‘Sono cattolico e omosessuale! Voglio vivere la mia fede e la mia diversità’
Articolo di Elisabeth Marshall tratto dal settimanale cattolico La vie (Francia), 31 maggio 2011, liberamente tradotto da Dino
Per vivere finalmente alla luce del sole, Jean-Michel Dunand ha scelto di scrivere e di raccontare il suo percorso*.
Oggi è animatore della pastorale in un grande liceo cattolico di Montpellier, è passato “dalla vergogna alla luce”…
Lei si è accorto fin da molto giovane di non essere “come gli altri”. Quando e come ha scoperto la sua omosessualità?
Sono stato sensibile al corpo degli uomini molto precocemente, per quanto me ne possa ricordare. Avevo sei anni quando, andando con i miei genitori alla fiera, ho scoperto di essere affascinato dalla bellezza di questi corpi maschili. Non ero in grado di comprendere veramente, e pensavo di essere il solo al mondo a provare quelle emozioni.
Nella mia piccola città natale in Savoia, Albertville, non avevo alcun modello omosessuale nel quale identificarmi.
Durante i pranzi in famiglia, qualche volta si parlava di un cugino, di dieci anni maggiore di me, trasferitosi in un altra città e che, si diceva, aveva “delle abitudini particolari”, ma non sapevo che io e lui forse condividevamo la stessa esperienza.
Non si sceglie, ha scritto, di essere omosessuali, non più di quanto si scelga di essere eterosessuali. Dunque in questo campo non c’è libertà di scelta?
Ci ho messo del tempo a comprendere che non avevo fatto una scelta, che non potevo cambiare. La mia omosessualità si è imposta a me stesso allo stesso modo che la mia taglia o il mio fisico. Non sono mai stato effeminato, magari un po’ raffinato, questo sì, ma quando giocavo era naturale per me mascherarmi da ragazza.
Attratto dalla vita religiosa, mi immaginavo carmelitano, sulle orme di Teresa. Pensavo: “Se tu diventassi una donna, tutto rientrerebbe nella normalità”.
Non affermo che l’omosessualità sia innata ma che essa si inserisce nella singolarità di una storia. Tuttavia, nelle menti e nelle Chiese, rimane ancora l’idea che si possa cambiare, che sia una questione di volontà.. Ma chi può desiderare di esporsi volontariamente alla diversità?
E’ con la scuola, da adolescente, che lo sguardo degli altri ha cominciato a pesarle.
Non dicevo niente, ma gli altri ragazzi lo indovinavano, non mi piaceva lo sport, il calcio, i giochi violenti. Dissimulavo continuamente, con la paura di essere smascherato.
Più tardi ho spesso pensato che se ci si riconosce tra omosessuali, è perchè sappiamo leggere nello sguardo dell’altro questa fatica di dover continuamente nascondere quello che siamo. E poi c’e stato questo cruciale giorno, in quinta, quando, essendo arrivato in ritardo, sono dovuto passare davanti a tutta la fila dei compagni ed affrontare gli insulti, “finocchio”, “checca”… Ho vissuto l’esperienza della vergogna, quella che vi rinchiude vivi in una tomba.
E poi quest’altra chiamata, quella ad una vita religiosa.
Sì, quando avevo 8 o 9 anni sono stato come scelto da Cristo, ho pianto davanti alla Passione di Gesù leggendo la vita di un santo offertami da una catechista. Più tardi, a 14 anni, mentre stavo in solitudine nell’abbazia di Tamié, ho fatto l’esperienza di una presenza d’amore, una pace profonda.
Ho custodito questo incontro nel segreto nel mio intimo più profondo, e nello stesso tempo mi sono costruito un personaggio, quello del perfetto piccolo cristiano, futuro prete che serviva messa, aveva la fiducia del curato e sfoggiava una grande croce di legno ben visibile.
Era più facile essere il piccolo santo in erba che il piccolo omosessuale. Preferivo essere deriso a causa della mia fede che a causa della mia omosessualità. Così mi sono servito della religione per innalzare un muro attorno a me che mi proteggesse dallo sguardo degli altri e soprattutto da me stesso, dalle mie stesse devianze…
Queste sono le pagine più terribili del suo libro. Mi racconti come, a 14 anni, ha accettato le carezze di uno sconosciuto. La sessualità senza l’amore, mi dica…
Quel giorno mi si è spalancata la terra sotto i piedi. Mi sentivo sporco, ma scoprivo anche di esserne attratto. Tra i 18 e i 25 anni ho vissuto una vera lacerazione, una doppia vita, ero il dottor Jekyll e mister Hyde.
Da un lato, nel convento dei carmelitani, nel gruppo di preghiera e di evangelizzazione e in seguito per qualche anno al seminario mi presentavo come modello di fede, vestito di bianco con un grande cappuccio nero, con i sandali ai piedi… Dall’altro incontravo degli uomini di nascosto.
Rifiutavo di intraprendere una qualsiasi stabile relazione. Dicevo a me stesso che così era meno grave, che si trattava solo della mia fragilità e che a forza di preghiere, confessioni e vita sacramentale, ne sarei uscito. Le rare volte in cui mi sono confidato, mi hanno parlato di “sbandata” dicendomi che sarei guarito con la preghiera di liberazione. In questo periodo Cristo è stato il solo a non abbandonarmi.
