale dei sacerdoti gay e della Chiesa in generale: “Seduto nella piccola sala del centro d’ascolto della sua parrocchia, padre Gregory Greiten riflette.
Gli piacerebbe parlare con papa Francesco in persona: ‘Ascolti la mia storia di uomo gay traumatizzato dalla Chiesa’ dice guardando per aria. Poi la voce si fa sempre più concitata: ‘Non è solo il fatto degli abusi sessuali. Stanno traumatizzando e ferendo sessualmente l’ennesima generazione. Dobbiamo levarci e dire ‘Basta abusi sessuali, basta traumi, basta ferite’. Dobbiamo fare la cosa giusta quando si tratta di sessualità’”. […] “Cosa succederebbe se ai sacerdoti si permettesse davvero di vivere la loro vita in modo libero, aperto e sincero? È questo il mio sogno.”
Padre Michael Shanahan, che ha fatto pubblicamente coming out, ci aiuta meglio a capire perché così tanti gay continuano il servizio sacerdotale nonostante il prezzo molto alto che spesso devono pagare: “Devo abbandonare il sacerdozio perché sono stufo di queste accuse [di abusi sessuali]? Devo mostrarmi più distante verso i miei parrocchiani? Devo nascondermi? Oppure diventare vecchio e inacidito?” […] “Perché lasciare? È una vita splendida. Mi affascinano la profondità e la sincerità dei miei parrocchiani, la loro immensa generosità. La negatività che c’è nel mondo non corrisponde a quanto vedo giorno dopo giorno, alla bontà che vedo nelle persone. Mi sintonizzo su quello, perché mi sostiene.”
Di recente sono stati pubblicati molti altri articoli sul tema. In seguito ai commenti del Papa sui sacerdoti gay dello scorso dicembre, Michael Coren ha offerto un commento pubblicato sul [mensile canadese] Maclean’s, sulle contraddizioni della Chiesa a proposito dei gay nei seminari: “È un enorme e grossolano malinteso sulla sessualità, e un colossale doppiopesismo. La nostra sessualità non è definita dai nostri genitali e da cosa facciamo o non facciamo dal punto di vista fisico. Non si limita affatto a questo: è un qualcosa di molto più complesso e profondo. Molte coppie eterosessuali, in tarda età, hanno una vita sessuale estremamente limitata, se non inesistente, ma questo non fa di loro delle persone omosessuali. Ed ecco il punto: i potenziali seminaristi eterosessuali che ammettono, in modo spontaneo, di avere tentazioni romantiche o sessuali, non vengono mai respinti per quel motivo”.
Il diacono Robert F. Coleman della diocesi di Antigonish [in Canada] afferma che non sarà mai fatta giustizia nello scandalo abusi se, al posto di concentrarsi sui veri problemi, si discrimineranno le persone gay. Come ha scritto sul [quotidiano] Cape Breton Post: “Possiamo scegliere di ottenere la verità sugli abusi e le loro cause, oppure possiamo scegliere la ristrettezza mentale. Dobbiamo accettare i risultati delle ricerche professionali. Non possiamo essere una Chiesa che ignora quelle conclusioni scientifiche che non collimano con i nostri preconcetti […] Incolpare i sacerdoti omosessuali non è corretto, punto. Non fa che aumentare il numero delle ingiustizie e delle vittime, e non fa che rafforzare l’opinione già molto diffusa che la Chiesa sia un baluardo dell’omofobia. In nome di Dio, cerchiamo di non essere così codardi”.
Infine, in un’intervista al [mensile protestante] Sojourners, Tim Lennon, presidente del Survivors’ Network of those Abused by Priests (Rete dei sopravvissuti agli abusi clericali, SNAP) rifiuta con recisione ogni tentativo di scaricare la colpa sui preti gay: “La nostra organizzazione rifiuta in toto la questione [della colpa dei sacerdoti gay]. Non si tratta che di bigottismo del più becero e odioso e lo rifiutiamo senza se e senza ma”.
L’articolo del New York Times innalza il livello della controversia su omosessualità e abusi, come stanno facendo anche un nuovo libro sull’omosessualità in Vaticano e una lettera aperta di alcuni sacerdoti olandesi, che invitano papa Francesco a porre termine all’esclusione dei gay dai seminari.
Il Papa e molti vescovi hanno detto cose contraddittorie sull’argomento, e sarà interessante vedere quale ruolo giocherà l’omosessualità nel summit vaticano sulla protezione dei minori.
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e del blog Bondings 2.0. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: Ahead of Vatican Summit, The New York Times Publishes Major Article on Gay Priests