Amore alla sbarra. Viaggio in Africa dove le persone omosessuali non hanno il diritto di esistere
Articolo di Jon Henley , Xan Rice e David Smith tratto da The Guardian (Inghilterra), 22 Maggio 2010, liberamente tradotto da Laura M.
Una coppia omosessuale del Malawi è stata condannata a 14 anni di lavori forzati. […] “Vi darò una pena esemplare,” ha sentenziato il giudice Nyakwawa Usiwa-Usiwa durante il processo a Blantyre, Malawi (Africa), “in modo da garantire la pubblica sicurezza contro persone come voi e impedire che qualcun altro tenti di emulare quest’orrendo comportamento.”. Ha mantenuto la promessa.
Colpevoli di abuso sessuale e comportamenti innaturali – o, come dichiara il loro avvocato difensore, di “essere due adulti consenzienti che facevano le loro cose in privato” – Steven Monjeza e Tiwonge Chimbalanga sono stati condannati, in questi giorni, a 14 anni di carcere e lavori forzati.
Perché farlo? Perché essere attivista per i diritti omosessuali in Africa?
Non sarà solo il tribunale a condannarvi. “Dove vivo io, le persone lanciano sassi alla mia casa”, ha dichiarato Pepe Onziema, lesbica e attivista per i diritti delle minoranze sessuali in Uganda, “Non salgo più sul matatus [taxi collettivo] perché ogni volta vengo costretta a scendere e gli altri passeggeri si rifiutano di sedersi affianco a me. Una volta, mentre mi trovavo su un boba-boda [mototaxi] sono stata colpita da un taxi di passaggio.”
Non vi sarà d’aiuto la Chiesa. “L’omosessualità,” dice Padre Mario Manyozo della Chiesa della Parola di Vita nel Malawi, “va contro i principi della creazione di Dio ed è un atto malvagio, poiché i gay sono posseduti da demoni.”
Per il Reverendissimo Isaac Orama, vescovo anglicano di Uyo, Nigeria, gli omosessuali non sono altro che “esseri disumani, folli, satanici e indegni di vivere”.
Neanche i media vi appoggeranno. François Bikoro, direttore del popolare (e populista) settimanale Cameroniano L’Anecdote – che, così come altre riviste, ha pubblicato liste di persone accusate di essere gay, accompagnandole da titoli come “I Froci Sono Tra Noi” – calcola che le vendite sono passate fa 5.000 a “più di 20.000 copie” da quando “abbiamo iniziato a trattare l’argomento omosessualità”.
Naturalmente non esistono prove che dimostrino che Monjeza (26 anni) e Chimbalanga (33) siano attivisti.
La loro colpa è stata dichiarare, lo scorso Dicembre, di aver intenzione di sposarsi durante una festa di fidanzamento a Blantyre, in Malawi, una piccola regione a sud-est dell’Africa il cui presidente, Bingu wa Mutharika ha definito l’omosessualità come “malvagia davanti agli occhi di Dio” e come qualcosa che “noi Malawiani non facciamo.”
Qualcuno ha fatto una soffiata a un giornale e i due si sono ritrovati, apparentemente per il loro bene, nel noto carcere di Chichiri.
Chimbalanga era solito indossare abiti da donna. Voleva essere chiamato Zia Tiwo e, fino al giorno della pubblicazione dell’articolo, veniva considerata una donna a tutti gli effetti dai suoi datori di lavoro, per i quali cucinava e puliva casa.
Continua a ripetere di non aver fatto niente di male, se non innamorarsi. Monjeza, da parte sua, ha dichiarato di essere pentito per ciò che ha fatto e che la sua attrazione sessuale è sempre stata verso Tiwo, ma non era più innamorato.
Sia lo sdegno che il pentimento hanno lasciato indifferente il giudice che ha dichiarato la coppia colpevole di “conoscenza carnale…contro l’ordine naturale” e di aver “vissuto assieme come marito e moglie”, violando, in questo modo, “i principi di decoro” del Malawi.
Naturalmente, sono pochi coloro che osano emulare Chimbalanga e Monjeza.
