Ma credi davvero che Gesù si offende se due persone gay si amano?
Email invitaci da Massimo Battaglio, in risposta alla email inviata da Edoardo
Caro Edoardo, quando avevo la tua età, anch’io attraversai un periodo in cui mi convincevo che il mio amore fosse peccato. Erano gli anni ottanta e, di omosessualità, non si parlava proprio, men che meno nella Chiesa. Eravamo avvolti da silenzio generale che si faceva passare per rispetto; si fingeva di ignorare l’omosessualità dei nostri amici. Addirittura tra di noi, si faceva fatica a riconoscersi uno con l’altro. Per anni ho vissuto come se gli unici gay sulla terra fossimo io e il mio ragazzo. Confronto zero.
In questo clima di solitudine totale, era facile rivestire le nostre difficoltà personali, le nostre banali immaturità, con questioni “di principio”. Io, per esempio, per molto tempo, non mi sono accorto che il senso di “impurità” che io stesso coltivavo, altro non era se non la paura del primo rapporto sessuale. Paura che derivava semplicemente dal non sapere con chi parlarne.
Quando il mio moroso ed io decidemmo di varcare la soglia, non ci ricredemmo nemmeno subito. Si aprì un nuovo capitolo di riflessioni anche molto dure. Da una parte capivamo che il nostro era diventato un amore fino in fondo, fino alla comunione dei nostri corpi.
Dall’altra avevamo un timore pazzesco che dietro il piacere si nascondesse il peccato (come per l’alcol, per il fumo…). Roba che, se ci penso adesso, mi vien solo da dire che eravamo proprio ragazzini! Ma eravamo montati su quelle biglie lì: religiosi per coprire la paura. In una parola: superstiziosi.
Il bello è che non ne avevamo nemmeno parlavato coi nostri preti (l’avessimo fatto! Avremmo scoperto che erano più avanti di noi!). Le nostre scaramanzie erano frutto di speculazioni autoprodotte e autogestite. Frutto di un “clima”, diciamo così.
Capimmo col tempo e con una buona dose di “sperimentazione” (ci siamo intesi), che la carnalità del nostro amore non era poteva essere così peccaminosa: era il riflesso, il simbolo, di qualcosa di più grande; era il modo più alto per celebrare la volontà di donarsi l’uno all’altro, volontà che sperimentavamo nella vita di ogni giorno, condividendo le giornate, il lavoro, gli impegni sociali e politici, alcune spese. Ci amavamo come Dio aveva amato noi. E il sesso era il modo più intimo per dircelo. Ed era piacevole non perché qualche diavoletto ci aveva messo lo zucchero ma perché i doni di Dio danno felicità, a partire da subito!
Quella prima storia finì e lasciò un dolore. Capita a tutti, anche nel mondo eterosessuale. Ma ne iniziarono altre, sempre con la stessa bellezza. Sono sempre più convinto che la “castità” di un atto sessuale non dipenda dall’orientamento e dal genere dei due attori ma dall’atteggiamento con cui essi lo compiono.
Un rapporto eterosessuale con tutti i crismi, magari eseguito senza preservativi per non offendere il clero, se però è improntato al dominio, alla ricerca smaniosa del proprio godimento fisico, alla fretta, non è casto. Anzi: offende Gesù e il “cuore immacolato di Maria” (mamma mia che espressioni! Siamo nel duemila!), molto più dell’abbraccio tra due ragazzi dello stesso sesso che si amano veramente.
Il mio consiglio, caro ragazzo, è di essere profondamente sincero con te stesso. Hai timore? Parliamone. Senti un fremito incontenibile? Parlane innanzitutto col ragazzo che ami. Non trovi le parole? Bacialo! Così arriveranno. Ma non prendere decisioni affrettate su te stesso. Meglio camminare ad agio (staccato), che correre fino a stancarsi e non avere più energia per tornare indietro.
E un altro consiglio: certi preti, lasciali perdere. Cosa ne sanno di amore coniugale? E se ne sanno qualcosa, quanto sono credibili? Chiedigli piuttosto: chi mai gli ha messo nella testa che Gesù si offende se due persone si amano?