Un Dio che risponde. Elia e i profeti di Baal
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, terza parte
Seconda Parola: “Non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro…” (Es 20, 3-5)
“Non avrai altri dei di fronte a me”. È una buona traduzione, ma non rende molto l’originale ebraico. Letteralmente bisognerebbe tradurre: “Non ci saranno per te altri dei sul mio volto”.
Tra i numerosissimi commenti a questo comandamento, prenderemo in considerazione quello di Rashì (un rabbino esperto del Talmud vissuto a Troyes dal 1040 al 1105). Dal suo punto di vista, la nostra traduzione corrente sarebbe completamente errata. Ai suoi occhi sarebbe una bestemmia (insulto) nei confronti di Dio, quella di usare per gli altri dei le medesime parole che servono per designare Lui, l’unico Dio. Detto altrimenti, bisognerà riservare il termine Elohim solo a Dio.
Si tratta di una interpretazione del tutto legittima, ma solo grammaticalmente, dal momento che sarebbe poco difendibile. In ebraico, il termine per designare gli “altri dei” è appunto Elohim! Rashì ne era consapevole e pertanto propose altri due commenti. Trovò due soluzioni. Da un lato, Elohim acherim, che traduciamo con “altri dei”, potrebbe significare “dei serviti da altri”, e dunque, “dei degli altri”. Dall’altro, sono “dei altri”; in questo caso, dei che non rispondono se li si implora. Questo “Dio altro” – potrebbe essere un singolare- “non conosce l’uomo che lo invoca”. Traduciamo: non solo non cercherai il o gli dei altrui, ma non adorerai un dio che non risponde, che, di conseguenza, ti resta straniero.
Se ci domandiamo: “Che cos’è Dio?”, potremmo rispondere: “Colui che risponde se lo si invoca”. O ancora: un dio che non risponde se invocato, non è Dio. Il secondo comandamento, allora, si potrebbe intendere come segue: “Non avrai un dio che è altro, straniero, e che non risponde se lo invochi”.
Nel primo libro dei Re, il testo riporta un confronto celebre – e istruttivo – tra Baal, dio del cielo, della natura e della fecondità, al quale bisogna piacere perché piova, e il profeta Elia. Elia pronuncia una frase lapidaria: “Se il Signore è Dio (Elohim), seguitelo; se, invece, lo è Baal seguite lui” (1 Re 18,21). Il testo prosegue: “Il popolo non gli rispose nulla. Elia aggiunse al popolo: “Sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta”. Il seguito della storia è a noi noto. Elia propose che i profeti di Baal e lui stesso preparassero due tori per sacrificarli. Poi, ciascuno dovette invocare il proprio dio, mentre egli invocò “il nome del Signore”. Egli li invitò a iniziare per primi, tenuto conto del fatto che fossero più numerosi, ed essi invocarono Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando e danzando invano. “Ma non si udiva voce e nessuno rispondeva” (1 Re 18,26).
Elia prese a schernirli dicendo che forse il loro dio dormiva mentre loro danzavano fino a mezzogiorno intorno all’altare, in un delirio che definivano profetico. Essi si laceravano la pelle, il sangue colava… Ma niente! Elia disse al popolo di avvicinarsi, quindi eresse un altare al Signore, scavando intorno un canaletto che fece riempire tre volte d’acqua (infatti essendo imbevuto d’acqua, nulla poteva bruciare). Poi cominciò a invocare il suo Dio dicendo: “Signore, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe…”, chiedendogli di rispondere, e manifestare che Lui, fosse il Signore Dio. Effettivamente cadde il fuoco del Signore che consumò l’olocausto, la legna, le pietre, prosciugando l’acqua del canaletto…Il popolo si prostrò a terra esclamando due volte: “Il Signore è Dio, Elohim!”.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.