Essere lesbica e cattolica nonostante la Chiesa che ti ha allevata, poi ti abbia rifiutata
Articolo di Mark Piper* pubblicato sul sito del bisettimanale National Catholic Reporter (Stati Uniti) l’11 aprile 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
All’ombra di un campanile ci siamo incontrati per la colazione. Caffè nero per tutti e due, per lei uova strapazzate, per me al tegamino. Tra un sorso e un boccone parlavamo della ragione per cui eravamo lì: la Chiesa (cattolica). Volevo rivedere una vecchia amica e, se lei lo desiderava, parlare della sua esperienza nella Chiesa Cattolica; un uomo bianco etero che voleva sentire l’opinione di una donna bianca lesbica.
Dopo un’ora ci siamo salutati, siamo usciti dal ristorante e ci siamo imbattuti nell’ombra di quel campanile dall’altra parte della strada mentre correvamo al lavoro, ognuno nella sua direzione. In macchina, prima di uscire dal parcheggio, ho fatto una pausa per mettere ordine nei miei pensieri, e quando mi sono immesso nella strada non vedevo più il campanile, bensì la pietra angolare della chiesa.
Avevo appena fatto colazione con Lauren, un’amica, una donna di successo, pressapoco mia coetanea, che aveva condiviso con me dolore, frustrazione, rabbia, ricordi e pensieri su una Chiesa che sembrava non volerla. Non ho potuto fare a meno di pensare che la pietra di cui parlano il Salmista e Isaia (e che ricompare nel vangelo di Marco), scartata dai costruttori, è diventata poi testata d’angolo; dopo tutto, Lauren poco prima mi aveva detto, come constatando un dato di fatto: “La Chiesa che mi ha allevata, mi ha poi rifiutata”.
Il Corpo di Cristo è ferito, ma volevo ascoltare la mia amica, sapere cosa vuol dire essere lesbica in una famiglia cattolica. Penso che volessi anche confermare un sospetto che avevo, che riguardava non le ferite della Chiesa, bensì le ferite inflitte dalla Chiesa. Avevo l’idea che quelle ferite necessitassero di una riconciliazione da parte della Chiesa, un’idea che mi ero fatto parlando con diversi ex cattolici di varie tendenze.
Non avevo mai chiesto in modo diretto a una persona omosessuale battezzata di raccontare la sua esperienza. Volevo sapere: cosa vuol dire frequentare un liceo cattolico femminile? Come ha vissuto la Chiesa prima e dopo il coming out? Come ha fatto a dirlo alla nonna, che va a Messa almeno cinque volte la settimana? Cosa ne pensa della dottrina cattolica, e dell’atteggiamento della Chiesa?
Ascoltare con attenzione non è facile ma, anche se la mia amica ha parlato molto delle sue esperienze negative e delle sue frustrazioni, non ha recriminato più di tanto, e se nutriva ancora rancore, non me ne sono accorto. In effetti, a metà della colazione mi sono sentito in colpa: come una persona di colore che deve parlare del razzismo e rivivere gli episodi negativi di cui è stato protagonista per educare i bianchi sul razzismo stesso, a un certo punto ho capito che stavo chiedendo alla mia amica di educarmi sull’omofobia e di rivivere episodi dolorosi, non per il suo bene, ma per il mio.
In quel momento ho smesso di ascoltare con attenzione e mi sono calato in Tommaso che ha davanti Gesù, il quale deve denudare le sue ferite per soddisfare la sua curiosità. Quante volte le donne e le persone omosessuali hanno dovuto esibire le loro ferite ai Tommaso della Chiesa che la sapevano più lunga o dubitavano della loro testimonianza?
Ascoltando e dialogando l’ho sentita parlare della sua gioia da bambina nell’andare a Messa, del periodo delle elementari in una scuola cattolica, quando sognava di fare la chierichetta, poi di quando si fa coming out prima di tutto con se stessi, e poi di fronte agli altri, di quando tutto questo ha stracciato la tunica inconsutile della sua fede e della sua vita. Una volta uscita allo scoperto, non ha più potuto partecipare pienamente [alla vita della Chiesa] come faceva prima. Anche oggi, nonostante la sua esperienza nel suo liceo cattolico sia stata complessivamente positiva, non se la sente di partecipare, in quanto lesbica, ai raduni degli ex allievi.
