Tra paura e speranza. Essere gay in Libia, prima e dopo la caduta di Gheddafi
Articolo di Dan Littauer tratto da Gaymiddleeast.com, 30 gennaio/3 febbraio 2012, liberamente tradotto da Adriano C.
La Libia ha dominato le testate dei giornali l’anno scorso, ma la popolazione lesbica, gay, bisessuale e trasgender del paese ha ricevuto una scarsa attenzione internazionale.
Ho intervistato Khaleed, un attivista LGBT 31enne (libico), sulla vita delle persone LGBT in questo paese nord-africano.
Nella prima parte ci parla della sua vita prima del rovesciamento di Muammar el-Gadaffi. Più tardi ci parlerà di come e cosa è cambiato dopo la rivoluzione.
Mi racconta che “In Libia non esistono assolutamente gruppi, organizzazioni o anche singoli individui che parlino pubblicamente dei diritti degli omosessuali, lo stesso argomento è un tabù sociale e religioso.
Ma questo non significa che non esistano le persone LGBT, al contrario alcune persone sono conosciute e riconosciute come omosessuali all’interno delle loro comunità”.
“La legge Libica ha un codice penale contro gli ‘uomini che fanno sesso tra di loro’, che prevede una pena detentiva di cinque anni [Sezione 407.4 della Costituzione Libica].
Tuttavia, non ho mai sentito di casi documentati pubblicamente su uomini condannati per questo codice penale, e, con mio grande disappunto non sono stati compiuti sforzi sui diritti umani o da organizzazioni sui diritti LGBT né su potenziali casi investigativi, né su discussioni di diritti LGBT in Libia.”
Il realtà l’unico caso documentato, a mia conoscenza e stato quello che ho riportato il 25.12.2010 quando due uomini (libici) vennero arrestati per “atti indecenti”, con informazioni minime e dei quali, nonostante gli sforzi spesi per ottenere ulteriori informazioni, non siamo riusciti ad ottenere maggiori dettagli.
La maggior parte delle persone LGBT in Libia usano Internet per socializzare, scambiarsi idee e organizzare incontri; in particolare tramite il network gay Manjam, è uno dei pochi a loro disposizione per esplorare le loro identità e sessualità. Eppure anche qui, nel ciberspazio virtuale, non sono al sicuro.
“La mia personale esperienza come uomo gay in Libia non è stata facile. Sono stato indagato dalla polizia per il mio profilo online su Manjam.
Sono venuti a casa mia dei funzionari dell’agenzia di sicurezza nazionale del regime di Gheddafi e mi hanno obbligato a dichiararmi di fronte ai miei famigliari casandomi enormi problemi. Mi ci sono voluti più di due lunghi anni prima di riuscire a chiarire le cose con loro”.
Per Khaleed l’intero episodio è stato terribile e spaventoso: “Sono stato interrogato dall’ufficio investigativo criminale per trenta lunghi minuti, ma a me sono parsi un’eternità.
Poi mi è stato ‘ordinato’ di smettere di incontrare persone tramite Manjam perchè ‘ci sono persone che hanno contatti con le reti di spionaggio straniere’.”
“Dopo l’indagine ho rimosso il mio precedente profilo, ma sono rimasto in contatto con tutte le persone che avevo conosciuto prima.
Ma, con mio grande orrore, ho scoperto che l’agenzia di sicurezza del governo stava monitorando le mie chiamate e le attività on-line.
Inoltre, sono riusciti ad entrare nella mia casella di posta personale e hanno mostrato tutta la mia corrispondenza a mia madre, che mi ha chiesto di astenermi per un po’ dall’accedere in siti on-line di attività LGBT e politici”.
In merito a tutte le pie discussioni dei politici occidentali sull’auspicata liberazione della Libia, Khaleed vuole sottolineare che:
“Vorrei dire ai lettori Europei e Nordamericani che le tecnologie per monitorare internet e intrappolare le persone come me che combattono per i diritti umani, sfortunatamente arrivano da governi e compagnie occidentali”.
Khaleed non è del tutto certo del perchè i suoi accessi internet siano stati violati e investigati ma ha un sospetto:
“Credo sia la risposta della polizia ai miei precedenti commenti che ho fatto sui diritti umani in Libia, a causa della mia partecipazione in diverse discussioni liberali e laiche sui siti web che venivano considerati anti-regime.
La mia supposizione si basa sul fatto che ho sentito di indagini che hanno fatto e stanno facendo su alcuni miei amici e conoscenti”.
Nella seconda parte, parlerò con Khaleed della rivoluzione e delle sue speranze e timori sulla nuova Libia.
La mia vita di gay in Libia dopo la caduta di Gheddafi *
C’è speranza nel futuro, tra i Libici dopo la rivoluzione, anche tra la gente LGBT, ma il riscatto del progresso verso una società più libera potrebbe essere lento.
Nella precedente intervista abbiamo parlato con Khaleed, un attivista 31enne dellla Libia orientale circa la sua esperienza sotto il regime di Gheddafi. Ora, in questa seconda parte, lo intervistiamo sulla Libia post-rivoluzione.
Dopo la rimozione della dittatura del colonello Gheddafi, Khaleed, come altri libici, è pieno di speranze e di preoccupazioni per il loro futuro.
