L’Edoardo II di Derek Jarman (1991)
.
Scheda di Luciano Ragusa proposta durante il cineforum del Guado di Milano il 9 Dicembre 2018
Derek Jarman. Pittore, regista, scenografo, scrittore, e… Impresa titanica sintetizzare Derek Jarman in poco più di una pagina, perché il rischio maggiore è quello di far torto ad un lavoro progettato nei minimi particolari, in cui lo stesso cineasta sceneggia, riprende, dipinge le proprie scene.
Considerato uno dei massimi esponenti del cinema indipendente britannico, insieme a Peter Greenaway, Terence Davis, e pochi altri, suo malgrado è costretto a vivere una vita creativa “underground”, a recitare la parte dell’artista maledetto, con perenne difficoltà a trovare fondi per completare i propri film, e relative reticenze in fase di distribuzione.
Tutto questo lo si deve al carattere politico delle sue opere, nelle quali, per esempio, non si fa mistero di un erotismo e di una sessualità declinati al maschile, in cui i rapporti tra uomini, diventano il luogo di sperimentazione della libertà, una specie di tavolozza pittorica in cui si costringe, chi guarda, a utilizzare colori nuovi, mai adoperati prima. Anche quando la narrazione non la contempla, entrano in scena episodi che piegano la linearità del racconto verso la militanza omosessuale dell’autore, in una sorta di apposizione complessa che getta una luce diversa sui protagonisti.
Naturalmente, la gaytudine, non è l’unico tema caro al regista; nelle sue opere capita spesso di imbattersi in critiche all’individualismo thatcheriano, di veder messo in discussione il potere dei media, e non da ultimo, di essere spinti a riflettere sul ruolo dell’artista in rapporto all’opera.
Jarman arriva al cinema attraverso la pittura e il lavoro di scenografo, prima teatrale e poi cinematografico, con il regista Ken Russel. Ma attenzione! Non ci sono gerarchie nel suo procedere, nel senso che il dipingere, così come il fare riprese, rispondono ad una esigenza creativa che possiede la stessa origine, ed esige lo stesso sforzo nella risposta.
Detto ciò, però, da un punto di vista tecnico, è utile sottolineare che gli “indipendenti” come Greenaway, Jarman e lo stesso Pasolini, ovvero coloro che approdano al cinema attraverso la storia dell’arte, studiata o praticata, hanno un senso della composizione che raramente fuoriesce dalla tela. Per Pasolini, per esempio, le inquadrature possiedono la valenza di tableau vivant, cioè quadri viventi, ma statici, che la cinepresa sorvola facendoci apprezzare la finitura estetica (cfr. le schede su Pasolini in www.gaycristiani.it); in Jarman, che non a caso apprezza Pasolini, ci sono riferimenti pittorici diversi, e la cultura pop inglese, nella sua fase punk, è sulla sua stessa lunghezza d’onda: il caratteristico utilizzo della luce nella fotografia e la precisa compostezza formale nelle riprese garantiscono un cinema poetico, locato sul confine tra esperienza pittorica e settima arte.
Bastano queste poche osservazioni per rendere la complessità del programma artistico del cineasta, che non indulge mai in scene il cui slancio non sia nella direzione dell’assoluto, cioè verso il tentativo di veicolare un’arte pura, rarefatta, senza compromessi, soprattutto con l’industria cinematografica, che a detta del regista, produce pellicole «dall’orrida vacuità visiva».
È il potere del mercato, il quale, per soddisfare tutti i gusti e se stesso, livella verso il basso la comprensione estetica, e relega il cinema d’autore a nicchia nascosta, capace a quel punto, di solleticare pochi palati fini.
Cos’altro dire su Derek Jarman che non sia facilmente reperibile navigando dentro la rete, e che possa aiutare alla comprensione dei suoi corti e lungometraggi. Nei suoi film, in cui il contesto è storico, il regista inglese attualizza, se non tutte, alcune scene, con il chiaro intento di sottolineare che le radici dell’odio, la violenza del potere, sono sempre alienanti, in barba ai secoli nei quali i fatti accadono.
Christopher Marlowe (Canterbury, Kent, 1564 – Deptford, Londra, 1593)
Il 30 maggio 1593, Marlowe viene ucciso in una taverna durante una rissa sorta per il pagamento del conto. Animo certamente inquieto, probabilmente omosessuale e libertino, adopera nei sui testi un linguaggio vigoroso, ricco, a volte iperbolico, che affida ai propri protagonisti spesso costretti in monologhi intensi (tranne Edoardo II di cui adesso parleremo) perché localizzati fuori dal contesto sociale predominante, pervasi da passioni estreme che pochi possono comprendere e condividere.
Sono due, oltre a quello di Jarman, le grosse produzioni cinematografiche che omaggiano la figura di Marlowe: Shakespeare in Love (1998), in cui il drammaturgo è interpretato da Rupert Everett, e dove si parla dell’ispirazione suscitata in Shakespeare per il suo Romeo e Giulietta; e Anonymus (2011), all’interno del quale si sottolinea il suo temperamento romantico e si evocano le circostanze strane della sua morte.
