La Comunione ai gay: dottrina o inganno omofobo?
Email inviataci da Massimo Battaglio
Qualche giorno fa, Gionata ha pubblicato la traduzione di un articolo comparso su sito di “Devenir un en Christ”, associazione cattolica francese per cristiani omosessuali, dal titolo “Sono omosessuale. Posso ricevere i sacramenti?”.
Il testo non perviene a una risposta netta alla domanda espressa nel titolo. Si limita ad esaminare le diverse posizioni nel dibattito e a proporre sotterraneamente una sorta di “primato della coscienza guidata”. Ripete più volte che bisogna “dialogare”, cioè comprendere le ragioni di chi vorrebbe accedere ai sacramenti e se li vede rifiutare ma anche quelle di chi glieli rifiuta. Consiglia di non prendere decisioni troppo personali ma di “confrontarsi con qualcuno di competente”.
Ricorda che, da una parte, “non c’è un diritto ai sacramenti: di fronte all’amore e alla grazia di Dio che si manifestano nei sacramenti, non si può pretendere niente, niente può essere rivendicato”. E dall’altra: “se i sacramenti hanno una funzione importante, non costituiscono la sola strada attraverso la quale si arriva la grazia di Dio”. Praticamente: mettiamoci l’anima in pace; non è la fine del mondo.
Personalmente, non mi scandalizzo per le conclusioni a cui arriva l’autore dell’articolo. Magari mi chiedo chi rappresenti, di quali cristiani omosessuali parli. Per i tanti che ho conosciuto io, il tema è sempre stato molto sentito.
Sappiamo bene che i sacramenti non sono tutto. Ma abbiamo anche ben presente che la Chiesa non è una semplice organizzazione umanitaria, un posto dove educare brave persone. Essa è l’assemblea di Dio tra gli uomini (tra tutti gli uomini), che trae la propria forza dalla sua presenza. Presenza che si esprime proprio nei sacramenti.
La cosa che mi stupisce, più che i contenuti del dibattito, è l’esistenza del dibattito in sé. Perché, chi lo alimenta, non ha affatto intenzione di “aprire agli omosessuali” ma di chiudere ulteriormente.
Ricordo che il vescovo Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI ora emerito, non certo un rivoluzionario, ebbe a scrivere frasi limpidissime sull’eucarestia.
“La Comunione non è un premio per chi è virtuoso ma il pane che Dio ci porge dentro la nostra debolezza”. (J. Ratzinger, “Idee fondamentali per il rinnovamento eucaristico nel XX secolo”, 1960)
Un’affermazione che qualcuno all’epoca giudicò grave. Sembrava spazzare tutta la tradizione sullo “stato di grazia” necessario per ricevere l’ostia consacrata. Pareva voler togliere al sacerdote la competenza su chi ammettere e chi escludere, riconsegnando tutto nelle mani di Dio. Ma, a parte che l’idea di ridare a Dio ciò che gli spetta non mi pare poi così male, la massima Ratzingeriana fu molto ascoltata. Diventò proverbiale. Durante il sinodo delle famiglie, è proprio a partire da quella frase, che si è potuto ridiscutere la questione della Comunione ai divorziati. Questione su cui hanno convenuto gran parte dei presenti, a cominciare dal papa. E con questo, ogni dubbio dovrebbe essere chiarito.
In quest’ottica, chi si prende la briga di negare i sacramenti alle persone omosessuali, trasgredisce lo stesso Catechismo a lui tanto caro. Che recita: A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione.(CCC 2358)
Temo che la faccenda sia in realtà ben poco teologica. Semplicemente, qualcuno, avendo mal digerito l’apertura ai divorziati, tenta di “recuperare” almeno sui gay.
Il che, a mio parere, non è molto sano. Non vedo infatti l’analogia tra la persona divorziata e la coppia omosessuale stabile. In altri termini, anche se fosse giustificabile privare dei sacramenti coloro che vivono in stato di peccato grave, non riesco a vedere l’enormità del peccato di amare sinceramente una persona del mio stesso sesso. Tanto più che, a quanto mi risulta, non sta scritto da nessuna parte.
Anzi: proprio il Catechismo va in tutt’altra direzione.
“Le persone omosessuali […], con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono […] avvicinarsi alla perfezione cristiana”. (CCC 2359)
Il che, se vogliamo essere ancora più espliciti, significa che le persone omosessuli possono avvicinarsi alla perfezione cristiana con la grazia sacramentale. E, dal momento che non si può certo togliere agli omosessuali il battesimo, stiamo evidentemente parlando della grazia che viene da altri due sacramenti: la riconciliazione e la comunione. No?
Eppure, qualcuno, per accanirsi contro i gay, arriva a negare anche ciò che ha sempre sostenuto, cioè il primato del Catechismo.
Del resto, mentre si dibatte di sacramenti e omosessualità, si è totalmente rinunciato a qualunque analoga discussione su altri casi. Per esempio, sono pochissimi i sacerdoti che invitano i fidanzati a un minimo esame di coscienza prima del matrimonio. Continuano a celebrare nozze di qualunque tipo, spesso tra persone dichiaratamente non credenti, alle quali, per pura completezza della cerimonia, regalano anche la Comunione. Così come continuano a elargire gesti sacramentali – penso ai funerali – per persone cha hanno espressamente in odio la Chiesa. Ma si sa: è usanza. Per un “omosessuale che cerca Dio”, no: c’è bisogno di “dialogare”.
Ancora una nota, sorridendo. Si disquisisce sullo stato necessario per ricevere la Comunione e la Riconciliazione – per alcuni, mica per tutti – ma non su quello per amministrarli. I preti più appassionati in queste dispute sono sovente gli stessi che hanno relazioni sessuali che manderebbero completamente in crisi il sacramento dell’Ordine ricevuto. Relazioni talvolta stabili e talaltra del tutto “disordinate“, spesso proprio omosessuali. Che credibilità hanno per teorizzare sulle vite altrui?
Ha proprio ragione papa Francesco quando dice: “Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, spesso una doppia vita” (Omelia del 26/10/2016)