Il significato spirituale del Pride
Riflessioni teologiche del rev. Patrick S. Cheng* pubblicate sull’Huffington Post (Stati Uniti) il 24 giugno 2010, liberamente tradotte da Claudia Barbarino
Qual è il significato spirituale del Pride? Per milioni di lesbiche, omosessuali, bisessuali e transessuali (LGBT), giugno, in tutte le parti della nazione, è il Mese dell’Orgoglio Gay. Ogni anno, in questo periodo, ricordiamo i due giorni di giugno, il 27 e il 29 del 1969, quando i clienti del bar Stonewall Inn, in Greenwich Village, stanchi della brutalità e delle vessazioni della polizia nei confronti della comunità LGBT, decidono di reagire. Questo è il punto di svolta che ha rappresentato la nascita del moderno movimento per i diritti delle persone LGBT. Molte chiese e comunità religiose sostenitrici degli individui LGBT a giugno organizzano eventi speciali incluse cerimonie con preghiere a tema omosessuale e celebrazioni liturgiche.
Infatti molte di queste congregazioni inviano gente a partecipare alle varie marce dell’orgoglio gay che si tengono, appunto, a giugno. Il Mese dell’Orgoglio Gay è per le comunità spirituali l’occasione per rendere grazie per un Dio amorevole, che ha creato gli omosessuali a sua immagine e somiglianza, e per la bontà intrinseca dei nostri corpi e della nostra sessualità.
Il Mese dell’Orgoglio Gay è anche il tempo per onorare i nostri santi e antenati omosessuali, inclusi i travestiti allo Stonewall Inn che, dando inizio alle rivolte di Stonewall, coraggiosamente ci hanno riscattato; come è il tempo per ricordare tutte quelle persone conosciute e no che sono morte di HIV/AIDS o sono state soppresse dalla violenza anti-LGBT.
Anzi, il Mese dell’Orgoglio Gay è un momento sacro per molti miei compagni laici e ministri ordinati nella Metropolitan Community Churches, una denominazione che fu fondata da e per gli omosessuali, ma che è aperta a tutti.
Purtroppo, molti cristiani anti-LGBT hanno condannato il Mese dell’Orgoglio Gay perché festa peccaminosa di dissolutezza e perversione. Si sono scagliati contro coloro che durante le marce dell’orgoglio vestivano in modo succinto e stravagante additandoli come prova della decadenza morale nazionale.
I manifestanti cristiani fondamentalisti occupavano le strade sfoggiando cartelli con frasi tratte dalla Bibbia atte a dimostrare che gli omosessuali bruceranno all’inferno per l’eternità.
Anche i cristiani che non sono apertamente ostili alle persone omosessuali spesso non riescono a comprendere il significato spirituale del Mese dell’Orgoglio Gay. “Perché devono mostrare a tutti la loro sessualità?”, si chiedono molti di loro. Tante chiese situate lungo i percorsi delle marce dell’orgoglio tengono ben chiuse le porte e ben lontani i parrocchiani, come se in qualche maniera tutta quella festa gioiosa all’esterno potesse contaminare lo spazio sacro all’interno.
Questa ostilità verso il Mese dell’Orgoglio Gay, da un punto di vista teologico, non sorprende. Secondo la tradizione, la superbia è stato percepita dai cristiani come il primo e quindi il più grave dei sette peccati mortali.
In effetti, l’orgoglio — definito come amore smisurato verso se stessi — era il peccato che portava a Satana e agli altri angeli ribelli, ed era anche la causa della caduta dell’uomo, conseguenza del desiderio di Adamo ed Eva di essere come Dio e quindi di mangiare dall’albero proibito della conoscenza del bene e del male nel giardino dell’Eden.
Data l’annosa condanna storica dell’orgoglio come radice di ogni male nella tradizione cristiana, come possiamo comprendere che l’orgoglio gay è una benedizione e non un peccato? Come teologo apertamente gay, insegnante di teologia e ministro ordinato, penso che il peccato non si limiti all’orgoglio e all’eccessivo amore verso se stessi.
Piuttosto, il peccato — definito come il modo in cui, a dispetto delle nostre migliori intenzioni, inevitabilmente voltiamo le spalle a ciò che Dio ha creato perché fosse tale — può anche assumere la forma opposta, quindi odio o vergogna nei propri confronti, esperienza che gli omosessuali vivono sin dalla più tenera età.
