Il Sessantotto e la crisi del cattolicesimo secondo Ratzinger
Riflessioni di Massimo Battaglio
Il papa emerito rompe ancora una volta il silenzio, come sempre per distribuire colpe. A questo giro, galeotto fu il Sessantotto. In diciotto pagine di “appunti” tra i più irrituali della storia, Ratzinger ci spiega il “collasso morale” della Chiesa. Che, secondo lui, ha origine proprio dai moti studenteschi proseguiti in tutti gli ambienti della cultura e del lavoro a fine anni sessanta.
“un collasso della teologia morale cattolica ha reso inerme la Chiesa di fronte a questi processi della società”.
Paradossalmente ha alcune ragioni, non solo dal punto di vista cronologico. Il sessantotto, è innegabile, deve molto anche al Concilio Vaticano II. Il desiderio di rinnovamento che si era espresso negli ambienti cattolici, aveva alimentato un clima di grandi speranze, spesso tradite, e di conseguenti grandi contestazioni. Non credo che sia una semplice coincidenza se i primi collettivi studenteschi del sessantotto italiano nascano a Trento, in un’università di stampo marcatamente cattolico. Penso poi alla Comunità dell’Isolotto di Firenze o a quella di San Paolo a Roma animata da padre Giovanni Franzoni. Penso ai preti operai di Torino, Milano, Mestre.
Purtroppo però, Ratzinger non legge questi fatti come un’ondata di aria fresca ma come una calamità teologica. Secondo lui, il sessantotto fu l’inizio della fine dell’ortodossia. E ciò avrebbe generato una tale confusione nel clero, da renderlo immorale. Una confusione così enorme da scatenare niente meno che la pedofilia.
Sulle date, sono incredibilmente d’accordo; molto meno sulla lettura dei fatti. Una certa deriva del clero inizia effettivamente con la chiusura del Vaticano II. Ma non perché il Concilio abbia minato i fondamenti. Anzi: perché non li ha minati abbastanza.
Moltissimi sacerdoti avevano sperato che si sarebbe finalmente abolito il celibato clericale. Avevano anche idee piuttosto precise su come farlo. Falliti i loro progetti, si trovarono a scegliere. O restare fedeli a una Chiesa che li aveva battuti, o restare fedeli a una fidanzata. Tanti se ne andarono. Il fenomeno restò abbastanza contenuto in Italia. Nel resto d’Europa fu un po’ più importante. In America, assunse proporzioni di massa.
Restarono tre categorie di preti: innanzitutto i più sereni, che non avevano problemi con la propria sessualità. Poi i più contestatori, che proseguirono dall’interno la loro battaglia, per quanto logorante. Ma anche quelli che avevano “problemi sessuali” talmente grandi da non potersene andare perché sarebbero venuti a galla.
E’ in quel frangente che la Chiesa cominciò a trovarsi popolata da una significativa percentuale di sacerdoti sessualmente disturbati, a prescindere dal loro orientamento sessuale. Non per strani motivi teologici ma per il semplice fatto che gli altri se n’erano in buona parte andati. In altre parole: non aumentarono le mele marce, che c’erano eccome anche ai bei tempi del latino ma diminuirono quelle sane.
Ancora una volta, l’emerito cerca di addossare tutte le colpe sulla sessualità (e, velatamente ma non troppo, sull’omosessualità). E ancora una volta non si accorge che la realtà è, sì, quella. Ma andrebbe letta dalla parte giusta; non, come si ostina a fare lui, da destra a sinistra.