La chiesa cattolica e i gay. Ma perché ci sono tanti preti omosessuali?
Articolo di Andrew Sullivan pubblicato sul sito del quindicinale New York (Stati Uniti) il 21 gennaio 2019, quinta parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Ma perché ci sono tanti sacerdoti gay? Vale la pena notare che il collegamento tra omosessualità e spiritualità non è affatto prerogativa del cattolicesimo. Alcuni psicologi evoluzionisti hanno trovato un antico collegamento tra i gay e lo sciamanesimo tribale.
Carl Gustav Jung ha identificato i doni archetipici della persona omosessuale: “Grande capacità di amicizia, che spesso crea dei legami di sorprendente tenerezza tra uomini”; il talento per l’insegnamento, l’estetica e la tradizione (“essere conservatori nel miglior senso della parola e amare i valori del passato”); “ricchi sentimenti religiosi, che contribuiscono a rendere reale l’ecclesia spiritualis; ricettività spirituale, che rende sensibili alla rivelazione”.
Interrogando i sacerdoti gay, ho sentito una quantità di risposte. Alcuni mi hanno parlato di come la sensazione di essere fuori posto quando erano bambini e adolescenti li abbia resi più sensibili ai bisogni degli emarginati: “Se sei una persona fuori posto, puoi aiutare chi è nella tua stessa situazione, e accoglierlo”. Uno ha detto semplicemente “Noi capiamo la sofferenza”; un altro ha parlato del senso di conforto nell’appartenenza a una comunità religiosa.
Altri ancora parlano dell’attrazione per i rituali della Chiesa: “Il cattolicesimo era diverso, io ero diverso… avevo una forte tendenza mistica” spiega un sacerdote. Il cattolicesimo è una fede che trova il suo centro nella Messa, in cui il corpo, l’anima e i sensi sono importanti tanto quanto la mente. In un certo senso, la Messa è una performance e, senza voler indulgere troppo in stereotipi, c’è qualcosa nella liturgia, nel rituale, nella musica e nella messa in scena che attrae una determinata categoria di gay. Le persone che vi appartengono (si possono trovare anche tra gli artisti e gli studiosi) sono attentissime ai dettagli, ferree per quanto riguarda le regole e innamorate della tradizione e della bellezza. Sotto molti aspetti l’antica ed elaborata Messa cantata, composta di incenso e processioni, vesti dai colori codificati, complessa sotto il profilo liturgico, precisa nelle musiche, nel coro e nell’organo, in pratica uno spettacolo teatrale, è ovviamente, almeno in parte, una creazione dei sacerdoti gay, la cui sessualità è stata sublimata in modo da diventare parte integrante ed essenziale del culto cattolico.
Poi c’è l’esperienza, molto diffusa, del bambino/adolescente gay, allevato nel cattolicesimo, che si rivolge a Dio per trovare una risposta al suo essere diverso, lontano dalla norma. In questa situazione è obbligato a sviluppare meditazioni più profonde di quelle della maggior parte dei suoi coetanei, un forte spirito di osservazione e una precoce spiritualità, che difficilmente lo abbandonerà. Anch’io ero così da giovane. La prima persona con cui ho fatto coming out è stata Dio, con una preghiera silenziosa fatta mentre mi recavo a fare la Comunione. Facevo il chierichetto, sapevo bene come maneggiare un turibolo d’ottone pieno d’incenso, all’età di undici anni sapevo discutere le sottigliezze della transustanziazione e pensavo di essere vocato al sacerdozio (ma alla fine conclusi di non esserne abbastanza degno). Come molti ragazzi cattolici solitari, vedevo in Gesù un modello: single, sensibile, non faceva parte di una famiglia, era stato emarginato e perseguitato, ma alla fine aveva vinto ed era vivo nei secoli dei secoli.
Ma ci sono altre ragioni, ben poco sane, per cui molti gay scelgono il sacerdozio. La prima è il celibato. Nei secoli passati i giovani gay cattolici, se volevano evitare l’ostracismo sociale o le domande insistenti sulla loro mancanza di interesse verso le ragazze e le donne, avevano la scappatoia del sacerdozio.
