Chi vuole “guarire” i gay
Articolo di Stefania Rossini tratto da L’Espresso, 23 febbraio 2012, pp.88-90
Arrivano anche in Italia le teorie e i libri degli psichiatri Usa che piacerebbero a Giovanardi: quelli che spiegano agli omosessuali come diventare etero. Magari leggendo la Bibbia, o con un’applicazione per iPhone Bisognerebbe fare un test culturale.
Appostarsi in una libreria e spiare le reazioni del pubblico che fra qualche giorno si troverà davanti a un volume che sembra provenire da un’altra epoca o da un’altra civiltà: “Curare i gay?”.
L’impatto del titolo non è attenuato dall’interrogativo, e risposte di sconcerto, interesse, scandalo o indifferenza potrebbero dire molto sulla persistenza del pregiudizio omofobico nel nostro Paese.
Appare infatti quasi una provocazione il saggio scritto dallo psichiatra Paolo Rigliano insieme agli psicoterapeuti Jimmi Ciliberto e Federico Ferrari (Cortina editore), un sasso lanciato per vedere che effetto fa nell’apparente calma di una società civile e scientifica che ha da tempo accettato l’omosessualità come una delle normali componenti della vita affettiva.
Tanto che per stanare le sacche di omofobia e mettere in allerta la cultura progressista su uno scenario possibile, gli autori si affidano alla futurologia.
Descrivono cioè con dovizia di particolari una tendenza felicemente ignorata in Italia, ma presente negli Stati Uniti, dove hanno una certa fortuna le cosiddette “terapie riparative” il cui scopo è quello di riportare i pazienti gay a una presunta eterosessualità originaria.
L’avvertimento è esplicito: attenzione, i fenomeni culturali che in America acquistano senso e visibilità non hanno mai tardato ad attecchire anche da noi. Ecco allora la descrizione di un filone psicologico che in Usa ha messo radici nelle retrovie dello schieramento repubblicano, trovando alimento nella cultura settaria del fondamentalismo religioso, al pari del creazionismo.
L’idea di base dei cosiddetti psicoterapeuti riparativi è semplice: la natura divide l’umanità in maschi e femmine destinati ad accoppiarsi tra loro, tutto il resto è devianza che, con apposite cure, può essere riportata alla normalità originaria.
Poco importa che l’omosessualità non sia più classificata come disturbo mentale fin dal 1973 e che i Paesi anglosassoni siano all’avanguardia nel riconoscimento dei diritti civili dei gay.
I “riparatori” usano tutti i canali possibili per insinuarsi, se non nel dibattito scientifico, almeno nella opinione pubblica americana più disarmata. L’editoria conta già una dozzina di titoli che professano cure contro l’omosessualità, a cominciare da quelli del loro massimo teorico, lo psichiatra Joseph Nicolosi, tradotto in italiano anche dalle Edizioni San Paolo.
La tv dà voce a testimonial come il commentatore della Cnn Rowland Martin che ha una moglie psicologa in grado – lui garantisce – di far passare il desiderio per lo stesso sesso. La politica si avvale di un altro marito, quello di Michele Bachmann, ex candidata del Tea Party alla Casa Bianca, che dirige una serie di Crisis Clinics dove l’omosessualità è curata soprattutto con la lettura della Bibbia.
Anche lo sport ha nomi di grido, come l’ex campione dei Giants, la squadra di football americano vincitrice dell’ultimo campionato, che dichiara il suo “appoggio affettuoso a tutti gli ex omosessuali”.
E mentre Internet ha sul tema centinaia di siti, non mancano incursioni anche nella telefonia, tanto che la Apple si è vista costretta a ritirare un’applicazione per l’iPhone chiamata “Gay Cure”. L’aveva installata un anno fa su richiesta di un gruppo evangelista, ma era stata sommersa da una protesta firmata da 150 mila persone.
A chi pensa che si tratti di folklore americano e che farne argomento di un libro di denuncia rischi di dare notorietà a trite asserzioni ideologiche, Rigliano risponde che conviene prevenire perché il nostro Paese è, per molti motivi, tra i più esposti alla penetrazione di vecchie e nuove teorie omofobe.
