Riflessioni di Mauro Magini*
L’universalmente noto teologo Hans Kung ha scritto nel 2011 il libro:“Ist die kirche noch zu retten?” la cui traduzione letterale è: “E’ ancora possibile salvare la chiesa?” che è cosa ben diversa dalla traduzione della casa editrice Rizzoli “Salviamo la chiesa”.
Leggendo il testo, l’interrogativo del titolo originale risulta chiaramente retorico e la risposta è no; questa chiesa non è riformabile. Capisco bene che un teologo progressista che ha dedicato la sua vita alla Chiesa senta fortemente il tema della riforma e lasci aperta una porta alla speranza.
Da semplice cristiano, che da più di trent’anni ha fatto un cammino con la comunità di base di San Paolo, dico esplicitamente che, a differenza del passato, il tema della riforma della Chiesa non lo sento più. E non lo sento più non solo perché penso che questa chiesa come si è storicamente configurata non sia riformabile, ma per ragioni più profonde che attingono alla natura di ogni “religione” di cui ogni “Chiesa” è la culla.
Per “religione” intendo tutto l’apparato “teologico-cultuale” che si è formato nella tradizione storica di quella religione (ebrea, cristiana, islamica o di altra natura poco importa) e che comprende la narrazione delle origini, la manifestazione del divino, la liturgia, le preghiere, i dogmi, la precettistica, etc. etc. Con riferimento al cristianesimo, è negli stessi testi sacri che è chiaramente indicato il superamento della religione inteso come apparati e ritualità.
Ricordiamo nell’antico testamento le invettive di Amos (“..odio le vostre feste religiose…detesto le vostre assemblee solenni…Basta! Non voglio sentire il frastuono dei vostri canti, il suono delle vostre arpe. Piuttosto fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente e la giustizia come un torrente sempre in piena”; Amos (5,21-24)). E, nel nuovo testamento, è Gesù stesso che decreta la fine della ritualità.
Alla samaritana che, scoperta nel suo intimo, cerca di cambiare discorso chiedendo a Gesù se si dovesse adorare Dio sul monte Garizim (luogo di culto dei Samaritani) o nel tempio di Gerusalemme, Gesù risponde: “Credimi o donna; è venuto il tempo in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre …ma viene il tempo, ed è già venuto, in cui gli uomini adoreranno il Padre in spirito e verità”. (Gv, 4, 21-23).
Ecco dunque il punto decisivo: adorare il Signore in spirito e verità. E allora veramente la religione non è più un “apparato” ma diventa: “…non una religione formalista o consuetudinaria, ma quella religione che sta alla base di tutte le religioni e ci porta faccia a faccia con il nostro creatore….ci lega indissolubilmente alla verità che è dentro di noi, e ci purifica per sempre”(Ghandi: “Antiche come le montagne”).
Ma concretamente, nella realtà della vita, come si fa ad “adorare in spirito e verità”? Ciascuno si ritira nella sua stanza e prega il suo Dio? No, non siamo monadi e la relazione viene prima del singolo e, come dice Panikkar, Dio non è solo ma é relazione trinitaria. E il Signore ci ricorda che dove due o tre saranno riuniti nel suo nome Lui sarà con loro.
Quindi anche se non serve necessariamente un Tempio serve di certo un luogo dove riunirsi. Serve quindi una qualche organizzazione. Sono stato per nove anni responsabile dell’associazione Spazio Comune che si occupa della gestione dei locali dove si riunisce la comunità per la celebrazione eucaristica e dove, nel corso della settimana, si svolgono svariate attività collegate alla comunità e aperte sulle realtà esterne (questo è il significato di “Spazio Comune”).
So bene, quindi, che esistono una serie di incombenze che vanno soddisfatte a partire dalle più semplici, quali la pulizia dei locali e il pagamento delle utenze, a quelle più importanti, quali mantenere i rapporti con l’abbazia di San Paolo della quale siamo affittuari, sino all’organizzazione di incontri di varia natura con le realtà del mondo esterno.
Quello che è fondamentale, però, è che nella tensione tra Tempio e Profezia, tra organizzazione e messaggio, prevalga sempre il messaggio e la profezia. Se la Comunità riesca nel suo intento di essere messaggio non sta a me dirlo ma a chi ci ha incontrato.
Personalmente posso testimoniare un cammino di liberazione compiuto al suo interno e questo è certamente vero per altri fratelli e sorelle. Di certo, posso affermare che non ho mai visto praticare atteggiamenti di potere ma piuttosto, con tutti i nostri limiti, di apertura e solidarietà verso i più deboli.
Non è così nella storia della Chiesa. Già nelle lettere di Paolo echeggiano le dispute non sempre pacifiche tra le varie comunità. Il primo protomartire venerato dalla Chiesa è quel Stefano che, in buona sostanza, fu lapidato per conflitti religiosi nell’ambito delle dispute sorte tra gli ebrei del tempio ed ebrei “ellenisti”.
L’intolleranza nei confronti dei non credenti e il fanatismo dei primi cristiani è ben rappresentato dal bel film su Ipazia, una persona dedita alla scienza ma non credente e per questo uccisa in Alessandria da cristiani fanatici. Con Costantino, poi, la chiesa ha fatto la sua scelta definitiva tra Dio e Mammona e ha scelto il potere, il danaro, le ricchezze.
