Il corpo del Dio che spogliò se stesso per fare coming out con l’umanità
Riflessioni di Nicolas Panotto tratte dal Blog ‘Nomadismo Contingente’ (Argentina), 21 dicembre 2011, liberamente tradotte da Adriano C.
Come credenti, non possiamo evitare che le nostre esperienze, azioni, manifestazioni e gesti siano in diretta relazione con la maniera nella quale intendiamo e spieghiamo il divino. La visione di un Dio severo o gentile, amorevole o giudice, avrà un impatto diretto con gli interventi che operiamo nella realtà.
Questo ci porta a un punto di partenza centrale, che può sembrare un’ovvietà: ci sono modi diversi per definire Dio. Sono il risultato delle nostre esperienze di incontri che abbiamo con il divino, dal quale emergono immagini, simboli e nomi diversi. Non c’è altra maniera di conoscerlo se non attraverso quelle esperienze che abbiamo dalla sua azione nella storia.
Dio buono, Padre/Madre, amore, saggezza, solidarietà, ecc., sono tutte immagini che si riferiscono a una relazione, la quale, a sua volta, non esaurisce la definizione della divinità. I modi di vedere e descrivere Dio cambiano a seconda degli incontri e delle esperienze che abbiamo con la fede.
Che cosa significa questa dinamica della persona di Dio? Quali implicazioni crea per la nostra vita di credenti questa tensione tra ciò che Dio è, e ciò che noi diciamo che è?
Il vuoto di Dio
Il versetto di Fillippesi 2, 6-7, “Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò [svuotò] se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini”, ci mostra un’immagine molto valida: il Dio che spogliò se stesso, lasciando la sua posizione di potere e di gloria, il luogo della verità assoluta.
Il divino non si presenta come un’astrazione oggettivante ma una realtà che cammina, che si incontra in costante movimento e che si mostra in diversi modi. “Io sono la via, la verità e la vita”, dice Gesù (Gv 14, 6-14). Questa unione tra il cammino e la verità dimostra che quest’ultima è ben lungi dall’essere un oggetto finito; è piuttosto un universo di sensazioni che si manifesta poco a poco, in diversi modi, in relazione alle nostre esperienze più concrete.
Dio in quanto verità decise di manifestarsi tramite questo processo, passo dopo passo con noi, assumendo le esperienze concrete che emergono da questi incontri, come esempi che definiscono, lo descrivono e lo nominano.
Quindi, la verità non è un discorso o un oggetto del quale ci si può appropriare, come una merce che dona un potere speciale a chi la possiede. Piuttosto, è un processo che si mostra in diversi modi, in una pluralità di esperienze infinite; in altre parole l’infinito è ciò che definisce la stessa persona divina. E’ il nostro cammino passo a passo con Gesù.
Il Dio che si svuota è il Dio che si apre all’Altro, per l’altro. Dio sceglie di rivelare se stesso attraverso le immagini che creiamo dal nostro incontro con le sue azioni nella storia. Non si rivela in modo univoco e definito.
Piuttosto, si assume il rischio e la complessità dell’incontro con l’umanità ed essere conosciuto, così come Gesù confidò ai discepoli a quella famosa domanda: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?” egli rispose: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete” (Mt 11, 3-4).
A questo proposito è importante sottolineare la trascendenza di Dio, ma non come un “al di là” della storia, bensì come quella comprensione dove il divino si tiene sempre disponibile, in costante tensione con le immagini che creiamo incontrandolo e che tentano di definirlo, sebbene non riescano ad acquisirlo nella sua serie infinita di descrizioni.
Lutero parlava del “Dio occulto” che si manifesta nella natura, ma mai completamente. Si tiene celato, nel mistero, affacciato però nascosto. E’ sempre di più di ciò che stiamo cercando di dire. Questa visione ha profonde conseguenze, Ciò implica, per esempio, una sfida alle pratiche di potere e di egocentrismo fondate su una visione ristretta di Dio (preso, a sua volta, come un oggetto acquisito). Se Dio è trascendente, non lo conosceremo pienamente.
Perciò, non possiamo assolutizzare i nostri discorsi o esperienze alla luce di un fondamento teologico in sè stesso definito. La nostra vita, la nostra fede, la nostra storia, si aprono nella misura in cui Egli trascende i suoi limiti e si rivela attraverso la sua dinamica, presente nella nostra storia però sempre al di là delle sue forme.
Dio si svuota per farsi corpo. Questo passaggio è stato ampiamente utilizzato per discutere il concetto di “incarnazione”, soprattutto da una prospettiva missionaria: noi dobbiamo incarnarci nella realtà così come Dio lo ha fatto per mezzo di Gesù.
Ma questo che è sempre un’immagine, e di per sè valida rischia di ridurre a comprendere la materia corporale a una prospettiva pragmática, se intendiamo l’incarnazione unicamente con l’azione missionaria del credente. Questa trasformazione o, per meglio dire, questo svuotamento – va anche oltre: Dio valorizza il corpo come luogo della rivelazione.
Lo ha fatto con le sue camminate, la sua rabbia, le sue risate, con i suoi pensieri e coi suoi abbracci. Per questo motivo, il modo in cui Dio si manifesta assume una realtà molto più concreta. Non lo fa tramite i dogmi, le idee, le esperienze soprannaturali: o forse sì, ma nessuna di queste sfugge al corpo, il quale rappresenta questo spazio al quale un semplice movimento potrebbe cambiare il corso della vita e la sua stessa stabilità.