Infatti è tra i pochi che ancora non hanno dato nessuna legittimità alle unioni di fatto, subisce il diktat di un papato fortemente ostile alla condizione omosessuale e, punto inaspettato, porta la zavorra di “una retorica progressista fallimentare”, per la quale “essere omosessuale è un tratto diverso e irrilevante, come avere gli occhi verdi o i capelli biondi”.
Come a dire che gli intellettuali progressisti, quelli che amano i film di Ozpetek e i libri di Tondelli, che sono pronti a battersi contro ogni discriminazione, non sono poi tanto migliori di un Carlo Giovanardi (del quale non si può fare a meno di ripetere qui lultima esternazione: due donne che si baciano fanno lo stesso effetto di chi fa pipì per strada).
Anche perché questi intellettuali illuminati sono portatori di una visione fluida dell’omosessualità, che considerano non una identità solidamente strutturata ma un orientamento sessuale flessibile e modificabile secondo desideri e scelte individuali.
Ed è questo il punto insieme più assertivo e più controverso di un pensiero molto diffuso nella cultura gay: la rivendicazione di unidentità definita una volta per tutte, che non ammette ripensamenti o oscillazioni perché, conferma Rigliano, «è una struttura della mente che si forma nei primissimi anni di vita, si definisce meglio nel corso della crescita e non può mai più cambiare. Chi si scopre omosessuale a 50 anni si è solo levata una maschera».
Simona Argentieri, psicoanalista e autrice nel 2009 di “A qualcuno piace uguale”, un saggio sui pregiudizi che ancora circondano lomosessualità ma anche sugli equivoci che ribaltano quei pregiudizi in nuove confusioni culturali, non è daccordo.
Come la gran parte degli studiosi che si rifanno a Freud, è convinta che dietro al termine descrittivo di omosessualità ci siano situazioni psicologiche molto diverse tra loro, che possono esprimersi sia in forme patologiche che nella semplice normalità, esattamente come accade per gli eterosessuali.
«Chi ha queste posizioni cade nello stesso errore concettuale di quelli che esercitano lomofobia, e purtroppo di omofobia ce nè ancora tanta», dice, dopo aver letto per noi il libro di Rigliano, Ciliberto e Ferrari, liquidando come ridicole le teorie “riparative”.
Più interessata agli aspetti dell’identità omosessuale, aggiunge: «Non si può irrigidire in una gabbia identitaria, agganciata addirittura alla biologia, una potenzialità che riguarda la crescita di ciascuno di noi.
A partire da una situazione indifferenziata, ogni bambino costruisce una personalità che tiene conto, sì, di inclinazioni naturali, ma soprattutto delle relazioni ambientali e della cultura in cui cresce.
I tanti livelli di ogni personalità si organizzano in costellazioni eterosessuali od omosessuali all’interno di un processo che in parte è anche reversibile, come dimostrano i casi di uomini e donne che erano stati in coppie eterosessuali e che, in età anche avanzata, esordiscono con un amore omosessuale. E, qualche volta, avviene anche il contrario».
Come si vede, posizioni inconciliabili anche se tra gli stessi psicoanalisti freudiani riuniti nell’International Psychoanalytical Association non sono mancati problemi su questioni di genere. Si è formato infatti un gruppo autogestito che ai congressi ha preteso una sezione gay, fa relazioni su temi gay e indirizza pazienti gay a terapeuti gay.
«Questo per un analista è l’errore più grave», dice Argentieri. «Viene fatto passare come garanzia di riuscita un metodo che invece compromette lintero processo terapeutico. Lanalisi funziona se è un incontro tra due sconosciuti e il suo scopo non è quello di adattarsi a un modello, ma di fare spazio a tutte le proprie parti. Che, se accompagnate a una raggiunta libertà interiore, portano allunico criterio utile per valutare lassetto normale o patologico di una persona: la capacità di amare» .
Il vero equilibrio insomma non sta nella definizione di unidentità di genere ma nella qualità del rapporto che si è in grado di costruire. All’interno del quale si può anche scoprire che luguaglianza anatomica del sesso è la parte più superficiale del mistero dell’alterità.