Secondo le indagini sullo status legale dell’omosessualità, condotte lo scorso anno dall’Internazional Gay and Lesbian Association, sono 76 i paesi nel mondo in cui i cittadini possono essere perseguiti a causa dell’orientamento sessuale.
Metà di questi paesi – 38 su un continente di 53 stati – si trovano in Africa, mentre in cinque (Iran, Mauritania, Arabia Saudita, Sudan e Yemen, così come in alcune parti di Nigeria e Somalia), gay e lesbiche possono ricevere la condanna a morte.
Non sorprende che, quando l’assemblea generale delle Nazioni Unite rilasciò la dichiarazione sulla depenalizzazione dell’omosessualità del 2008, solo sei paesi africani vennero convinti a firmare.
In Zimbawe, dove è famosa la dichiarazione del presidente Robert Mugabe secondo la quale l’omosessualità sarebbe “un comportamento da sub-animale” – “lasciatelo fare ai bianchi,” ha aggiunto – al significato di sodomia, già illegale in quanto “atto sessuale contro natura”, è stata aggiunta la definizione di “azione che comporta il contatto tra due persone di sesso maschile che verrebbe considerata oscena da qualsiasi persona sensata”.
Intanto l’Uganda, dietro a una forte pressione internazionale, sembra maturare dei dubbi circa l’avanzamento della proposta di legge che renderebbe l’omosessualità punibile con l’estradizione e, in alcuni casi, l’esecuzione, oltre a obbligare i suoi cittadini a denunciare entro 24 ore chiunque abbia commesso un reato omosessuale.
In Nigeria, dove l’ex presidente Olusegun Obasanjo crede fermamente che l’omosessualità sia “chiaramente contro la Bibbia, contro natura e decisamente non-africana”, chiunque si renda colpevole di “conoscenza carnale contro natura”, è punibile sino a 14 anni di reclusione.
Nei 12 paesi che hanno aderito alla legge della Sharia, una relazione tra persone dello stesso sesso è punibile con la lapidazione.
Nel Senegal Musulmano, con “atti impropri o contro natura con una persona dello stesso sesso” si rischiano sino a cinque anni di prigione.
Ancora più allarmante è che, dal 2008, quando i tabloid locali pubblicarono le foto di un matrimonio gay clandestino a Dakar, la polizia ha iniziato a usare la mano più pesante, molti omosessuali hanno dovuto nascondersi o hanno lasciato il paese (anche verso la Gambia, che sono stati poi costretti a lasciare entro 24 ore, pena l’impiccagione), nove gay attivisti sono stati arrestati dopo aver fatto coming out e i cadaveri di almeno quattro uomini gay sono stati riesumati dalle tombe e trascinati per strada dalla folla.
Persino in Sud Africa, il primo paese al mondo ad adottare una costituzione che conteneva esplicite clausole contro le discriminazione basata sull’orientamento sessuale, gli attivisti riferiscono che la polizia chiude sistematicamente un occhio davanti ai reati contro gli omosessuali.
Eudy Simelane, ex giocatrice della squadra di calcio sudafricana e lesbica dichiarata, ha subito uno stupro di gruppo e 25 accoltellamenti; negli ultimi cinque anni almeno altre venti lesbiche sono state uccise, molte delle quali vittime del cosiddetto “stupro correttivo” da parte degli uomini.
Secondo Blessing-Miles Tendi, ricercatore all’università di Oxford in politiche africane e originario del Zimbawe, le ragioni di fondo per questa estensione a livello mondiale dell’omofobia sono molte e complesse, ma possono essere ridotte a tre: il perdurare dei falsi miti della cultura africana (combinati, purtroppo, alla legislazione dell’era coloniale); la forte influenza della religione; e la concezione di virilità da parte dei maschi neri.
“Non dobbiamo dimenticare.” dice Tenti, “che la questione dei diritti dei gay non è ancora pienamente risolta neanche in occidente. Le contraddizioni sono ancora molte; non è certo qualcosa che possiamo dire di aver completamente superato.”
Ma la giustificazione più comune tra gli anti-gay africani, aggiunge, è che “l’omosessualità non è africana: è arrivata con i coloni europei bianchi.”
In realtà, precisa, gli antropologi hanno dimostrato che le pratiche omosessuali erano già presenti e accettate in molte culture africane anche nel periodo pre-coloniale.