(Una volta un sacerdote mi ha detto che per molto tempo la spinta più potente alla vocazione sono state quelle madri che, intuendo che uno dei loro figli era quel tipo di persona “che non si sposerà mai”, li incoraggiavano a entrare nella Chiesa per salvare il prestigio sociale della famiglia.) È un meccanismo in attività ancora oggi, anche se meno che in passato. Anche una forte mancanza di autostima, in parte dovuta all’omofobia cattolica, è un fattore che conduce al sacerdozio come mezzo per reprimere o curare in qualche modo la propria sessualità.
“Prima ancora dell’adolescenza, capiamo che quella cosa è un abominio, perciò ci rivolgiamo a ciò che insegna la Chiesa e finiamo per dire ‘Riempimi con le tue parole e diventerò te. Diventerò una personalità magisteriale’” dice un sacerdote, che chiamerò padre John.
Con “personalità magisteriale” intende una persona che incarna il Magistero, l’insegnamento ufficiale della Chiesa: “In altre parole, ho smesso di essere io. Ho il sospetto che sia proprio per questo che molte di queste persone finiscono per essere spaventosamente grigie e impersonali: a un certo punto della loro vita hanno deciso di non essere più se stesse”. Ho visto questa cosa in molti preti: incapaci di essere se stessi, divengono simulacri, simboli, e alla fine perfino caricature o maschere personificate.
Spesso questa lotta inconscia li esaurisce. Non è mai facile rinunciare ad essere se stessi. Alcuni cercano di rimediare assumendo atteggiamenti da checca stravagante, altri sprofondano nella depressione, in cui fanno capolino l’alcool e la droga: “Mio Dio, quando nel 2010 sono tornato nella Chiesa non potevo credere quanto fossero diventati oscenamente obesi quei preti. Erano così atletici da giovani” dice padre Andrew. Un altro sacerdote mi ha detto “Avevo sepolto molto in profondità [la mia omosessualità]. Poi ebbi un tracollo: fu uno di quei momenti in cui vorresti fare qualcosa con un amico. Una sera, quando me ne ero andato da qui, capii che volevo a tutti i costi avere una relazione con quell’uomo. Poi cominciai a sgonfiarmi. Non volevo essere quella persona, non volevo essere io”.
Altri, più consapevoli e cinici, sanno che si può fare carriera con tutta questa falsità. È facile capire come, fin dal XIII secolo, i gay abbiano segretamente trovato nella Chiesa, e solo nella Chiesa, una fonte di prestigio e potere. Emarginati dalla società, nella Chiesa potevano diventare consiglieri dei monarchi, perdonare i peccati degli altri, avere un reddito fisso, godere di enormi privilegi ed essere trattati sempre e ovunque con rispetto. Tutto era soppresso, nei seminari non si facevano domande e i counseling psicologici non esistevano (e anche oggi sono rari). Molti uomini feriti e spaventati diventavano preti, e cominciarono a emergere certi meccanismi.
Uno di questi, come abbiamo visto, è il mettere in atto le proprie tendenze sessuali in modo deviato. Mettere gli abusi sessuali e i sacerdoti gay nello stesso fascio, come molti oggi fanno d’impulso, è una grottesca diffamazione rivolta alla grande maggioranza di essi, che mai ha contemplato simili crimini, e che ne è anzi inorridita: sono i classici capri espiatori. Al tempo stesso, stralciare completamente la questione abusi da quella dei sacerdoti gay significa ignorare deliberatamente una spiacevole realtà. La pedofilia è una categoria separata [si tratta di una parafilia, una cosiddetta “devianza” sessuale, n.d.t.], non fa parte dell’orientamento sessuale, ma molti degli abusi di maschi minorenni e di giovani uomini, nonché di confratelli, derivano da un’omosessualità terribilmente deviata; circa un quarto dei casi noti riguarda vittime tra i 15 e i 17 anni.