Cosa avrebbe voluto che le venisse detto in quei momenti?
Guardandomi indietro, a 46 anni, credo che avrei desiderato essere compreso in profondità. Che venissi riportato alla realtà per non fuggire più, ma per scoprire la mia umanità più profonda, la mia affettività, la mia sessualità, invece di fuggire tutto questo rifugiandomi in una pseudo-spiritualità.
Dopo aver molto ascoltato, ho potuto constatare che non è raro che le persone omosessuali diano inizio alle loro relazioni in luoghi torbidi. Forse perchè viene loro impedito di vivere l’amore e la tenerezza alla luce del sole.
Da chi è stato aiutato?
Hanno tentato di guarirmi, anche di esorcizzarmi, sono stato ricoverato per una cura del sonno. Stavo sempre peggio e pensavo al suicidio. Mi sono detto “basta!”. E allora è stata l’amicizia che mi ha aiutato. Quella di Patrick, un amico, che mi ha aperto un’altra strada.
Ho iniziato un lavoro come operatore di servizio ospedaliero che mi ha consentito di riprendere una vita normale e una giusta considerazione di me stesso e di vivere la mia omosessualità in modo più vero.
Ho anche trovato l’amore ed ora vivo una relazione che dura da più di vent’anni. E infine, mi è stata data fiducia. Così sono animatore della pastorale in una scuola cattolica da quasi sedici anni, grazie alla fiducia che mi è stata concessa, con piena cognizione di causa, da un capo di istituto.
Cosa chiede oggi alla Chiesa?
Non rivendico nulla, se non il diritto di vivere senza che mi venga amputata una parte di me stesso. In quanto cattolico, voglio poter vivere la mia fede e il mio cammino di crescita nella sessualità e la tenerezza condivisa con una persona del mio stesso sesso. Non sono un militante che sbandiera lo stendardo della causa gay.
Ma non posso nemmeno condividere alcune certezze secondo le quali “l’omosessualità è contro natura e fuori dal progetto di Dio”. Questo conduce ad una situazione di stallo. Ciò che rivendico, è un cambiamento e un’umiltà di giudizio. Con le persone “omosensibili” – preferisco usare questo termine che non ci riduce al solo fatto sessuale – ci si trova spesso di fronte a percorsi interrotti, a strade accidentate.
Ma anche a sensibilità profonde nel campo dell’arte, della bellezza, della spiritualità. Guardate quanti omosessuali ci sono tra i grendi artisti, i creatori di moda… Sono in ogni caso delle vite particolari che non si possono giudicare senza conoscerle, e nemmeno frugando nella loro intimità.
Di fronte alla donna adultera nel vangelo, cosa fa Gesù? Non le fa domande, ma distoglie da lei lo sguardo, accoccolandosi per scrivere per terra; spiazza anche gli stessi accusatori, poichè tutti se ne vanno quando li rimanda al loro proprio peccato. Non incarceriamo le persone nelle nostre regole e nei nostri sguardi intransigenti.
Nel 200 lei ha creato, in collegamento con monasteri, la Comunione Betania, al servizio di persone omosessuali e transgenders.
Sì, è una comunione contemplativa. Ci incontriamo due volte l’anno per un ritiro in un monastero, a volte nell’abbazia di Tamié. Ma siamo ogni giorno uniti nella preghiera per mezzo di una piccola cerimonia liturgica composta da salmi, dalle Beatitudini e da una preghiera di intercessione, una specie di legame tra noi.
Oltre la cerchia degli adepti, ci sono anche degli amici che ogni giovedì pregano per le nostre intenzioni, genitori di ragazzi omosessuali, contemplativi come nel carmelo di Mazille, anche dei vescovi che si uniscono a noi in questa fraternità spirituale.
Il nostro scopo è di far evolvere la nostra immagine, di mettere in atto anche dei gesti simbolici, come ad esempio in occasione dei gay prides, proponendo una preghiera nelle chiese per sostenere spiritualmente il cammino delle persone omosensibili.
Credo che l’evoluzione dei cristiani nei confronti degli omosessuali si realizzerà tramite la preghiera. La militanza fa paura, non i religiosi! Invitando alla preghiera, facciamo un pacifico richiamo ad accogliere questo sguardo di Cristo che ci fa cambiare.
La Chiesa ha bisogno a questo proposito di una cura di silenzio. Non le chiedo di riconoscere l’omosessualità allo stesso titolo dell’eterosessualità, ma di prendere in considerazione le persone e di favorire le richieste di incontro e di ascolto.
Quale messaggio vorrebbe far passare ai cristiani?
Prima di azzardare una parola, prendetevi il tempo di ascoltare le persone omosessuali. Prima di discutere su delle idee, incontrate delle vite. Personalmente ciò che mi ha salvato è stato il poter parlare ed essere ascoltato.
Nell’ambito del mio lavoro io mantengo la discrezione riguardo alla mia vita personale ma so di aver ricevuto la fiducia del mio vescovo, del mio direttore diocesano, del mio capo di istituto, con loro sono alla luce del sole.
Freud ha detto: “Quando qualcuno parla, si fa giorno!”. Forse è proprio perchè si faccia giorno che ho scritto e pubblicato questo libro*.
* De la honte à la lumière (Dalla vergogna alla luce), Editore de la Renaissance, 2001
Testo originale: Catholique et homosexuel, je veux vivre ma foi et ma différence