Il versetto dei Filippesi è impresso nella chiamata all’amore cristiano. Come si può, allora, desumere da queste immagini che “Dio è amore”? Da quello che deduco dai versetti, potremmo parlare dell’amore di Dio come quello che lascia i luoghi del potere, che si apre agli altri, al nuovo, alla novità, al diverso, e che si mostra nella complessità del corpo.
Questo sfida quelle visioni romantiche, astratte e idealiste (di Dio, del prossimo). Cosa implica l’aprirmi all’altro? Cosa devo attribuirmi e accettare?
Dio è l’amore non imposto come sovrano ma che dona la libertà di conoscere, che confida nell’azione dei soggetti al di sopra di ogni principio, fondamento o azione determinata a priori. Dio è amore che decide di manifestarsi nella storia, promuovendo anche la rivelazione della creatività umana. Dio è am re che si fa corpo, proiettando ognuna delle sue capacità.
Riassumendo, è il Dio che ha deciso di mostrarsi nel cammino, che si svuotò da se stesso, che ha rifiutato di comparire in alto, in astratto, in una maniera definita. Ha deciso di farlo passo a passo, attraverso le esperienze di incontro più concrete, più sperimentali, più corporali.
Il vuoto e l’amore
Lo svuotamento implica che non c’è nulla di concreto sul quale basarci? No. Significa piuttosto che i nostri posti possono cambiare. Che c’è sempre un altro/a vicino a noi, che esistono altri modi di vedere e vivere Dio, che ci sono altre immagini, altri incontri, altre realtà, altre opzioni, che donano un ottica diversa del divino. Dio stesso ha “lasciato il suo posto” di gloria, per aprirsi alla nostra storia. Come potremmo farlo anche noi?
Dobbiamo aprirci a ciò che è diverso, imparare a scendere dal nostro luogo di potere, di verità e di ragione assoluta per imparare ad amare. Le immagini di Dio implicano anche un modo di vedere la storia. Per questo, dobbiamo imparare a vedere la storia dal punto di vista trascendentale di Dio; ossia come una realtà che può essere più di quello che è.
La storia non viene data una volta e per sempre. Neppure i dogmi, le dottrine, l’interpretazione bíblica. Cambia costantemente nella sua possibilità di esser qualcosa di diverso da sè. Questo ci permette di costruire relazioni in vari modi, senza accettare ingerenze o complotti fino ad accettare globalmente il diverso. Dio è la verità, ma non potremo mai conoscerla pienamente.
Proprio come con il nostro prossimo: non siamo possessori di una verità che manca all’altro sinchè tutti la vediamo e la viviamo parzialmente. Questo ci chiama ad aprirci a noi stessi e all’altro. Per questo è fondamentale la raccomandazione di Paolo di procedere con “timore e tremore” (Fil. 2, 12). Questo non significa muoversi con paura, ma con un’atteggiamento di domanda e dubbio costanti sul punto nel quale siamo posizionati.
E’ l’atteggiamento di umiltà al quale si riferisce l’apostolo (Fil. 2.3). Quando uno non prova paura, è perchè si crede autosufficiente. Questo è precisamente, il timore di Dio: non averne paura, ma tenere presente che la sua realtà, il suo amore, la sua azione, la sua persona, sono sempre al di là di quello che noi facciamo e crediamo. Questo atteggiamento ci permette di metterci in discussione e aprirci al diverso.
Analogamente, l’amore deve essere stampato nel corpo. Non ha niente a che vedere con gli atteggiamenti di beneficenza, discorsi pomposi o vuoti romanticismi. L’amore è un abbraccio, è una carezza, è sentirsi sfiorare. Se qualcosa distrugge il nostro corpo, è quello che contiene, che impedisce l’apertura alla sua creatività, al suo movimento, alle sue manifestazioni pluriformi.
Incoraggiare l’affetto come qualcosa di fondamentale per la nostra fede significa porre in secondo piano quelle barriere, i preconcetti, gli ideali, le morali che impediscono questi movimenti che ci aprono al prossimo e ai diversi cammini della storia.
Svuotarci di noi stessi è aprirci alla grandezza della vita che Dio ci ha regalato, è aprirci all’immensità di Dio stesso, alla sorpresa del nuovo che appare soltanto dopo aver soddisfatto l’altro. Amore è apertura infinita. E non esiste esempio più grande che Dio stesso, che ha spogliato se stesso per aprirsi alla stessa umanità, all’amore di uomini e donne che circondavano Gesù.
Viviamo la fede in questo modo; saldi sulle certezze, ma sempre guardando oltre, sostenendo che le cose possono essere diverse, e che gli altri ci possono sorprendere. Abbandoniamo i nostri luoghi di potere, di sicurezza, le torri e le fortezze che ci costruiamo e da dove vediamo il mondo dall’alto, per paura della sua complessità.
Abbandoniamo i sentimentalismi, che dopo tutto ci allontanano dalla realtà che con fatica stiamo cercando di raggiungere. Apriamoci all’amore del prossimo, all’affetto, allo sfioramento della pelle. Promuoviamo l’amore ai nostri corpi, che troppo spesso sono distorti come oggetti morti in astrazioni, in preoccupazioni, in paure, in difese della nostra sicurezza.
Dio ci ha regalato un corpo per muoverci, per sentire, per sapere che possiamo essere di più di quello che siamo, e con questo aprire la nostra storia verso cammini infiniti.
Testo originale: Dios, el vacío y el amor