Edoardo II. L’Edoardo II è un’opera atipica di Marlowe, perché presenta una struttura diversa rispetto alle altre: influenzato forse dall’Enrico VI di Shakespeare, l’attenzione non è tutta rivolta ad un personaggio, ma ad un intero gruppo; al prevalente monologo lirico si sostituisce un più fitto e vivace tessuto dialogico, combinazione perfetta per essere sceneggiata e trasposta per il cinema.
In realtà, a causa del suo contenuto omosessuale esplicito, il dramma non ha un curriculum vitae particolarmente elaborato: giusto qualche messa in scena a teatro e il film di Derek Jarman.
Presentato alla XLVII Mostra del Cinema di Venezia (1991), il film riceve la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile (Tilda Swinton). La pellicola esce nelle sale inglesi nel mese di settembre del 1991, mentre in Italia arriva nel mese di novembre dello stesso anno.
Sebbene Jarman mantenga l’impianto teatrale del dramma, si esime dal conservarne la fedeltà storica, cine-trasportando i propri attori in una post-modernità anni 90’, dove ad un certo punto, dal nulla, compare Annie Lennox che canta Every Time We say Goodbye.
Il motivo è presto detto: la cantante, aveva chiesto al regista di dirigerla nel video-clip promozionale del brano, registrato in occasione dell’uscita del disco di Cole Porter, Red Hot and Blue, i cui proventi sono devoluti alla lotta contro l’AIDS (malattia di cui Jarman morirà nel 1994); inoltre, lo stesso Porter – considerato tra i cinque più importanti musicisti jazz del suo tempo – è un compositore gay la cui storia non è mai stata raccontata, per cui, il cineasta, considera l’invasione come un risarcimento postumo nei suoi confronti.
Per l’autore, che nel 1991 già sapeva di essere sieropositivo, non c’è più spazio per la mediazione (ricordo che dal 1988 è in vigore la Clausola 28 di cui abbiamo già parlato quando c’è stata la proiezione di Victim motivo per cui, in certi atteggiamenti, l’attrice Tilda Swinton assomiglia spaventosamente alla “lady di ferro”), e si scaglia apertamente contro ogni politica accomodante e a lungo termine: se il gruppo Stonewall, propone uno schieramento di lobby politica di ampio respiro, Jarman si affianca ad OutRage!, attivisti gay che fanno della contrapposizione sistematica contro le istituzioni il loro modello di lotta. Tra l’altro, anche ad OutRage! il regista, dedica uno spazio nella pellicola.
Trama
Inghilterra 1327. Dalla cella in cui è stato rinchiuso, Edoardo II, rievoca i giorni del suo breve regno, e piange la morte del suo amato Piers Gaveston, cavaliere di Guascogna che, grazie a un matrimonio, e alle sue doti militari, riesce a entrare nelle fila dell’esercito di Edoardo I.
Alla morte di quest’ultimo, ed ereditato il trono, Edoardo II fa rientrare Gaveston dalla Francia con la promessa di dividere il regno d’Inghilterra con lui. L’affetto che li lega e una serie di titoli nobiliari che il re attribuisce all’amato, innervosiscono sia la moglie di Edoardo, Isabella, figlia di Filippo il Bello, che l’intero corpo nobiliare di Gran Bretagna.
La regina, grazie all’aiuto del nobile generale Mortimer, che diventa suo amante, riesce per decreto ad allontanare il guascone, situazione che produce nel re una sofferenza cocente. Spinta dal marito, Isabella, convince Mortimer a richiamare Gaveston, non tanto per soddisfare il desiderio del sovrano, ma con l’intento di ucciderlo, cosa che puntualmente succede.
Edoardo II, sconvolto, viene arrestato e deposto. La regina e il suo amante assumono la reggenza in favore del giovane figlio Edoardo III,
che a sua volta, ha in serbo per la madre e il generale, una sorpresa imprevista.
Scheda
Assistente alla regia: Ken Butler.
Fotografia: Ian Wilson;
Costumi: Sandy Powell.
Scenografia: Christopher Hobbs, Rick Eyres.
Produzione esecutiva: Sarah Radclyffe, Simon Curtis.
Distributore italiano: Mikado Film.
Genere: storico, drammatico.
Durata: 90 minuti.
Anno: 1991.
V. Patanè, 100 classici del cinema gay, Cicero, Venezia, 2009.
P. Pilard, Breve storia del cinema britannico, Lindau, Torino, 1998.
F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche, Parma, 1985.Interviste a Derek Jarman
D. Coco, «Derek. Jarman – un dandy ribelle», in Babilonia, n° 61, novembre, 1988, pp. 23-25.
V. Patanè, M. Cervio Gualersi, «Scelgo la vita», in Babilonia, n° 94, novembre, 1991, pp. 12-14.