Il corpo e il cammino delle persone trans
Intervista di Carlos Osma a Miguel Missé pubblicata sul blog Homoprotestantes (Spagna) del giugno 2019, liberamente tradotto da Virginia Campolongo
Il sociologo e attivista trans Miquel Missé ha pubblicato alcuni mesi fa A la conquista del cuerpo equivocado (Alla conquista del corpo sbagliato, EditorialEgales, 2018), un libro nel quale medita sulla narrazione secondo la quale il malessere delle persone trans è dovuto al loro corpo, e che quindi la soluzione stia nel trasformarlo.
La sua riflessione è attinente sia per le persone trans che per quelle cisgender (cioè, non trans), cristiane oppure atee, perché (l’autore) ci invita a riflettere sulla relazione che ognuno di noi ha col proprio corpo, e come l’ambiente circostante possa incidere su tale relazione e sul renderla più o meno conflittuale. Pertanto, ringrazio Miquel Missé per aver acconsentito a fare quest’intervista.
– Quando e per quale motivo nasce l’idea di (scrivere) questo libro?
Innanzitutto, ti ringrazio per esserti interessato al mio lavoro e per aver organizzato questi dibattiti nella comunità LGTB cristiana. Per quanto concerne il libro, parte dalla sensazione che ci siano una marea di referenti trans, quando invece mancano discorsi critici sulla normativa corporale di genere. Il libro
ha lo scopo di aprire un dibattito per arricchire le politiche trans.
– Nell’ultimo paragrafo affermi che “Il libro è nato da una profonda contraddizione, da qualcuno che non ha un rapporto gioioso col suo corpo, bensì conflittuale”. Penso tu sappia che tale frase può convincere molt* cristian* che hanno una concezione negativa del corpo.
Sia i/le cristian* che gli/le ate*! Onestamente, credo che sarebbe molto efficace creare alleanze e dialoghi tra persone che ricevono molte pressioni per vivere nei loro corpi, ed è un problema che affligge buona parte delle persone. Però, sì, esattamente come scrivo nell’epilogo, nella mia vita non ho avuto un buon rapporto col mio corpo, ma la chiave sta anche nel creare una storia che possa aiutarci a gestire tali tensioni e, soprattutto, non colpevolizzarsi, ma avere un pensiero comune che ci porti ad identificare quelle strutture che alimentano questi stigmi per poi modificarli (ed estirparli).
– Ci sono dei passaggi nel libro nel quale la contraddizione è evidente, infatti da una parte affermi: “Ho la strana sensazione che mi abbiano rubato il corpo”, ma dall’altra: “Probabilmente sono io stesso il principale ladro del mio corpo”. Che ragionamento c’è dietro queste due affermazioni?
La sensazione che esista una contraddizione, che per me è il nucleo della politica trans. Da una parte mi impegno a porre l’attenzione su una serie di discorsi e ambienti esterni, i quali hanno alimentato l’idea che i nostri corpi non vanno bene, e questo è ingiusto; però, dall’altro, vogliamo che ci lascino modificare il (nostro) corpo in libertà, e che non ci vengano a chiedere tutte le nostre motivazioni, le nostre diagnosi, ecc. Entrambe le cose sono importanti e avvengono nello stesso momento.
– Il “Furto del corpo” è qualcosa che riguarda solamente le persone trans, o comprende anche le persone cisgender? Puoi farci qualche esempio?
Il furto del corpo è una metafora che propongo perché a me è d’aiuto, ma che non riguarda unicamente le persone trans anzi, molte tra loro non la condividono. È una metafora da condividere con chi ne ha bisogno, e bisogna attribuirle un senso. Altri esempi che mi vengono in mente hanno a che fare con la grassezza, i diversi gradi di disabilità, i canoni di bellezza e tutte quelle pressioni che, a livello estetico, stabiliscono i limiti di bruttezza e bellezza, il mostruoso e l’umano. Nella nostra società molte persone vivono in corpi che odiano, e questo è, per me, un problema politico di prim’ordine.
– Sorprendono molto alcune tue affermazioni, come, ad esempio, quando sostieni che “nessuno nasce transessuale”. Molti esponenti cristiani che predicano la transfobia si appoggiano a messaggi di questo tipo. Se non si nasce transessuali, come lo si diventa?
Mi fa piacere che mi abbia fatto questa domanda. Troppe volte la struttura dei nostri avversari politici finisce per definire la nostra. Anche se alcuni transfobi usano questo ragionamento, non mi faranno cambiare il mio, essenzialmente perché la via che porta a (questa) idea non ha nulla a che vedere con questo. Credo che sentirsi uomo o donna, o sentire il desiderio di cambiare sesso, non si possa spiegare tramite la biologia, ma tramite i significati che vengono attribuiti a ogni corpo.