Il ricercatore EE Evans-Pritchard racconta che, nel Congo settentrionale, sino al XX secolo, i guerrieri Azande sposavano abitualmente giovani uomini che avevano la funzione di mogli temporanee.
Questi “ragazzi-moglie” passavano la notte con i mariti che “con il ragazzo, potevano soddisfare le loro voglie”.
Accadeva poi che alcuni guerrieri, anche dopo aver sposato una donna, continuassero a dormire con i ragazzi-moglie “perché gli piacevano”.
Troviamo usanze simili anche tra la popolazione Tsonga in Sud Africa, così come tra la popolazione Maale nell’Etiopia meridionale, alcuni uomini si vestivano da donne e assolvevano compiti prettamente femminili – incluse le relazioni sessuali con uomini.
Presso la popolazione Fon in Benin e i Naman nell’Africa sud-orientale, tra gli adolescenti, le relazioni omosessuali erano accettate e spesso duravano tutta la vita della coppia. Allo stesso modo, in Tanzania, i Nyakyusa tolleravano che i ragazzi avessero rapporti sessuali con altri ragazzi.
Secondo lo scrittore belga Rudi Bleys, è con l’arrivo dei colonialisti europei che la tolleranza degli africani nei confronti delle relazioni omosessuali ha iniziato a essere vista come un segnale di cultura barbara a cui bisognava porre rimedio.
Tendi dichiara infatti che “l’omofobia è stata legalizzata durante il colonialismo quindi, in Africa, è l’omofobia a essere di origine coloniale e non l’omosessualità.
Le leggi che oggi vengono chiamate in causa per condannare gli omosessuali fanno parte della vecchia costituzione coloniale e, semplicemente, non sono mai state abrogate.”
Alcune sono state addirittura potenziate, a causa della pressione esercitata dalla Chiesa che vede l’omosessualità come un peccato e che, come afferma Tendi, è “la maggiore responsabile dell’omofobia in Africa”.
In una certa misura, spiega, nel continente è già in corso una battaglia tra delegati: i paesi occidentali – in particolare gli americani – stanno incoraggiando la chiesa africana, già conservatrice, a mobilitare il governo e l’opinione pubblica contro i gruppi che sostengono i diritti gay che sono, in molti casi, supportati dagli stessi occidentali.
Una delle battaglie chiave ha avuto luogo in Uganda, dove l’introduzione una proposta di legge contro l’omosessualità è stata guidata dalla visita di tre evangelisti americani di spicco: Scott Lively del Defend the Family International, Padre Schmierer che lavora per i “gruppi di cura del comportamento sessuale” e Caleb Lee Brundidge, un “ex omosessuale” che attualmente lavora come istruttore per il ri-orientamento sessuale.
Nonostante abbiano declinato ogni responsabilità rispetto alla proposta di legge, secondo le notizie, hanno tenuto vari incontri e seminari per i membri del Parlamento ugandese.
Un gruppo di attivisti per i diritti degli omosessuali ha pubblicato, su YouTube, un video esclusivo di Lively che, rivolgendosi al pubblico ugandese, espone le “tre cause dell’omosessualità” e sostiene che “può essere superata”.
Secondo le idee di Lively, l’Aids sarebbe una meritata punizione per i gay, mentre legittimare l’omosessualità vorrebbe dire legittimare le molestie sui bambini e la depravazione.
Secondo Tendi, a questo potente cocktail omofobico di miti e religione va aggiunto “un certo tipo di concezione di virilità dei neri.
Della lotta contro il colonialismo e il razzismo, ciò che è emerso è la forza degli uomini neri e la loro avidità sessuale, ma solo verso le donne: gli omosessuali e i bianchi sarebbero invece deboli e femminei. In questa concezione non c’è assolutamente spazio per l’omosessualità del maschio nero.”
Se in Africa i diritti dei gay hanno assunto tale rilievo, dice Val Kalend, membro di un gruppo per i diritti delle donne lesbiche e bisessuali in Uganda, in parte è dovuto al lavoro degli attivisti che si affermano sempre con più prepotenza.
