Omosessualità e magistero ecclesiastico: l’amara “cura” di Ratzinger
Articolo di Marco Zerbino tratto da Adista Notizie n. 93, 17 Dicembre 2011, pp.10
Il primo documento ufficiale della Santa Sede in tema di omosessualità risale al 1975, anno in cui venne pubblicata la Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale, nella quale la Congregazione per la Dottrina della Fede, pur raccomandando «prudenza» nel giudicare i comportamenti delle persone omosessuali, metteva in guardia dall’accordare ad essi una qualsiasi «giustificazione morale». Una prima stretta in senso tradizionalista si ha, successivamente all’arrivo di Joseph Ratzinger ai vertici dell’ex Sant’uffizio, nel 1986.
È di quell’anno la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nella quale il futuro papa si preoccupa di contrastare le interpretazioni «eccessivamente benevole» del documento del 1975, affermando con forza che «la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata» (corsivi nostri).
Ne conseguiva, per la Chiesa, la necessità di combattere «quei gruppi di pressione che, con diversi nomi e diversa ampiezza, tentano di accreditarsi quali rappresentanti di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i loro seguaci sono per lo più persone che ignorano l’insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo».
La storia del magistero ecclesiastico sull’omosessualità prosegue poi con una lettera riservata risalente al 1992, anch’essa firmata da Ratzinger, che aveva come destinatari i vescovi degli Stati Uniti.
Il documento, intitolato Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, sosteneva a chiare lettere che «includere la “tendenza omosessuale” fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani […].
Ciò è tanto più deleterio dal momento che non vi è un diritto all’omosessualità, che pertanto non dovrebbe costituire la base per rivendicazioni giudiziali».
In coerenza con queste considerazioni, nella lettera si chiedeva ai singoli episcopati di non appoggiare iniziative legislative aventi come obiettivo la difesa degli omosessuali dalle varie forme di discriminazione a cui sono soggetti nella vita privata, sul lavoro e nella società.
È infine del 2003 l’ultimo documento che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha dedicato all’argomento, ovvero la nota ufficiale approvata da papa Giovanni Paolo II Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali.
Vi si leggono le seguenti affermazioni: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale». Ne consegue, secondo la Santa Sede, che un eventuale riconoscimento legislativo delle unioni omosessuali «sarebbe destinato a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale».
In tema di ammissione ai seminari e agli ordini sacri delle persone con tendenze omosessuali, è invece da segnalare l’istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica, risalente al 2005, che ritiene necessario «affermare chiaramente che la Chiesa […] non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità». Un’affermazione, quest’ultima, in palese contraddizione con quanto dichiarato dallo stesso testo poche righe prima, quando si dice che, a riguardo degli omosessuali, «si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione».
Il documento in questione suscitò la reazione di un gruppo di preti omosessuali, provenienti da 18 diocesi italiane e da 6 istituti religiosi, che consegnarono ad Adista una lettera aperta intitolata Non ci negate di esistere (v. Adista n. 89/05).
«La nostra omosessualità», scrivevano i 39 religiosi che, pur rimanendo anonimi, avevano firmato a viso aperto la missiva nella redazione della nostra rivista «non ci mette in una situazione tale da ostacolare gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne, come afferma il documento al secondo paragrafo: come uomini e sacerdoti ci sentiamo feriti da questa affermazione assolutamente gratuita».
Un modo di concepire l’omosessualità, quello propugnato dal magistero ecclesiastico, che informa anche i paragrafi del Catechismo della Chiesa cattolica che affrontano il tema. In essi viene ribadito per l’ennesima volta il carattere «oggettivamente disordinato» dell’inclinazione omosessuale, e i comportamenti ad essa riconducibili vengono giudicati «contrari alla legge naturale» in quanto «precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».