– Le associazioni delle famiglie di transessuali minorenni sembrano non pensarla allo stesso modo. Quale pensi che sia il modo più efficace per avvicinarsi ai malesseri di genere nell’infanzia e nell’adolescenza?
Credo che il discorso sulla diversità di genere nell’infanzia sia una sfida per molte famiglie che stanno lottando, con gli strumenti che hanno, per accompagnare e dare conforto ai/alle loro figl*. Quello che invece mi interessa è contribuire in maniera precisa affinché siano disponibili più strumenti e
molteplici ragionamenti che vadano alla radice. In relazione al discorso sul genere nell’infanzia, non credo sia saggio partire da ragionamenti esistenzialisti, che andrebbero a stabilire cosa significhi sentirsi bambino o bambina, e quali espressioni e comportamenti sono tipici dell’uno e dell’altro. Sono convinto che il grande vantaggio dell’infanzia sta nell’essere meno rigida e più ricca dell’adolescenza: dobbiamo lavorare su questo, e non trasferire la normatività degli adulti all’infanzia. La parte difficile è trovare il modo di farlo, ma lo troveremo :).
– Nel tuo libro affermi che bisogna spiegare ai bambini e alle bambine trans che essere trans ha molti aspetti meravigliosi. Immagino che potresti scrivere un altro libro solo per darmi una risposta ma, brevemente, quali sono questi aspetti meravigliosi, e come glieli spiegheresti?
Essere trans ti da l’occasione unica di sperimentare l’enorme struttura del binarismo di genere: scoprire questo meccanismo all’interno di sé può risultare molto doloroso, perché una persona può sentirsi fuori da questo sistema, può quindi sentirsi un outsider. Ma, al tempo stesso, è un enorme apprendistato su se stessi, sulla fragilità di quelle strutture sociali che ci circondano, sull’autostima e su come questa dipenda anche dallo sguardo dell’altro, sull’amore e sul desiderio. Essere trans è un’esperienza conflittuale, ma anche un’enorme ricchezza. A me ha contribuito ad avere uno sguardo, che ritengo enormemente prezioso, sulla nostra realtà sociale.
– Appari molto critico verso le nuove immagini che i mezzi di comunicazione stanno dando sulle persone trans. Qual è il problema?
In primo luogo, voglio dire che il solo fatto di rappresentare con nuove forme il mondo trans costituisce, di per sé, la prova del fatto che siamo entrati in un nuovo capitolo della politica trans. In secondo luogo, credo che il lavoro dell’attivismo trans consiste nel fare attenzione a questo boom di rappresentazioni, e applicare il pensiero critico nel leggere questi discorsi. È da ingenui pensare che qualsiasi forma di rappresentazione trans sia positiva, in quanto il mondo trans, come molte altre minoranze, può essere strumentalizzato al servizio di molte cause, vale a dire che si possono trovare
rappresentazioni trans conservatrici o progressiste, essenzialiste o critiche, ed è importante analizzare tutto ciò.
– Parli molto della tua famiglia, dei collettivi trans… di allontanare l’esperienza trans dall’individualismo e dalla solitudine. Questa intervista verrà letta da molte persone cisgender che fanno parte di Chiese e gruppi cristiani, e anche loro credono nell’importanza delle comunità, perciò cosa pensi che possano fare affinché le persone trans, che fanno parti di tali comunità o che vi si avvicinano, possano vivere sentendosi forti e con un’idea positiva del proprio corpo?
Sono convinto che molte di queste comunità lo stiano già facendo, però è essenzialmente una questione di senso comune il fatto che accompagnare una persona all’inizio di una
transizione abbia molto a che fare con l’ascolto, con il mettersi nei panni degli altri, con il farsi carico dell’incertezza del processo, e non spingendo la persona trans a prendere decisioni a cui deve aver tempo di pensare, e soprattutto mettere bene in chiaro che l’amore non morirà, succeda quel che succeda, che la transizione e i suoi ritmi non condizionano l’amore degli altri. Tuttavia, mi sembra che la chiave sia soprattutto il modo in cui l’esperienza delle persone trans ci serve a trasformare il nostro modo di pensare al (nostro) corpo, alla (nostra) identità, al desiderio. Ovvero, non solo passare da cisgender a trans, ma anche come la persona trans arrivi alla persona cisgender e quale ricchezza questo porti.
Grazie mille, Miquel, per le tue risposte.
Testo originale: “Muchísima gente habita cuerpos que odia”. Entrevista a Miquel Missé