Cittadinanza inclusiva. Il cammino di accoglienza nella chiesa dei cristiani LGBT di Kairos
Relazione di Giusi D’Urso del Gruppo Kairos di Firenze tenuta al Seminario “Cittadinanza inclusiva. Il ruolo delle Teologie” (Verona, 4 maggio 2019) organizzato dal Coordinamento Teologhe Italiane (CTI).
Nell’elaborare la presente relazione ho riflettuto sul termine cittadinanza che compone il titolo del convegno. Tecnicamente cittadini sono coloro cui l’ordinamento di uno Stato riconosce pienezza di diritti. E’ possibile utilizzare tale termine nel rapporto che lega la Chiesa cattolica con i fedeli che vi aderiscono?
Il fedele è un cittadino per la Chiesa? O non è forse colui che, credendo nel Dio di cui la Chiesa si fa tramite, viene accolto come un fratello o una sorella, con amore (carità) e compassione nel rispetto della sua dignità?
Tuttavia io percepisco ambiguità nella parola accogliere, vi intravedo quel senso di superiorità di colui che posto su un piano privilegiato, e in presunto possesso delle chiavi di cosa sia giusto o ingiusto, apre le porte con benevolenza buonista (stando attenti al significato assunto nell’uso contemporaneo) all’estraneo che in quanto tale viene ritenuto in una situazione di relativa ignoranza e inferiorità.
Un po’ sulla scia di una certa interpretazione della parabola “del figliol prodigo”. Credo sia un rischio reale. Ciò che sperimentiamo come Gruppo Kairós, muovendoci all’interno della Chiesa, è proprio una situazione di accoglienza (a macchia di leopardo), con i dubbi sopra citati che, a mio giudizio, tale condizione comporta.
Kairós nasce a Firenze nel 2001 dopo il gesto disperato del gay cattolico Alfredo Ormando che, il 13 gennaio del 1998, si dà fuoco per protesta in Piazza San Pietro a Roma. Il desiderio è quello di conciliare due mondi considerati in opposizione fra loro: fede e omosessualità.
Perché, almeno esaminando i precetti del Magistero in generale e del Catechismo della Chiesa in particolare, gli atti omosessuali sono ritenuti “intrinsecamente disordinati” , in quanto “contrari alla legge naturale“, precludendo “il dono della vita“[1].
Gli inizi del gruppo sono catacombali, i primi partecipanti temono di esporsi socialmente in un ambiente ancora ostile a riconoscerne la piena dignità umana. La prima comunità cattolica (la Chiesa valdese fiorentina era già stata pronta a fornire spazi per gli incontri) ad accogliere la giovane realtà è la Comunità delle Piagge, nella persona di don Alessandro Santoro, da sempre sensibile verso ogni forma di emarginazione della diversità.
Nel corso degli anni la situazione muta, e Kairós riesce ad acquisire visibilità grazie al progressivo aprirsi delle porte di alcune parrocchie e comunità religiose. Fra queste degna di nota l’ospitalità data dalla Comunità di Firenze delle Suore domenicane “Unione san Tommaso d’Aquino” che, oltre a concedere la propria Casa per i percorsi mensili biblici di lectio divine, ha offerto e offre un accompagnamento pastorale e spirituale. Soprattutto offre amicizia.
Amicizia è un termine chiave, è la migliore espressione di quella collaborazione dataci negli ultimi anni da consacrate/i e dalle comunità religiose per le attività che il gruppo svolge. Un movimento che viene dal basso di inclusione nelle dinamiche ecclesiali, che fa di Firenze un luogo privilegiato di accoglienza. Meta di donne e uomini provenienti dal resto della Toscana e da altre regioni.
Naturalmente ha contribuito a questa sorta di fioritura il mutato clima nella Chiesa, derivante dall’ascesa al soglio pontificio di papa Bergoglio. Le aperture sono contraddittorie, nonché ostacolate dall’ala più tradizionalista del mondo cattolico.
Tuttavia hanno permesso di adoperarsi per una pastorale specifica (che negli ultimi tempi si è allargata ai genitori di figli LGBT), anche se il salto di qualità avverrà nel momento in cui tale pastorale non sarà più necessaria, in quanto gli omosessuali (insieme ai bisessuali e ai transessuali) non verranno più considerati dei diversi, ma uguali in dignità nella pienezza del proprio essere a qualunque altro membro della Chiesa.
Quindi non bisognosi di attenzioni specifiche, al pari delle donne nel momento in cui non sarà più necessario festeggiare l’8 marzo come festa particolare, perché la parità fra i sessi sarà un dato di fatto acquisito e metabolizzato.
Personalmente non ho una formazione teologica, bensì filosofica, una formazione laica e critica, anche nel senso kantiano del termine. Per cui umanamente è corretto comprendere quali siano i limiti delle nostre facoltà conoscitive, e di conseguenza umane. La comprensione del proprio limite è fondamentale per accettare l’altro nella sua diversità. Se un Dio esiste, ci ha creati come esseri unici e irripetibili, chiamandoci ciascuno per nome.
La coscienza del limite evita di sentirsi portatori di verità indiscusse, e indiscutibili, e perciò impedisce derive fondamentaliste e integraliste. Derive, in cui rischia di cadere ogni religione quando si ritiene interprete privilegiata del divino e del sacro, che conducono come necessario corollario a processi di esclusione di ogni forma di deviazione da una norma statuita come fondante. Ma tali processi, più che una base trascendente, hanno spesso una base storica e culturale formandosi su dinamiche sociali, che diventano sistemi di controllo sociale.
Il nostro ruolo come gruppo, in collaborazione con il portale di fede e omosessualità “Progetto Gionata”, è (in piccolo) quello di tentare di essere ponte e di abbattere muri, affrontando ogni marginalizzazione sia ecclesiastica, che dei gruppi tradizionali LGBT. Nonché andando oltre la spesso mal interpretata logica del “figliol prodigo” per far comprendere come il concetto di amore, e quindi di Dio, sia inclusivo e liberante.
Perché, superando le barriere dello stereotipo e del pregiudizio, consente a ognuno di riconoscersi nella sua diversità, nella “convivialità delle differenze”, come direbbe don Tonino Bello[2], dove non ci sarà più “né Giudeo, né Greco”, ma tutti saranno “Uno”[3] in Cristo. Che nel suo essere Verbo d’amore, messaggio sovversivo, è venuto per liberare gli esclusi e gli oppressi da ogni forma di schiavitù, mentale e materiale. Verbo universale che apre alla vita. Una cosa sola nel rispetto delle differenze che attraversano l’umanità. Delle identità sociali, politiche, religiose, culturali, sessuali.
E’ possibile essere atei o non cristiani, o non essere eteronormati, ma identificarsi in questa inclusiva Parola universale, super partes. “Ama e fai ciò che vuoi”, afferma Agostino d’Ippona[4].
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1. Chiesa cattolica, Catechismo della Chiesa cattolica, Parte terza, Sezione seconda, Capitolo secondo, Articolo 6, Paragrafo 2357; Città del Vaticano: 1992.
2.Antonio Bello, Convivialità delle differenze. Omelie crismali; Molfetta: Edizioni La Meridiana, 2006.
3. Paolo di Tarso, Lettera ai Galati, 3,22.
4. Agostino d’Ippona, Commento alla I lettera di Giovanni.