Sorvolando sui “secoli bui” del cristianesimo, nei quali il solo leggere le scritture era pericoloso, si arriva all’epoca moderna nella quale è iniziato il lavoro esegetico, che continua tuttora, e che ha permesso di fare giustizia, almeno a livello di ricerca (perché, ahimé, la massa viene mantenuta nell’ignoranza), di tante credenze e superstizioni che, come incrostazioni della storia, avevano profondamente inquinato o, meglio ancora, nascosto il messaggio autentico della buona novella: “euaggelion”.
Ho quindi sperimentato e maturato l’idea che, nel suo complesso, la Chiesa, ogni Chiesa, non è una istituzione che libera ed educa alla libertà interiore ma piuttosto che opprime le coscienze ed educa alla sottomissione.
Grandiose le pagine di Dostoievski sul Grande Inquisitore che va a trovare nella cella di Siviglia l’uomo che aveva imprigionato e nel quale aveva riconosciuto Gesù tornato sulla terra. Tu hai voluto dare, gli dice, la libertà agli uomini, ma gli uomini non sopportano un fardello così grande e hanno deposto la loro libertà ai nostri piedi. Noi abbiamo corretto l’opera Tua e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono cosí terribile, che aveva loro procurato tanti tormenti.
Gesù non risponde, l’Inquisitore apre la cella e lo manda via nella notte e Gesù risponde con un bacio.
La pretesa di parlare in nome Dio e cioè pensare di possedere tutta la verità, è blasfemia. Chi pensa di possedere la verità non è disposto ad ascoltare le ragioni degli altri ed è sempre tentato di imporre, anche con la forza, la propria visione del mondo. Se parlare in nome di Dio è arbitrario e pericoloso, uccidere in nome di Dio è la bestemmia più grande che esista. Dio, se c’è, è unico per tutti.
Sono gli uomini che sono divisi e che, calpestando il nome di Dio, si danno morte gli uni agli altri. I fanatici fanno tutti paura, come gli occhiuti inquisitori del passato, perché tutti hanno la presunzione, in buona o cattiva fede poco importa, di interpretare il volere di Dio. Per favore che la smettano tutti di invocare Dio per giustificare i propri interessi leciti o non leciti! Impariamo a “vivere senza Dio stando dinanzi a Dio” (Bonhoeffer).
Assumiamoci, cioè, la nostra responsabilità di uomini senza mettere in mezzo Dio pur consapevoli, per chi ha fede, che Dio si aspetta da noi una risposta per la costruzione della Storia.
Giovanni XXIII ha rappresentato un’apertura al mondo: dal Medioevo di Pio XII al confronto col mondo moderno: l’apertura di uno spiraglio che avrebbe permesso un confronto vero con la realtà degli uomini. Poi la porta è stata inequivocabilmente chiusa dai suoi successori, ciascuno con le sue proprie modalità.
Certo da quando è stata inventata la lampadina nessuno utilizza più le candele se non per una cena romantica e anche i papi del dopo Concilio non sono potuti tornare al Sillabo o riesumare il “extra ecclesia nulla salus”.
Hanno dovuto accettare la libertà di coscienza, la libertà di scegliersi una religione e riconoscere che anche nelle altre religioni vi sono contributi di verità. Ma, in buona sostanza, l’apertura e il confronto col mondo moderno è stato rifiutato. Oggi non si può più bruciare Bruno in piazza ma la mentalità è rimasta quella (l’assurda legge sulla fecondazione assistita, i principi non negoziabili…).
Mi piace immaginare che se tutti i successori di Giovanni XXIII, invece di spegnere sistematicamente i semi gettati nella storia dal Concilio, avessero tutti continuato sulla sua strada, oggi il papa non sarebbe più tale, vestirebbe abiti normali, abiterebbe in un dignitoso condominio di periferia mentre S. Pietro e tutte le chiese famose del mondo sarebbero state trasformate in musei. Ma, se questo non è avvenuto e non avverrà, non mi dolgo più di tanto e a volte penso che un bel “chissenefrega” della riforma della Chiesa potrebbe essere salutare per la Chiesa stessa.
Naturalmente, in questo mio maturato sentimento, non posso né voglio ignorare che tanti fratelli e sorelle si trovano ancora sotto il giogo di una Chiesa istituzione oppressiva e a questi, quando possibile, va dato un aiuto verso la liberazione. Che l’istituzione continui, se vuole, per la stessa strada antistorica e dogmatica che ha sempre seguito.
Il portato della scienza, sempre più pervasivo e sostitutivo delle “favole per bambini”, e, chissà, la possente mano di Dio, potranno forse un giorno far nascere davvero una Chiesa fatta per l’uomo e non, come ora è, uomini per una Chiesa.
* Mauro Magini è nato a Orciano di Pesaro nel 1941 e attualmente vive a Roma. Laureato in chimica e già ricercatore dell’Enea, dove ha pubblicato numerosi studi su riviste scientifiche internazionali. Fa parte della Comunità di base di San Paolo a Roma e crede in una religione che libera le coscienze e non che le opprime, come purtroppo succede quasi sempre in tutte le religioni.