Curare i gay? Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità
Articolo di Delia Vaccarello tratto da L’Unità, 13 febbraio 2012, pag.41
Curare i gay? Piuttosto «liberarli». Sono davvero «terapie» le cure per i gay? Per nulla: traducono in termini pseudo scientifici i pregiudizi popolari e nel vano tentativo di modificare l’orientamento sessuale alimentano il disprezzo del paziente verso se stesso e della società verso l’omosessualità, colpendo al cuore la democrazia degli affetti. A smontare gli assunti dei terapisti «riparativi», mostrandone fragilità e inefficacia e indicando le nuove linee delle terapie affermative, è un testo fresco di stampa dal titolo “Curare i gay?” (Cortina) scritto da Paolo Rigliano, Jimmy Ciliberto, Federico Ferrari.
Un testo scientifico non privo di fervore politico, secondo il quale la questione centrale oggi rispetto all’omosessualità è favorire la liberazione del paziente nell’ottica del diritto di ciascuno di vivere in maniera legittima la propria affettività e del diritto-dovere della società di essere equa e rispettosa.
Chi sono allora?
L’assunto da cui partono i riparativi è invece la negazione degli omosessuali, i quali semplicemente non esisterebbero. Chi sarebbero allora? «Eterosessuali con problemi di omosessualità». L’unione tra persone dello stesso sesso sarebbe solo un atto sessuale compulsivo, qualcosa di secondario, e quindi una deviazione da correggere rispetto al vero progetto biologico che vede Natura e volontà divina coincidere.
È questo il credo dei fondamentalisti impegna- ti a trasformare la psicoterapia in una teopsicologia e ad appoggiare il più retrivo conservatorismo. «L’unione eterosessuale rimane il progetto di Dio per l’Umanità», dice uno degli assertori tesi a parlare soprattutto di omosessualità maschile. Opposto è l’atteggiamento degli autori del testo che, passando al se- taccio le terapie riparative, ne mo- strano i presupposti di oppressione.
Fanno riferimento tra gli altri agli assunti dell’American Psychological Association: non solo dal 1973 a oggi l’omosessualità è considerata una variante normale e positiva dell’orientamento sessuale umano, ma essa non va vista come un elemento isolato, un gusto, qualcosa che si aggiunge, e che si può «togliere». Invece coinvolge l’interezza della persona, a partire dal nucleo centra- le fino all’atto sessuale più concreto. L’omosessualità ha pari dignità rispetto all’eterosessualità, ed è anche parimenti preferibile.
Eppure, nata circa venti anni fa in America, l’associazione Narth è capofila di tentativi per modificare l’orienta- mento sessuale di pazienti afflitti da un sistema sociale e familiare svalutante, le cui sofferenze andrebbero alleviate e che si vedono sottoposti a mortificazioni per raggiungere al massimo l’esito repressivo di limita- re qualcuno dei comportamenti.
Dopo aver smontato la tentazione di alcuni terapeuti di promettere impossibili conversioni, il libro indica alla comunità scientifica nuove strade mettendo a nudo la passione civile che lo anima. «L’obiettivo primo del paziente deve essere la sua liberazione».
La relazione terapeutica offre al paziente l’occasione per sperimentare la fiducia in sé e nel proprio sentimento d’amore e di erotismo. Questa stessa ottica spinge gli autori a valorizzare nella terapia con le persone omosessuali credenti l’esperienza di molte realtà cristiane di base e le letture alternative del messaggio cristiano che parla di amore, di comunione, e di realizzazione piena di sé nel consorzio umano. L’obiettivo è quello di costruire con il paziente omosessuale un’apertura «su un orizzonte di valori» di giustizia e di eguaglianza.
In ballo c’è per la comunità scientifica la sfida di liberare e sostenere il paziente dentro un orizzonte sociale e politico che tuteli la persona e legittimi la pluralità delle identità sessuali.
Curare i gay? Oltre l’ideologia riparativa dell’omosessualità, a cura di Paolo Rigliano, Ciliberto Jimmy, Federico Ferrari, editrice Cortina Raffaello, 2012, pagine 255
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