Il loro paese, la società e le culture hanno ora intenzione di iniziare a forgiare una nuova identità che era stata così fortemente sottomessa dalla famiglia di Gheddafi, che ha governato con pungo di ferro per oltre quaranta anni.
Khaleed è chiaramente ‘più speranzoso ora’. Ha buone ragioni per esserlo, i libici sanno che hanno grandi risorse come ottava potenza di riserve petrolifere e sperano che il danno fatto da sette mesi di sanguinosi scontri di guerra civile vengano presto risolti.
Ognuno spera che le risorse del paese possano essere valorizzate e che portino ad un rapido sviluppo economico.
E’ chiaro che questo non è un cammino facile, l’anno scorso agli inizi di novembre molti capi delle milizie locali che hanno contribuito a rovesciare il colonnello Gheddafi (ucciso il 20 ottobre 2011) non hanno rispettato il loro impegno di rinunciare alle armi.
Hanno sostenuto di voler preservare la loro autonomia ed influenzare le decisioni politiche quali ‘guardiani della rivoluzione’ e alcune fonti indicano che ci sono più di duecentocinquantamila miliziani armati fino ai denti.
Il problema delle milizie è uno dei più urgenti del nuovo governo provvisorio della Libia, il Consiglio Nazionale di Transizione. Khaleed stesso è d’accordo che questo è ‘il più grande problema che abbiamo di fronte’.
Il secondo è quello della costruzione della società civile, dell’ordine pubblico e della stabilizzazione dell’economia.
Khaleed vive nella Libia orientale, lontano dalla capitale Tripoli, in una zona che è stata dominata dalla resistenza sin dale prime fasi della rivoluzione e quindi relativamente stabile alla guerra civile.
Altrove invece il bilancio delle vittime e la violenza sono stati cruenti, sono stati anche riportati casi di stupro di gruppo da parte degli uomini di Gheddafi a uomini e donne.
Durante i combattimenti ho perso i contatti con Khaleed per oltre sei mesi, dato che i telefoni e le line internet verso la Libia erano stati bloccati, ero molto preoccupato durante questo periodo e mi sono sentito molto sollevato di sapere che era vivo e che stava bene a settembre del 2011.
Khaleed mi racconta che durante la rivoluzione, i media hanno pubblicato diverse storie scandalistiche riguardo alla famiglia di Gheddafi. In primo luogo, dicono che negli ultimi tempi il dittatore avesse un appetito insaziabile sia per i ragazzi che per le ragazze e che usasse il Viagra per tenersi sempre all’altezza.
In secondo luogo che nella villa confiscata di Al-Saadi (uno dei suoi figli), fiurono trovati dei video porno omosessuali.
Queste cose sono state usate come armi per delegittimare ulteriormente il vecchio regime, ma anche per far paura ai libici LGBT per l’omofobia dilagante, per fortuna non ci sono state ripercussioni.
Dunque, qual è la situazione per le persone LGBT? Khaleed dice: ‘Dopo l’inizio della rivoluzione, la situazione è cambiata, almeno fino ad ora.
Molte persone LGBT hanno cominciato a cercarsi l’un l’altro on-line a causa della loro mancanza di conoscenza sui luoghi di incontro o perchè comunque questi rimangono luoghi pericolosi.
La paura più grande per gli omosessuali libici è lo scandalo sociale e/o l’essere soggetto a pettegolezzi e scherzi a causa della propria omosessualità.
‘La cosa che mi preoccupa sono i commenti fatti ad ottobre dal capo della Transizione Libica che indicava le leggi della Sharia quail principali fonti di ispirazione per nuova costituzione della Libia, non è ancora capitato nulla per peggiorare le cose e speriamo non succeda, ma ora dobbiamo lavorare per evitare le leggi anti-gay perpetuate da Gheddafi’.
La seconda cosa che preoccupa Khaleed è il tono del dibattito politico nel paese che a volte può essere chiaramente omofobico: ‘Ci sono alcune dispute qui tra coloro che sono a favore di una Libia laica e liberale ed una Islamista e tradizionalista.
‘Quando si parla di uno stato libico liberale, laico e democratico, gli Islamisti usano la tattica della paura: “Oh, guardate che hanno intenzione di liberalizzare in Libia il matrimonio omosessuale!”. Questo è un grandissimo tabù nel mio paese e spero che il dibattito politico diventi più sensibile e meno omofobo.
‘Ora che la dittatura di Gheddafi è caduta, è indispensabile che il futuro governo abolisca le leggi che violano i diritti umani, tra cui quelle leggi che incriminano l’omosessualità’.
Ma Khaleed è realista su quello che potrebbe essere raggiunto: ‘I gay libici, e tutta la gente LGBT della Libia penso, non credono che i loro sogni di una vita libera omosessuale in Libia possa essere realizzata nel prossimo futuro.
‘Non sognamo di avere eventi di orgoglio omosessuale o di mostrare il nostro affetto reciproco in luoghi pubblici o di dichiararci alle nostre famiglie.
Ciò richiederà un enorme cambiamento sociale e una società civile stabile che stiamo cominciano solo ora a costruire.
Non stiamo chiedendo la luna: tutto ciò che vogliamo e che ci serve per ora è il rispetto della nostra privacy, e di avere leggi che non ci incrimino per il nostro orientamento sessuale’.
Testi originali: My life as a gay man under Libya’s Gaddafi