L’impatto di tutto questo alla fine del XX secolo è stato straordinario, ma con il senno di poi era prevedibile. Se non vieni a patti in maniera onesta con la tua sessualità, la sessualità pretenderà il suo spazio negato. Se metti in piedi un’istituzione retta da uomini repressi e privi di amore per se stessi, e le sue fondamenta sono il segreto e la completa obbedienza ai superiori, hai praticamente creato una macchina che sfornerà disagio e abusi.
L’orrenda realtà è che non conosceremo mai l’estensione degli abusi nei secoli passati e cosa succede ancora oggi, specialmente in quelle parti del mondo, come l’Africa e l’America Latina, dove a volte è ancora tabù ficcanasare negli affari della Chiesa.
Un altro di questi meccanismi è l’omofobia interiorizzata: ciò che odi in te stesso, ma non sai affrontare, lo scruti e lo punisci negli altri. È un fatto che molti dei vescovi e cardinali più omofobi sono stati e sono gay. Il più potente cardinale americano del Novecento, l’arcivescovo di New York Francis Spellman, morto nel 1967, per anni ha avuto una vita sessuale gay molto attiva pur essendo uno dei più rigidi cani da guardia dell’ortodossia. Monsignor Tony Anatrella, un esperto di terapie riparative molto ascoltato in Vaticano, è stato recentemente sospeso per abusi sessuali su uomini. Il cardinale scozzese Keith O’Brien definì l’omosessualità “degrado morale” e il matrimonio omosessuale “pazzia”, ma fu obbligato a rassegnare le dimissioni e ad abbandonare il Paese dopo essere stato accusato di abusi sessuali su quattro sacerdoti.
Il cardinale australiano George Pell, ultraconservatore e anti-gay, è stato di recente trovato colpevole di abusi su minori. Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, una setta un tempo enormemente influente, di estrema destra e anti-gay, ha sessualmente abusato di innumerevoli uomini, donne e bambini. Il leader di Church Militant, un uomo ossessionato dai preti gay, è lui stesso un “ex gay”. Ecco una buona regola: i vescovi e i cardinali ossessionati dalla questione omosessuale spesso si rivelano gay; chi è più moderato tende ad essere etero.
Benedetto XVI ha parlato di sé come di un topo di biblioteca, non molto portato per lo sport. La sua parlata carezzevole è senz’altro effeminata: lo si vedeva costantemente in compagnia del suo focoso segretario privato, padre Georg Gänswein; andava in giro parato con vesti stravaganti, come ermellini e scarpine rosse fatte su misura. È un teologo dominato dal desiderio maniacale di bacchettare qualsiasi minima deviazione dall’ortodossia, che ha definito i gay “oggettivamente disordinati” e portati verso “un intrinseco male morale”; dopo averli banditi dai seminari, li ha chiamati “una delle miserie della Chiesa”. Suggerire qualche tipo di collegamento tra tutti questi aspetti di una persona santa, celibe e sensibile vuol dire essere tacciati di fare insinuazioni disgustose, per il motivo che ancora moltissimi vescovi non riescono a considerare l’omosessualità una questione di amore e identità, ma solo di atti e di desiderio sessuale. Mettendo alla luce tutto ciò che non funziona ai vertici della Chiesa, possiamo far vedere quanto siano nudi questi imperatori ingioiellati.
C’è ovviamente un ulteriore livello di complessità nella narrazione dei sacerdoti gay: le generazioni. Chi oggi ha 70-80 anni è cresciuto in un mondo diverso, in cui il nascondiglio era automatico e solo la remota ipotesi di discutere questo tema era scandalosa. Un sacerdote mi ha descritto così quella generazione: “Erano così nascosti che sembrava vivessero a Narnia”.
Forse non sono nemmeno consapevoli di essere gay, ma si sono rintanati nella loro trincea in preda al panico di fronte al moderno riesame dell’amore omosessuale e del sesso come distinto dalla procreazione. Chi oggi ha da 50-60 anni in giù è generalmente molto più consapevole, e molto meglio accettato dalla famiglia e dagli altri cattolici. Questa differenza tra generazioni è l’origine di molti dei conflitti nelle alte sfere della Chiesa.
Testo originale: The Gay Church. Thousands of priests are closeted, and the Vatican’s failure to reckon with their sexuality has created a crisis for Catholicism.