“Prima che mettessimo in piedi un movimento, nessuno si preoccupava di noi,” ha detto. “Abbiamo dovuto cavarcela da soli. Quando, però, abbiamo deciso di uscire allo scoperto e rivendicare i nostri spazi, la società ci ha fatto a pezzi.”
Edwin Cameron, gay dichiarato e giudice sieropositivo della corte costituzionale di Johannesburg, concorda, ma indica anche la mutazione del sistema sociale africano come ulteriore fattore: “Non si tratta solo di un movimento politico,” dice.
“Ora i gay e le lesbiche in Africa hanno una più alta visibilità. Molto si deve all’attivismo, ma molto altro no. Entrambi stanno innescando il tremendo contrattacco che vediamo da parte del governo.”
Secondo Denis Nzioka, della Coalizione Gay e Lesbica in Kenya (Galck), “la visibilità e l’apertura nei confronti degli uomini e delle donne gay in Africa stanno lentamente venendo allo scoperto, accompagnate dalla richiesta di accettazione e riconoscimento.
Come con tutte le cause o movimenti, specialmente quelli che vanno a toccare un tema così delicato, esistono anche le persone più conservatrici o caute. Il mondo è pieno di persone che si arrabbieranno, si sentiranno a disagio e useranno tutti i mezzi, buoni o cattivi, per assicurare che i diritti dei gay non vengano concretizzati.
Onziema concorda. Il suo attivismo è iniziato a scuola; all’età di 12 anni aveva dichiarato la sua omosessualità alla famiglia, mentre l’attivismo è cominciato dopo il liceo.
Nonostante i maltrattamenti pubblici, dice, “la polizia mi ha preso di mira parecchie volte. Una volta mi è capito di esser caricata su un’auto civetta e portata alla stazione di polizia, dove sono stata trattenuta per 3 ore.
L’agente mi disse che avevo bisogno di preghiere. Disse anche che se fosse stata l’epoca di Idi Amin, avrebbe preso parte al plotone d’esecuzione contro gli omosessuali.”
(In realtà, dice Onziema, è effettivamente più sicuro essere un attivista riconosciuto in Uganda. “Essere franchi ti da un senso di sicurezza e come difensori dei diritti umani, la gente ci conosce. Ma per la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale è diverso: gli si può chiudere la bocca in ogni momento. Sono più vulnerabili.”)
Anche Peter Njane, il responsabile di un gruppo Galck che si occupa delle malattie che affliggono gli uomini gay, ha avuto a che fare con maltrattamenti e discriminazione. “L’anno scorso” dice “ho preso parte a un talkshow per parlare di omosessualità.
La notte seguente, mentre ero in un locale, qualcuno mi ha riconosciuto e colpito alla bocca. Ero scioccato. Sono abituato agli insulti ma quella era la prima volta che venivo picchiato.
L’anno scorso il quotidiano nazionale del Kenya, Standard, aveva rivelato le tendenze omosessuali di Njane. “I membri della comunità dei miei genitori erano disposti a pagare pur di avere una copia di quell’articolo,” dice.
“E’ stato un periodo difficile. Sono scappato in Sud Africa per una settimana e quando sono tornato ho spento il cellulare per 3 settimane.
Ora i miei genitori lo stanno accettando, ma mia madre non può più frequentare il gruppo delle donne della chiesa a causa del gossip.”
Ma noi non molliamo, dice Onziema, perché è “una passione. Molta gente mi chiede perché mi sono esposto a una simile vessazione, quando la mia famiglia mi aveva già accettato.
Mi chiedono cosa voglio di più e allora io dico: ‘Ci sono persone che non hanno quello che ho io. Sento il bisogno di parlare a nome loro, in modo che possano avere le stesse opportunità.’
Quando mi domandano perché non lascio il paese, dico che nella comunità ci sono ancora persone che hanno bisogno di sapere che possono contare ancora su di noi. Voglio che le persone siano libere di essere se stesse e di vivere come esseri umani.”
Nzioka del Galck è d’accordo. “Ciò che ci fa dormire tranquilli la notte,” dice, “è sapere che stiamo lavorando perché tutte le persone siano rispettate, a prescindere dall’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Rivendicare i propri diritti come individuo non merita la pena di morte, le vessazioni, la violenza o l’odio.”
Testo originale: Love in the dock