La chiesa cattolica e i gay. Le speranze e le paure di un sacerdote gay, pastore di un gregge che ama
Articolo di Andrew Sullivan pubblicato sul sito del quindicinale New York (Stati Uniti) il 21 gennaio 2019, seconda parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Le cappelle degli ospedali, come quelle degli aeroporti, a volte sono posti strani. Raramente le si frequenta a lungo, sono tanto transeunti e vuote quanto antisettiche. Ma di recente, una domenica a mezzogiorno, in un ospedale tentacolare ai margini di una città del Midwest, una intera parrocchia si riversò nei corridoi per la Messa.
Evidentemente si conoscevano tutti bene: tutti gesticolavano e chiacchieravano prima dell’inizio, erano giovani e anziani, bianchi, neri e meticci, famiglie e coppie e una spolverata di persone arrivate da sole. La Messa non fu nulla di speciale, a parte la bella omelia in cui il sacerdote parlò della gioia del periodo natalizio e dei doni, una gioia senza uguali; una lezione che aveva imparato servendo i malati, i traumatizzati, gli affamati e i senzatetto in seguito a un disastro naturale all’estero.
Parlò di un giorno in cui stava tornando da un ospedale da campo alle prime ore del mattino, lungo un sentiero non illuminato, circondato da un’intensa sofferenza che si aggiungeva a una brutale povertà; si sentiva sostenuto dalla fede e dalla tenacia dei più poveri tra i poveri, dei più malati tra i malati. Si fermò e osservò il cielo trapunto di stelle, e non sentì nessuna disperazione, ma anzi speranza.
“Sempre un bel messaggio da questo qui” mi disse l’uomo accanto a me finita la Messa. Annuii: “Ce n’è di gente, per essere un ospedale”. “Sì, certo, sempre. Vengono da tutte le parti. È una rock star, questo qui”. Io non dissi nulla. Padre Mike (il nome è fittizio) mi aveva mandato un messaggio prima della Messa per ripassare le regole di base: “Nell’interesse dell’ospedale, e su mia richiesta, non dovrà intervistare nessuno, né identificarsi come giornalista”. La vera storia della vita e del servizio di quest’uomo deve rimanere anonima, come quella di quasi tutti i sacerdoti con cui ho parlato. Nemmeno i suoi parrocchiani più fedeli sanno che è gay.
È un prete perfetto, vista la sua esperienza di infermiere diplomato e le sue doti di manager. Nei pochi minuti precedenti il nostro incontro nel mio hotel, aveva già parlato con la receptionist e aveva saputo che non celebrava più il Natale dopo una esperienza di pre-morte dovuta a un incidente automobilistico.
Il giorno dopo, mentre parlavamo in ospedale, venne salutato da una donna che gli chiese subito di confessarla; lui immediatamente mi abbandonò e la confessò. Più tardi incontrai un uomo che stava assistendo, un gay molto angosciato proveniente da una famiglia ultracattolica.
La domenica mattina dedicò alcune ore alla moglie e ai figli adolescenti di un uomo che stava morendo.
Padre Mike è il cerotto di tutte queste ferite aperte. Nella sua carriera ha visto più di duecento persone morire. Una notte assistette, in rapida successione, tre persone nell’ora della loro morte.
Diventare prete non fu una decisione facile. Padre Mike viene da una famiglia problematica, da genitori violenti che si convertirono al cattolicesimo quando aveva circa dodici anni. Accettava di andare alla Messa domenicale perché i genitori gli promettevano il brunch nel suo locale preferito, fino a che, a quindici anni, divenne anch’egli formalmente cattolico.
A diciassette anni venne mandato da un sacerdote per un ritiro di counseling privato: “La prima notte che mi trovai lì, fu subito molto aggressivo e cercò di farmi venire a letto con lui. Ero assolutamente terrorizzato”.
Un anno dopo, quando i suoi genitori lo buttarono fuori di casa, andò a vivere con un responsabile della pastorale giovanile: “Rimasi lì due mesi, e fu tutto un pararmi dalle sue avances e battutine sporche”. Raccontò del suo comportamento [alla diocesi] e la cosa finì persino in tribunale. Il responsabile fu spalleggiato dal parroco e venne assolto, nonostante la testimonianza di tre altri ragazzi: “A quell’epoca si credeva sempre ai preti” dice triste Mike.
Nonostante queste esperienze, a metà degli anni ‘90, dopo la laurea, entrò in seminario. Lì si trovò costantemente soggetto a valutazioni psicologiche e gli vennero negati i regolari incarichi estivi. Temendo che la sua testimonianza contro un molestatore stesse bloccandogli la via verso il sacerdozio, abbandonò il seminario per diventare un infermiere di area critica, ma si sentiva ancora chiamato al sacerdozio e riprovò la strada del seminario. Tre anno dopo, venne ordinato.
Gli dissi che la maggior parte della gente lo avrebbe giudicato bizzarro, un masochista perfino. Perché entrare a far parte di una Chiesa che non ti vuole, anzi, che ti ha abusato? Esitò per un attimo, poi disse di scatto: “Be’, tutto sta, il fatto è che… il fatto di Gesù, e che… voglio dire, io credo in Dio”.
La sua voce, improvvisamente, si alzò e si fece intensa: “Ho incontrato alcune persone nel ministero cattolico all’università, che erano davvero autentiche. Si amavano, e amavano Dio, e amavano ‘i più piccoli tra i fratelli’. Non erano perfetti, ma il messaggio complessivo era che Gesù c’è, Gesù è nell’Eucarestia, Gesù è nel volto dei più poveri tra i poveri e dei più emarginati”.
Gli dissero che aveva certamente la vocazione sacerdotale e la sua carriera da infermiere rafforzò questa convinzione: “Mentre servivo i miei pazienti, la maggior parte dei quali poi sono morti, pregavo con loro quando me lo chiedevano, portavo loro la Comunione quando potevo, ed è attraverso di loro che mi sono sentito chiamato al servizio”.
È con questo atteggiamento da infermiere verso il paziente e da pastore verso il gregge che oggi gestisce i suoi conflitti di sacerdote gay: “Ogni volta che entro in quell’ospedale, non importa come mi sento, cosa sto passando, cosa dice il gran giurì della Pennsylvania sugli abusi sessuali, tutto cambia. Quando ti siedi accanto al letto di qualcuno a cui è andato male il trapianto, non puoi che parlare cuore a cuore. A volte, mi sa, dimentichiamo che, nella Chiesa, tutto ruota attorno a quella particolare persona e alla sua umanità, le sue speranza e le sue paure, il suo desiderio di amare ed essere amata”.
Testo originale: The Gay Church. Thousands of priests are closeted, and the Vatican’s failure to reckon with their sexuality has created a crisis for Catholicism.