Dall’autocensura all’orgoglio, la letteratura gay ha fatto coming out
Articolo di Anna Lombardi tratto da Il Venerdì di Repubblica, 20 febbraio 2009, pp.80-81
Uno studioso racconta il difficile percorso degli autori nel nostro Paese, dove Palazzeschi dissimulava e Saba nascondeva. Finché arrivò Tondelli. La critica ha lungamente evitato «di occuparsi dei gusti affettivi e sessuali degli scrittori considerandoli un fatto privato.
La letteratura è universale, si è detto: ed è vero. Ma comprendere una poetica significa conoscere l’autore in tutti i suoi aspetti». Francesco Gnerre, professore di Teoria della letteratura all’Università romana di Tor Vergata, ha focalizzato la sua attenzione sulla cultura omosessuale in Italia. Tracciandone la storia in L’eroe negato, omosessualità e letteratura nel Novecento italiano (Baldini&Castoldi – Dalai Editore, 2000, pp. 447)
«È vero» dice Gnerre, «l’omosessualità di un autore è solo una delle tante componenti del suo lavoro, ma quando un gruppo sociale emarginato prende la parola, bisogna avere il coraggio di definirlo e collocarlo. Tanto più da noi, dove, fra cattolicesimo, fascismo e comunismo, si è contemplato un solo modello sessuale: quello etero».
In Italia, le opere di autori omosessuali, o comunque attratti da quelle tematiche, hanno attraversato diverse fasi. A partire da quella che Gnerre definisce «rimozione della liberazione». Nella prima parte del secolo, infatti, solo Sandro Penna ha avuto il coraggio di esprimere esplicitamente in versi le sue predilezioni sessuali. Aldo Palazzeschi le ha dissimulate e sublimate nei suoi racconti, ‘Le Sorelle Materazzi’ compreso.
«Carlo Emilio Gadda, poi» racconta Gnerri «secondo gli amici, era terrorizzato che qualcuno intuisse i suoi gusti sessuali. Nei suoi libri al tema si allude soltanto. In ‘Quer pasticciaccio brutto de via Merulana’ la vittima Liliana, circondata da serve giovani, sembra mescolare amore materno a desideri erotici. Mentre il personaggio del sor Filippo, ritratto dell’autore stesso, si agita quando la portiera racconta l’andirivieni di garzoni dal suo appartamento».
Ancora, nel 1953 Umberto Saba scrive ‘Ernesto’, storia dell’iniziazione omosessuale di un adolescente. Poi nasconde il manoscritto e chiede ai pochi che lo conoscono di non farne parola.
Perfino Pier Paolo Pasolini, che con Giovanni Testori appartiene a una fase successiva, quella dello scandalo, non pubblica Amado mio (uscito postumo) perché esplicitamente autobiografico. «Accetta la sua omosessualità» dice Gnerre, «ma la considera, comunque, anomala. Nel dopoguerra chi voleva leggere libri esplicitamente omosessuali guardava ai francesi, leggeva Carlo Coccioli in francese. Scoprimmo gli italiani solo negli anni Settanta: e fu un peccato, perché ci furono opere sottratte ai loro lettori naturali, i contemporanei». All’epoca furono le poesie provocatorie di Dario Bellezza a imporre una visione alternativa. Almeno fino agli anni Ottanta, gli anni della consapevolezza: «La novità più significativa, e forse ancora incontrastata, fu Pier Vittorio Tondelli di ‘Altri libertini’, espressione di un’omosessualità esuberante ma leggera, di una nuova consapevolezza dell’essere gay e della conseguente volontà di autoaffermazione».
Tondelli è dunque l’ultimo grande scrittore gay di riferimento? «Ce ne sono di giovani bravi, che non hanno più paura di ciò che sono. Ma ancora combattono per affermare la loro identità e avere gli stessi diritti degli altri».