In altre parole, il peccato non è solo questione di elevarsi troppo in alto (come nel caso di Satana, gli angeli ribelli o Adamo ed Eva), ma è anche questione di non elevarsi in alto abbastanza. Molti omosessuali hanno imparato a nascondersi nell’ombra perché scherniti e tormentati dai nostri simili sin dall’infanzia.
Ci è stato detto continuamente che ciò che stiamo facendo è contro natura e che Dio ci odia. Quale la meraviglia allora se molti individui LGBT soffrono di odio e vergogna profondi verso se stessi? Anche coloro che sono usciti allo scoperto da anni e trattano questioni di omosessualità ogni giorno nel loro lavoro (“i gay di professione”, come dice un mio amico) non sono immuni alla vergogna.
Ad esempio, anche se io e il mio compagno stiamo insieme da quasi diciannove anni, ci sentiamo ancora imbarazzati quando ci teniamo per mano o ci baciamo pubblicamente.
Siamo stati programmati (a torto) a credere che questi atti sono in qualche modo meno significativi agli occhi di Dio di quanto possano esserlo se compiuti da una coppia eterosessuale. In verità, teologhe femministe cristiane, risalendo a Valerie Saiving nei primi anni Sessanta, hanno definito la vergogna e l’odio verso se stessi — opposti dell’orgoglio — come quel tipo di peccato che più spesso viene commesso dalle donne e dagli omosessuali.
Secondo tali teologhe, il troppo odio e l’eccessiva vergogna nei propri confronti sono peccaminosi poiché ci rendono incapaci di riconoscere che Dio ha elevato tutta l’umanità attraverso la Resurrezione di Gesù Cristo, e quindi incapaci di vivere secondo questa buona novella.
Così non sorprende che l’orgoglio, per le persone LGBT, sia un valore positivo importante. Per il fatto che gli omosessuali sono stati persuasi ad odiare se stessi sin da piccoli, l’orgoglio diviene un atto di guarigione fondamentale e una testimonianza spirituale che ci permette di sviluppare un sano senso di noi stessi, delle nostre comunità e delle persone che amiamo.
Spesso il problema non è che siamo troppo orgogliosi, piuttosto che non lo siamo abbastanza. Questo comunque non significa che l’orgoglio inteso come peccato non trovi posto nella vita degli individui LGBT. Uno degli aspetti che trovo particolarmente avvincenti nella dottrina del peccato originale è la sua radicale uguaglianza.
Cioè, nessun essere umano — neanche il Papa, l’Arcivescovo di Canterbury e il Patriarca ecumenico — è intrinsicamente meno peccatore dell’altro. Quindi la comunità LGBT, come tutte le altre comunità, devono essere sempre attente a non ferire gli altri attraverso l’abuso di potere o vari peccati strutturali come il razzismo, l’emarginazione degli anziani, il sessismo, la transfobia, il classismo e la discriminazione nei confronti dei disabili.
In realtà, i festeggiamenti del Mese dell’Orgoglio Gay spesso sembrano essere propaganda di alcool, porno, feste danzanti e destinazioni esotiche. Tante volte viene data grande importanza alla bellezza esteriore e alla ricchezza materiale — in modo particolare, presso le comunità di maschi bianchi gay — col risultato che le persone di colore si sentono escluse e inferiori.
Anche nelle comunità LGBT, la gente non di rado fallisce nel trattare il prossimo, specialmente nelle situazioni sessuali, mancando di compassione e rispetto che vorremmo ricevere dagli altri. Questo per ricordare che nessuna comunità, incluse quelle oppresse, è libera dalla condizione umana del peccato.
Alla fine, comunque, credo che il Mese dell’Orgoglio Gay sia più di un semplice festeggiamento di quei valori storici come l’uguaglianza, la giustizia, i diritti umani e la libertà. Il Mese dell’Orgoglio Gay è anche una festa profondamente spirituale per percepire noi stessi come figli amati da Dio. A volte commettiamo degli errori, ma chi non ne fa? Per concludere, siamo fatti ad immagine e somiglianza di un Dio che ci ama per ciò che siamo. Punto.
E questo è davvero un motivo per festeggiare!
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* Il rev. Patrick S. Cheng è professore di teologia storica e sistematica presso la Episcopal Divinity School in Cambridge (Massachusetts, Stati Uniti) ed è stato ordinato ministro delle Chiese comunitarie metropolitane (MCC), una denominazione cristiana aperta alle persone LGBT, inoltre collabora alla sezione religione dell’Huffington Post. Vive a Cambridge con il suo compagno, da quasi due decenni, Michael. Il suo sito web è www.patrickcheng.net
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Testo originale: The spiritual significance of Pride