Mi ha raccontato dei suoi sensi di colpa, di come il suo coming out in famiglia abbia provocato dolore e dissonanza, ma mi ha anche raccontato di sua madre, cattolica di ferro: “Verrò con te nella parrocchia in cui ti senti più a tuo agio” le ha detto per sostenerla. In mezzo a gente che la derideva, la mia amica ha trovato sostegno e accompagnamento, anche se purtroppo non nei “poteri forti”, e in generale non nella Chiesa in cui era stata così felice durante l’infanzia e l’adolescenza.
Quando Lauren ha fatto coming out alla nonna, assidua alla Messa quotidiana, era nervosa, ma la nonna ha risposto “Ti voglio bene lo stesso, e te ne vorrebbe anche il nonno, se fosse ancora vivo”. Ovviamente questo amore non è stato l’unico tipo di “amore” che la mia amica ha ricevuto, perché le reazioni che una persona cristiana può avere di fronte a una persona omosessuale non si limitano all’odio, all’apatia o all’amore.
Lauren ha descritto con ricchezza di dettagli i cattolici che hanno detto sì di amarla, ma dimostrando, nel tono e nel comportamento, di non amarla nel senso della compassione o della fraternità, ma in quello della pietà e della condiscendenza: “Ti amo perché devo amarti”, “Io sono comunque migliore di te”, “Ovvio che ti amo, nonostante tu mi sia inferiore, o comunque difettosa rispetto a me”; questo pensava la gente di chiesa.
Ovviamente è l’amore che spinge la madre di Lauren a sostenerla in tutto, il che rende evidente l’incongruenza della Chiesa “nostra madre” che sembra amare e sostenere molto poco gay e lesbiche. Secondo Lauren, la Chiesa si definisce nel conflitto, il conflitto tra la Chiesa intesa come gerarchia e istituzione e la Chiesa popolo di Dio; all’interno di quest’ultimo, cioè dei laici, c’è poi il conflitto tra chi impiega tutte le proprie forze a condannare e chi lo fa per costruire.
Su quest’ultimo punto, Lauren porta l’esempio di padre James Martin e del suo profilo Twitter: i suoi tweet sono per lei tanti esempi d’amore, pur non essendo sempre d’accordo con ciò che dice; molti che rispondono ai suoi tweet, invece, i quali affermano di essere molto più cattolici di lui, mancano fortemente di amore, empatia, umiltà, carità cristiana. In pratica, prendete 1 Corinzi capitolo 13, invertite il passo sulla carità e avrete l’esperienza che perlopiù Lauren ha fatto nella Chiesa, dal vivo e online, dal giorno del suo coming out.
Non c’è bisogno di un corso avanzato di analisi statistica per capire che il suo campione probabilmente non è rappresentativo, ma nello spazio di una Messa domenicale il mio essere invitato a una Comunione sotto forma di colazione con un’amica mi ha permesso di dare uno sguardo affidabile su quelle che chiamo le ferite che la Chiesa ha inferto a molte delle sue figlie e figli, ferite che noi dovremmo riconoscere, pulire e medicare.
Uscendo dal parcheggio e guardando nello specchietto retrovisore il campanile e la pietra angolare di quella chiesa ho capito, di Lauren, della sua esperienza e della sensazione di essere rifiutata, che tutt’ora persiste, qualcosa di molto profondo. La sua è una storia di ferite, infertele non solo dall’istituzione, ma anche dal popolo di Dio. Io vi ho visto un’ironia amara: nel rifiuto e nelle ferite che ha patito, Lauren ricorda da vicino, molto più di me, il Cristo sofferente.
Sì, credo che io e lei siamo sullo stesso piano come figli di Dio, ma nessuno, che sia nel nome delle Scritture, della Tradizione o di Dio, mi ha mai condannato nel mondo in cui è stata condannata lei, che è il modo in cui Cristo è stato condannato. Forse allora potremmo cercare di vedere il volto di Cristo sui volti delle persone omosessuali, e parlare con loro, di persona, nel modo in cui cerchiamo di parlare con Gesù in preghiera: con amore e compassione.
* Mark Piper lavora nel settore no-profit. Vive a Chicago con la sua famiglia ed ha conseguito un master in pubblica amministrazione alla DePaul University. Ha fatto il volontario per Amate House, un’associazione promossa dall’arcidiocesi di Chicago che opera nei quartieri più poveri di Chicago. Scrive per il blog Young Voices (Giovani Voci) del National Catholic Reporter.
Testo originale: ‘The church that raised me rejected me’