La “Christus vivit” di Papa Francesco e la pastorale con le persone omosessuali
Articolo di Giovanni Panettiere pubblicato su quotidiano.net il 7 aprile 2019
Cerca e ricerca si trova poco o nulla. Quanto ai gay nel documento è calma piatta. L’attenzione mediatica sulla Christus vivit di papa Francesco, pubblicata martedì scorso, si concentra soprattutto sul “sesso dono di Dio” e sulla natura “appassionata” del vero amore. Titolisti dalla memoria corta celebrano l’esortazione apostolica post sinodale sui giovani come se Bergoglio non avesse già sottolineato a più riprese (ad esempio, in Amoris laetitia, num. 150-152) i due passaggi focali di una dottrina sull’affettività che il Pontefice non si stanca di ammorbidire nei toni, senza aggiornarla però nei contenuti più profondi. Si pensi al matrimonio, la sola cornice in cui ancora oggi per la morale cattolica è esplicabile la sessualità.
Il dejavu pontificio rassicura i settori più conservatori della Chiesa, preoccupati per la messa a rischio della tradizione (quella con la t minuscola), ma intanto nei 299 paragrafi della Christus vivit passa sotto silenzio una delle svolte più significative (nella prassi ecclesiale), introdotta dal Sinodo dei vescovi nel summit dello scorso ottobre dedicato alle nuove generazioni: l’invito alle diocesi, affinché promuovano pastorali specifiche per gay e lesbiche (Documento finale del Sinodo, num. 150).
Si potrebbe obiettare che si guarda al particolare più che al generale di quella che è stata ribattezzata la Magna charta per l’accompagnamento spirituale e vocazionale dei ragazzi. Può anche darsi, ma qui non si vogliono affatto sminuire né il linguaggio dialogico e diretto del testo, né le felici indicazioni del Papa. A partire dallo stimolo ad attuare una pastorale giovanile “popolare” e “flessibile” (Christus vivit, num. 231), aperta anche a chi professa altre religioni o sperimenta dubbi nel suo cammino di fede (num. 235), in sintesi un altro tassello del puzzle bergogliano per una connotazione sempre più missionaria, in uscita del popolo di Dio.
E nemmeno s’intende offuscare la salutare presa di coscienza che la morale sessuale è spesso “causa di incomprensione e allontanamento dalla Chiesa, in quanto percepita come uno spazio di giudizio e di condanna“. Tutto questo senza tacere l’eco data da Bergoglio alla richiesta dei ragazzi di approfondire questioni delicate, dalla differenza tra identità maschile e femminile alla reciprocità tra uomini e donne fino all’omosessualità (num. 81).
Nell’attesa che la Chiesa appronti finalmente un momento di riflessione corale su questi aspetti (la via di un Sinodo ad hoc potrebbe essere l’ideale), se possibile, accantonando un certo pregiudizio verso la teologia contemporanea, resta a bocca asciutta chi auspicava e si aspettava da Bergoglio un avallo autorevole alla pastorale gay friendly. Esplicito, senza se e senza ma.
Intendiamoci non è che il Papa ingrani la retromarcia. Semplicemente non annovera l’intuizione dei padri sinodali, frutto dell’ascolto e del confronto con i ragazzi e gli operatori pastorali, prima e durante l’assise di ottobre, fra le priorità nel rapporto fra la Chiesa e i giovani. Da qui a gridare alla sconfessione della pastorale omosex ce ne passa.
Di per sé l’esortazione Christus vivit riprende solo alcuni punti dell’assemblea vaticana. È Bergoglio stesso a precisare che nel documento “non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento finale (del Sinodo, ndr), ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative” (num. 4). Al numero 42, poi, laddove il Papa rilancia l’impegno della Chiesa “contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale”, si rimanda nelle note proprio all’innovativo paragrafo 150 del Documento.
Resta il fatto che Bergoglio ha preferito non ribadire il disco verde a questo specifico accompagnamento spirituale. Ragioni di prudenza evidentemente gli hanno consigliato di sorvolare. Approvato al Sinodo di ottobre, col numero maggiore di voti contrari (65 no contro 178 placet), il paragrafo 150 è facile terreno di scontro fra conservatori e progressisti.
Il Pontefice a suo modo media: da un lato, prende le distanze da posizioni omofobe e accorda ad attivisti gay una storica udienza in Vaticano (andata in scena venerdí, ma in sua assenza), dall’altro, evita di enfatizzare innovazioni pastorali difficili da digerire per chi nell’omosessuale scorge uno che più di altri rischia la furia di Satana.
La linea di Francesco sull’omosessualità è cristallizzata in Amoris laetitia: accoglienza in nome della dignità di ogni persona, a prescindere dal suo orientamento sessuale; superamento di qualsiasi discriminazione, anche accompagnando le famiglie con figli gay (paragrafo 250).
Nel documento, sintesi del doppio Sinodo sulla famiglia (2014-2015), nulla si dice sull’omosessualità “oggettivamente disordinata”, né sui rapporti omosex “intrinsecamente disordinati”, come prescritto dal Catechismo della Chiesa cattolica (num. 2357 e 2358). Vuol forse Bergoglio cancellare quelle che per la Chiesa restano verità di fede? Affatto, piuttosto è ancora il criterio della priorità pastorale a segnare i passi del Papa.
Bergoglio, si sa, predilige il tratto umano. Scommette sull’incontro personale più che sul nudo insegnamento, nella convinzione che il calore di un abbraccio vada anteposto a qualsiasi discorso sul progetto di Dio su ciascuno di noi. In fondo è ciò che contraddistingue le pastorali omosessuali, avviate per la prima volta in Austria negli anni ‘90 (diocesi di Innsbruck) e oggi diffuse anche in Italia (Torino, Bologna, Parma, Civitavecchia, Palermo, etcc…).
Non è pensabile alcuna accoglienza e successiva integrazione se non si parte dall’ascolto e dal discernimento dei vissuti. La relazione con gli omosessuali non fa eccezione, né omissione. Nemmeno per prudenza. Nulla è perduto del Documento finale del Sinodo sui giovani, tanto ancora poteva essere ripreso ed enfatizzato.